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 2005  settembre 22 Giovedì calendario

Chicco, amico di Ricucci. Prima Comunicazione 22 settembre 2005. figlio di un sarto ed è nato 58 anni fa nel quartiere Lamarmora di Brescia, l’unico quartiere ’rosso’ di una città da sempre cattolica e finché ha potuto democristiana

Chicco, amico di Ricucci. Prima Comunicazione 22 settembre 2005. figlio di un sarto ed è nato 58 anni fa nel quartiere Lamarmora di Brescia, l’unico quartiere ’rosso’ di una città da sempre cattolica e finché ha potuto democristiana. Ha frequentato l’istituto tecnico, ha sposato la figlia di un operaio comunista dell’Om-Iveco e ha passato intere nottate a discutere di politica con il genero, per anni presidente ds di una circoscrizione cittadina. Si dice, insomma, che sia uno di sinistra. Qualcuno lo ricorda ancora quando, agli inizi degli anni Settanta, girava per le strade della città su una Fiat 500 un po’ scassata e cercava di vendere i suoi avvolgimenti per motori elettrici che aveva appena iniziato a produrre in una specie di sottoscala, oltre ai libri usati raccolti per i ragazzini delle scuole. Allora nessuno si occupava di lui, di Emilio ’Chicco’ Gnutti, che oggi nella sua autorimessa personale si dice abbia più di 150 auto tra modelli d’epoca e di lusso (soprattutto Ferrari, Bentley, Rolls-Royce, Mercedes) e ha una holding, la Gp Finanziaria, sotto la quale sta la famosa Hopa, che nel 2004 ha registrato 546 milioni di euro di capitale investito, 140 milioni di patrimonio netto e un utile di 15 milioni, a fronte di una situazione finanziaria netta passiva per 381 milioni e 15 milioni di interessi passivi. Gnutti è al centro delle vicende Bnl-Unipol-Antonveneta-Banca Popolare Italiana, è socio importante di Telecom Italia e oggi è su tutti i giornali italiani ed europei, un giorno sì e l’altro pure. Su tutti, tranne quelli di casa sua, l’istituzionale Giornale di Brescia, espressione dell’establishment culturale ed economico della città, e il meno blasonato Brescia Oggi, di proprietà dei veronesi dell’Athesis (Arena e Giornale di Vicenza). Il perché è presto detto. I poteri forti della città stanno alla finestra, annusano, aspettano di capire, valutano se e come è il caso di iniziare a metabolizzare il fenomeno Gnutti, anzi, ’Gnutti, il finanziere bresciano’, come si è limitato a dire in un titolo dello scorso 4 agosto il Giornale di Brescia. Cosa non facile, d’altra parte. Il principale azionista del quotidiano è la Fondazione Giuseppe Tovini, emanazione della Curia, che prende il nome dall’avvocato Giuseppe Tovini, mistico e pratico padre di 12 figli che nel 1883 fondò il primo centro di potere bresciano, la Banca San Paolo - oggi Banca Lombarda di cui è vice presidente Giovanni Bazoli - e che poi metterà in funzione La Scuola Editrice, la Banca di Valcamonica, l’Editrice La Morcelliana, il Banco Ambrosiano e un po’ di altre cose ancora. Il Giornale di Brescia è il portabandiera di questa città che fino a qualche tempo fa era chiamata la ’mistica’, per i seminari vescovili, i collegi dei gesuiti, i monasteri, le scuole confessionali da cui poi uscivano le élite che avrebbero guidato banche, case editrici, giornali. Oggi la Fondazione Tovini è presieduta da Giuseppe Camadini, notaio originario della Val Camonica, una vita quasi monacale, e buon amico di un altro camuno eccellente, il cardinale Gian Battista Re. Camadini, tra le altre cose, è presidente dell’Istituto Paolo VI, amministratore della Banca Lombarda e presidente della Cattolica Assicurazioni di Verona. Si narra che la provvidenza abbia messo lo zampino quando, entrato Brescia Oggi nella scuderia dei veronesi dell’Athesis dopo un periodo come cooperativa di giornalisti e tipografi, il calendario 2001 offerto dal secondo quotidiano della città ai suoi lettori sia misteriosamente uscito nelle edicole come ’Supplemento del Giornale di Brescia’. Fino al 1999, anno in cui la Banca San Paolo ha fagocitato il Credito Agrario Bresciano (l’altra anima della città, quella liberale e laica) ed è diventata Banca Lombarda, il Giornale di Brescia teneva insieme anche i valori rappresentati dal mondo industriale dei Lucchini (acciaio), dei Beretta (armi) e dei Nocivelli (elettrodomestici); anche terra-terra, visto che si racconta che la formula delle assunzioni al quotidiano fosse un ’2+1’, due cattolici per ogni liberale. Ma ora, scomparsa la finanza laica, scomparse le grandi famiglie imprenditoriali liberali (Lucchini ha venduto ai russi, Nocivelli agli israeliani, ai Beretta più che di Brescia interessa coltivare i rapporti con l’establishment americano, presidente Bush in testa), al Giornale di Brescia tocca occuparsi di Gnutti, e non sa bene come comportarsi. " uno che in pochi anni si è messo allo stesso livello di chi in questa città comanda da sempre", si dice a Brescia. Un’enormità, per chi è abituato a misurare il passare del tempo con un calendario tutto suo, che per trent’anni, fino al 1975, si è identificato nel sindaco Bruno Boni, sinistra Dc, chiamato affettuosamente ’Ciro l’asfaltatore’ (si è ritirato a 75 anni senza essersi arricchito); e che per 25 anni ha sempre acquistato in edicola il Giornale di Brescia diretto da Gian Battista Lanzani (nato nel 1936), cattolico-liberale, che ha lasciato solo la scorsa primavera (al suo posto è arrivato Giacomo Scanzi, milanese di 46 anni, allievo dello storico cattolico Giorgio Rumi). Gnutti, invece, è uno che in pochi anni è riuscito a riunire nella sua Hopa almeno 200 imprenditori bresciani, cioè i più individualisti d’Italia, gente che prima di dare i soldi a qualcuno ci pensa non una ma, minimo, diecimila volte; e che li ha pure resi felici a suon di investimenti riusciti e plusvalenze.  da questo dato di fatto che il Giornale di Brescia ha dovuto partire per parlare di Gnutti, come gli ha ricordato lo stesso Gnutti, nel 1999, con la prima e finora unica volta che finanziere e quotidiano sono entrati a contatto diretto. La prima e ultima volta che il giornale abbia scritto un fondo (critico) sul finanziere, e non asettici articoli di cronaca come è successo da allora, a scanso di equivoci. Si era in piena Opa su Telecom Italia lanciata da Gnutti e dalla sua Hopa insieme alla Olivetti di Colaninno. E il quotidiano cittadino non era stato tenero. Un fondo del 1° marzo a firma Alessandro Cheula parlava di "disinvolti finanzieri d’assalto" e di "prestanomi di altre mani". La replica di Gnutti, pubblicata in prima pagina con la stessa evidenza del fondo ’d’accusa’, aveva fatto capire chi cominciava a comandare in città a fianco dei nomi tradizionali: "I bresciani credono ai fatti, non alle opinioni, credono nelle proprie aziende, nelle proprie capacità, nel proprio lavoro", scriveva Gnutti. "E questo nostro lavoro è serio, magari diverso, fatto di grandi numeri e cifre enormi, ma ci auguriamo possa meritare ogni rispetto. Lo stesso rispetto di cui hanno sempre goduto le nostre aziende e di cui il suo giornale, egregio direttore, ha sempre enfatizzato i risultati e l’impegno imprenditoriale". Come dire, portate anche me in palmo di mano, oppure lasciatemi stare. E in attesa di capire, il Giornale di Brescia ha preferito passare la mano, tanto che lo scorso 17 agosto ha meritato solo una piccola ’breve’ la notizia che si terrà il prossimo 12 ottobre in Corte d’appello a Brescia un processo al (solito) ’finanziere bresciano Emilio Gnutti’. La partita, quando possono, i bresciani la giocano fuori casa. Soprattutto sul e intorno al Corriere della Sera. Il bresciano Massimo Mucchetti, editorialista del quotidiano milanese, lo scorso 26 agosto ha fatto un ritrattino al veleno del suo conterraneo Chicco Gnutti, amico e socio di quello Stefano Ricucci che quest’estate ha agitato mezza Italia, il Corriere della Sera e tutta la sua proprietà, fondata su un patto di sindacato in cui gioca da protagonista anche la prima banca italiana, Banca Intesa, e il suo presidente, il bresciano Giovanni Bazoli. Un attacco al cui confronto quello del Giornale di Brescia di sei anni prima era un simpatico buffetto. Gnutti, ha scritto Mucchetti, è fuori gioco da quando, "avendo scelto Fiorani, ha rotto le relazioni con Cesare Geronzi e ha sciolto l’intreccio azionario tra Hopa e il gruppo Capitalia. E quando sei messo fuori dal giro, le condanne per insider trading già accumulate in primo grado e i nuovi avvisi di garanzia, fino a ieri irrilevanti, cominciano a pesare. E i debiti pure". A Brescia guardano, e aspettano gli eventi. Il sindaco Paolo Corsini, ’Paolo il Candido’, come lo chiamano, una volta catto-comunista, oggi cattolico dei ds, professore universitario di storia contemporanea, la prende alla larga. "Il problema è capire cosa sta succedendo nel ventre di Brescia. Questa è una città che è stata la culla della Resistenza cattolica, qui la Dc ha espresso il migliore ceto amministrativo d’Italia, passando dal sindaco Boni al sindaco Martinazzoli, qui c’erano imprenditori che hanno fatto la storia economica d’Italia. E ora? Io vedo superficialità, banalizzazione dei problemi, volgarità, e soprattutto una crisi della politica e della rappresentanza molto forti. Di positivo c’è che sta venendo fuori alla grande la Brescia fatta di arte e cultura, visto che l’anno scorso oltre mezzo milione di persone ha visitato le nostre grandi mostre e quest’anno ne prevediamo ancora di più. E poi abbiamo l’Hopa, con l’acca davanti". Una battuta per dire che chi ci capisce qualcosa è bravo, visto che il ’ventre’ di Brescia cambia a forte velocità, come dimostra la perdita di circa 10mila copie del Giornale di Brescia dal 1993 al 2005 (58mila contro circa 48mila), come dimostra l’arrivo di un ’milanese’ come Giacomo Scanzi alla guida di una istituzione cittadina nata dalla Resistenza, e che proprio quest’anno compie sessant’anni. Come dimostra Brescia Oggi, che ha il direttore, Maurizio Cattaneo, anche lui milanese, in ’comproprietà’ con L’Arena e che non risiede in città ma a Verona. Dice Corsini: "Il Giornale di Brescia si sta rinnovando, piano piano, come è nel suo stile. Stanno cambiando gli uomini e certe sfumature diverse cominciano a cogliersi. Anche se rimarrà sempre un giornale filo istituzionale e rispettoso. Per Brescia Oggi, invece, il discorso è diverso: è sempre stato il giornale più aperto della città, pluralista, ha avuto grandi direttori come Piero Agostini, ma oggi mi sembra che sia alla ricerca di una sua linea, di un progetto da portare avanti in questa città". Si muovono un po’ tutti a vista, a Brescia. E anche lui, ’Paolo il Candido’, un po’ si adegua: ha avuto Luigi Bazoli, fratello di Giovanni, come assessore, mentre da Chicco Gnutti riceve gratis lo studio completo per una casa di riposo e si ritrova il Teatro Grande perfettamente ristrutturato, sempre gratis. Anche se in dote non voluta si ritrova pure qualche rogna, come quella di un Gnutti sospeso fino a ottobre anche dal Cda della Asm, una delle più grandi ex municipalizzate d’Italia che produce profitti; e con Rifondazione comunista che gli chiede di intervenire "per evitare il rischio che la Asm sia coinvolta, attraverso il consigliere Gnutti, nella vicenda delle speculazioni finanziarie". Così, su questa linea di confine, anche Banca Lombarda e Hopa, Bazoli e Gnutti, l’acqua santa e il diavolo, fanno affari insieme e hanno partecipazioni incrociate. Ma fino a un certo punto, se è vero che Bazoli ha detto no a un Gnutti consigliere d’amministrazione della ’sua’ banca; e se è vero che le quote del Giornale di Brescia messe in vendita a suo tempo dall’industriale Beretta sarebbero state comprate volentieri da Gnutti, se non fosse intervenuta la Fondazione Tovini a farle proprie, soprattutto per volontà di Camadini. Gnutti non se la prende, non alza la voce. Va avanti per la sua personalissima strada fatta anche di una laurea presa a 40 anni a Napoli in letteratura (anche se qualcuno dice a Salerno in pedagogia) e di una nuova finanziaria a cui dà il nome di ’Quinta G’, in omaggio ai suoi vecchi compagni dell’Itis. E quando va a vivere in villa, lo fa nel suo vecchio quartiere Lamarmora, dove impianta anche l’avveniristico Millennium, un mega complesso fatto di palestre, beauty farm e sport & fitness, nei cui sotterranei tiene la sua collezione di 150 macchine, con quattro meccanici. Giuseppe Lisbona