Corriere della Sera 26/09/2005, pag.27 Sergio Romano, 26 settembre 2005
Lyndon Johnson, dal New Deal al Vietnam. Corriere della Sera 26/09/2005. Le scrivo per chiederle un giudizio storico sul 36? presidente statunitense Lyndon Johnson
Lyndon Johnson, dal New Deal al Vietnam. Corriere della Sera 26/09/2005. Le scrivo per chiederle un giudizio storico sul 36? presidente statunitense Lyndon Johnson. Secondo molti critici attuali fu un ottimo presidente, con eccellenti programmi politici e sociali (come la «Grande Società» o la legislazione sui diritti civili dei neri), fu un personaggio abile politicamente e pacifista personalmente. Furono i suoi collaboratori e l’amministrazione precedente ad impantanarlo in Vietnam. Altri saggisti invece (e io concordo pienamente con questi) danno un giudizio negativo su Johnson sottolineando le sue responsabilità nell’incidente del Golfo del Tonchino (che fece iniziare la guerra). A mio parere il giudizio storico su un personaggio non può in alcun modo non tenere conto dei milioni di morti causati da una guerra insensata e sciocca. Se così fosse molti altri personaggi storici (leggi ad esempio Mussolini) potrebbero, scorporando le loro responsabilità belliche, passare alla storia tutto sommato come personaggi positivi. Sono curioso di sapere che cosa ne pensa lei. Riccardo Ronchese riccardo.ronchese@libero.it Caro Ronchese, mentre leggevo la sua lettera ho rivisto con la mente una immagine degli anni Sessanta. Lyndon Johnson era sul prato della Casa Bianca e parlava con un gruppo di giornalisti che gli facevano domande insistenti sulle sue condizioni di salute e, in particolare, su una operazione alla cistifellea che aveva subito due settimane prima. Erano finiti gli anni in cui un presidente poteva essere vittima di un grave collasso, come Woodrow Wilson, o soffrire dei postumi della poliomielite, come Franklin Delano Roosevelt, senza che la stampa e la pubblica opinione si ritenessero autorizzate a fare domande indiscrete sulla sua idoneità fisica a esercitare le responsabilità dell’incarico. Erano cominciati gli anni in cui la salute di un uomo pubblico era una casa di vetro in cui tutti avevano il diritto di sbirciare. I giornalisti sospettavano che l’operazione alla cistifellea nascondesse un male più serio e facevano domande sempre più circostanziate e invasive. Dopo avere dato qualche risposta, Johnson smise di parlare, aprì la cintura dei calzoni, sbottonò la camicia, tirò su la maglia e mostrò il lungo zig zag della cicatrice che gli attraversava l’addome. Così era fatto Lyndon B. Johnson. Era nato in una famiglia piccolo-borghese del Texas, aveva terminato gli studi in un modesto college dello Stato ed era diventato insegnante. Ma era attratto dalla politica e dimostrò di sapere raccogliere voti, stringere amicizie, creare quei rapporti di scambio che favoriscono il successo di un candidato e gli permettono di controllare il collegio. Divenne così, dopo il matrimonio con una signora della buona borghesia, il miglior «uomo di macchina» del Partito democratico. Ma non era soltanto un abile politicante. Era stato membro della Camera dei rappresentanti all’epoca del New Deal e credeva sinceramente nell’ispirazione popolare delle grandi riforme volute da Roosevelt negli anni Trenta. Nel 1960, quando John F. Kennedy presentò la sua candidatura alla presidenza, la convenzione democratica scelse il giovane senatore del Massachusetts, ma volle affiancargli un uomo più anziano, esperto e soprattutto capace di tutelare gli interessi del partito. Nei giorni in cui l’assassinio di Dallas fece di lui il 36? presidente americano, molti in Europa credettero che avrebbe colmato un vuoto sino alla scadenza del mandato. Ma dimostrò di essere, sul piano sociale, molto più energico, coraggioso e avanzato del suo predecessore. Completò la legislazione sui diritti civili, introdusse una generosa legge federale sull’istruzione e fece approvare un servizio sanitario per gli anziani (Medicare). La sua «Great Society» fu un tentativo, per molti aspetti riuscito, di aggiornare nell’America degli anni Sessanta il programma riformatore di Roosevelt. Rimane sulla sua reputazione, beninteso, la macchia del Vietnam. Johnson ereditò la politica vietnamita dei suoi predecessori, credette che il Vietnam rappresentasse un pericolo per l’Asia e scivolò, da un errore all’altro, lungo la china di una guerra tragica e assurda. Ma il messaggio alla nazione, con cui annunciò che sarebbe uscito di scena nel 1968 per consentire al Paese di scegliere un nuovo presidente e di voltare pagina, fu una dimostrazione d’intelligenza politica e di carattere. Sergio Romano