Varie, 3 ottobre 2005
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Poborsky Karel
• Trebon (Repubblica Ceca) 30 marzo 1972. Ex calciatore. Undicesimo nella classifica del Pallone d’Oro 1996. Giocò in Italia con la Lazio • «[...] Ala destra [...] Detto “treno espresso” [...] il 5 maggio 2002 - quando indossava la maglietta della Lazio - venne osannato nello spogliatoio della Juventus rocambolescamente scudettata col coro “uno di noi, Poborsky uno di noi”. [...] Il cavaliere solitario Poborsky è quello che nella partite che contano si materializza sulla fascia destra quando meno te l’aspetti (e anche quando te l’aspetti fai attenzione perché ha il dribbling velenoso e il cross in un fazzoletto di campo, tipico della grande ala). Descritto universalmente come un timido, inguaribilmente provinciale, poco o nulla portato per le lingue nonostante abbia indossato in carriera le maglie di Manchester United, Benfica, Lazio, nel 1996 si presentò sulla scena internazionale eliminando il Portogallo dall’Europeo con un pallonetto al portiere Vitor Baia. Il “Guardian” fu colpito dai boccoli biondi della sua “acconciatura preraffaelita”. L’anno successivo era al Manchester United, dove fu testimone della nascita del mito Beckham che purtroppo giocava nella sua stessa posizione. Dopo, si tagliò i capelli. [...] firmò per la Lazio scudettata e paperona di Cragnotti un contratto lungo esattamente una stagione e mezza perché “aveva fatto una promessa a sua moglie”: mollare tutto e tornare a casa. Da giocatore che ha cominciato tardi a farsi conoscere e ha legato il suo nome soprattutto alle imprese della sua nazionale - il suo esordio nel ’94 fu anche l’esordio internazionale della nuovissima Repubblica Ceca [...] è l’eroe di tutti i senza maglia, di quelli che amano il calcio per il calcio, degli individualisti e dei cinici. Cose così. Fatto sta che il contratto di Poborsky con la Lazio finì il 5 maggio 2002. Da tempo, dopo la partenza del suo amico e traduttore Pavel Nedved, il giocatore quasi non parlava più con nessuno. Quel campionato andò così così, nonostante le premesse e gli investimenti bla bla bla. Ma l’epocale Lazio-Inter, l’ultima partita in biancazzurro, fu la sua partita. Poborsky segnò due gol, ridicolizzò per sempre il povero terzino Gresko, urlò bastardi alla curva Nord che per via di gemellaggi, contestazioni e altre complesse alchimie ultrà, tifò i nerazzurri per tutta la partita (tra gli striscioni il famosissimo: “Peruzzi appoggiate al palo” e “A chi segna je spezzamo ’na gamba”), infine litigò con Materazzi nel tunnel dell’Olimpico. Come promesso, tornò a casa il giorno dopo. Salì sulla sua Mercedes 220, caricò moglie, figlio, bagagli, e guidò in direzione Praga. La polizia lo fermò a Udine per eccesso di velocità. Che diamine, era o non era il treno espresso? Oltrettutto non aveva la patente in regola, e gli sequestrarono pure la macchina. A Praga ci tornò in aereo» (Alberto Piccinini, “il manifesto” 28/9/2005).