Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2005  settembre 25 Domenica calendario

I bambini nel villaggio dei morti. La Repubblica 25/09/2005. Fiagdon. Il loro gioco è questo. Raccattano un sassolino a testa dal letto del torrente Gizeldon, badando che sia sferico e leggero come il nocciolo di un´amarena

I bambini nel villaggio dei morti. La Repubblica 25/09/2005. Fiagdon. Il loro gioco è questo. Raccattano un sassolino a testa dal letto del torrente Gizeldon, badando che sia sferico e leggero come il nocciolo di un´amarena. Poi tirano al gallo Felix, quando tronfio si erge a cantare sullo steccato dell´orto. A chi fallisce il colpo, non riuscendo a innescarne la planata tra le cinque chiocce nere, tocca di fare il morto. Gerikhan, 12 anni, Madina, 10 anni, Zerassa, 7 anni, Fatima, 4 anni, salgono allora in processione tra i viottoli del villaggio abbandonato. Passano tra montagne di neve, o in mezzo a foreste di ortiche. Superano silenziosamente le torri diroccate, i muretti a secco incombenti ormai verso la valle, ciò che resta delle dimore degli avi. Giungono infine tra i sepolcri, solitamente all´alba, o quando dai pascoli del Caucaso risale una stella. Lo sconfitto si arrampica sulla facciata delle cripte medievali, costruite di sassi e calce mescolata con latte di cavalla. Saluta i compagni con un inchino del capo e, attraverso il pertugio riservato ai sarcofagi, scompare in una delle tre cavità sovrapposte. Sosta quindi così tra ossa, teschi, casse toraciche mummificate, brandelli di corpi con le vesti assorbite, fino a quando non sarà giunta l´ora di mungere le pecore. Nessuno conosce i pensieri del condannato dal gallo: ma la conta dei decessi e delle mitizzate resurrezioni, consente ai bambini della città dei morti di non smarrire la percezione del tempo. Fiagdon, acqua chiara in lingua osseta, è l´estremo custode del mistero che unisce i popoli dell´Ossezia, dell´Inguscezia, della Cecenia, del Daghestan e della Georgia. Il villaggio antico, roccaforte lungo la via della seta all´incrocio tra Asia ed Europa, resiste a mezza costa alle pendici del monte Kazbek. I tratturi sono battuti da guerriglieri, pastori, contrabbandieri di vodka, mercanti di oppio e di armi, bracconieri, militari russi e migranti clandestini. Ragazzi-soldato, dimenticati in postazioni che ricordano bivacchi da montanari, per un pacchetto di sigarette alzano a chiunque la sbarra che segnala l´indefinito confine silvano tra le repubbliche del Caucaso del Nord. I loro kalashnikov grattano la ruggine dalla canna limitandosi a mirare volpi, o famiglie di lepri. nel mondo immobile e ribollente dell´indipendentismo anti-russo, sopra il limite della vegetazione selvaggia che chiude le gole della provincia di Prigorodnij, che sono stati abbandonati i bambini che giocano a morire per sentirsi vivi. Gerikhan e Zerassa sono osseti, Madina inguscia, Fatima cecena. Il loro incarico è presidiare il lembo più elevato e meridionale del territorio di Vladikavkaz. Pascolano un gregge di 123 capi. Sorvegliano una trentina di macchie e radure. Conservano le 99 tombe del cimitero degli alani, il popolo che arginò l´avanzata dei turchi verso le pianure del Don. Una necropoli segreta, grande quanto la valle dei faraoni in Egitto, affidata ai giovani eredi dei clan più potenti del Caucaso settentrionale. Assieme a loro, tra le rovine, solo due vecchi: Batras, 86 anni, e Zalina, 82 inverni. Sono sopravvissuti alla medesima missione, attendono di entrare per l´ultima volta nella cavità di una dimora per i defunti. I genitori dei bambini, sparsi tra Karmadon e Dargavs, da tempo lavorano in città. Tornano al cimitero una volta alla settimana. Contano i capi di bestiame, ascoltano il rapporto dei figli, controllano lo stato di conservazione delle tombe e delle centinaia di salme. Percorrono le gallerie scavate nella montagna, sotto il paese fortificato. Nel buio, al tepore della terra, si nascondevano i combattenti contro i musulmani che, dando la caccia ai cristiani, acquisivano i pascoli dove si allevano gli agnelli più delicati dell´Eurasia. Un´erba unica, simile ad un basilico selvatico, rende la loro carne dolce e profumata. Nei cunicoli, occultati tra i letamai, le milizie federali danno oggi la caccia agli estremisti ceceni e agli ingusci che avrebbero saldato secessionismo caucasico e fondamentalismo wahabita. Su una pietra si legge: «Basaiev vive per noi». La città dei morti dell´Ossezia del Nord, un´ora e mezzo di Zhigulì più due ore di scarponi da Beslan, è l´incunabolo ambiguo del conflitto tra pace e guerra. Il tempo appare arrestato al medioevo, lo spazio testimonia dei secolari ma inesausti scontri. La torre di guardia dei Mamsurov, 15 metri di pietrame, la più alta da combattimento rimasta nel Caucaso, domina le cripte del IX secolo, seminterrate, e quelle sopraelevate del 1300. Qui però i bambini-custodi ancora seppelliscono i pagani che si ostinano a venerare piante, sassi, ruscelli, aquile, sole e stelle. Vecchi, ma pure un numero impressionante di neonati, vengono infilati nelle case-tombe dentro casse di legno. Quando il piano superiore risulta esaurito, i cadaveri più antichi sono retrocessi alla cantina. Il trasloco è chiamato «rotazione degli avi»: i vecchi, attraversato il cielo, tornano nella terra. Il clima è secco e ventoso. La bare presto sfarinano, mentre i corpi non si decompongono nemmeno a distanza di decenni. Mummificati dalla natura, dall´aria e dal sole riflesso dall´erba: defunti di dieci secoli fa, accanto a morti dell´anno scorso. Generazioni conservate affinché la storia delle stirpi non vada perduta. «Quando una persona si ammalava di peste, o di vaiolo - dice il piccolo Gerikhan - si ritirava nel sepolcro con acqua e pane. Tra gli antenati aspettava il compimento del suo destino, salvando i vivi dal contagio». Indica la necropoli degli infetti, dove i teschi sono ordinatamente allineati a ricomporre famiglie divise dalle epidemie. Madina conosce a memoria i nomi di oltre mille defunti. Una volta al mese striscia nei pertugi e, per giorni, nella penombra aggiusta i corpi che l´atmosfera sfalda. I riti politeisti, confusi con la cristianità ortodossa e con l´islam, segnano la superstizione dei popoli del Caucaso. I bambini di Fiagdon devono così «fare compagnia» agli antenati, «tenerli puliti e intatti», divisi per clan e per villaggio. Hanno però anche il compito di metterli in comunicazione con la vita terrena. Chi è sepolto a Dargavs, o a Tsoi-Pede in Cecenia, a Shoan in Inguscezia, nella vicina Karmadon, deve essere felice e accompagnare con delicatezza la sorte dei vivi. «Il nostro paese-cimitero - dice Zerassa - ha una sola lampadina, verso valle. Serve a guidare gli scheletri quando, nelle notti d´inverno, tornano a percorrere i sentieri che collegano l´Elbrus al Mar Nero. Il lume però fa coraggio anche a noi: vivere in una necropoli sommersa tra i monti, senza un adulto a raccontare una favola, certi giorni fa venire voglia di fuggire». Nemmeno Stalin, georgiano, ha osato infrangere l´incantesimo che armonizza credenza, ragione e spirito nel villaggio dei bambini che nascono e vivono fra i morti. A Fiagdon il comunismo non è mai arrivato. Le purghe, le deportazioni di massa, non hanno risalito il ghiacciaio di Kolka. Secondo la medesima legge anche il crollo dell´Urss, l´avvento degli oligarchi, il regno di Putin, si sono fermati più in basso. Qui, ognuno lo sa, non si deve toccare nulla. Batras e Zalina, i patriarchi che insegnano ai piccoli a riconoscere i corpi dall´inclinazione degli zigomi, fino a pochi mesi fa pensavano che al Cremlino regnasse ancora Boris Eltsin. Solo una notizia, il 3 settembre dell´anno scorso, ha tempestivamente invaso il deserto delle rovine: la strage dei bambini nella scuola di Beslan. stato quel giorno che, per la prima volta, hanno saputo che la Russia ubbidisce a Vladimir Putin. La violenza di quelle ore, in cui l´umanità si è sospesa da se stessa, ha ricordato il crollo improvviso del nevaio sul Kazbek. Anche nel 2002 era settembre: sul crinale di fronte al cimitero scomparvero il giovane regista Serghej Brodrov, la sua troupe, una quarantina di ragazzi stesi al sole 40 chilometri più a valle. Un´area corrispondente all´Armenia ha mutato aspetto, clima, vegetazione, cultura. «Quei mattini rallentati dalle nebbie - dice Batras - un falco si è spinto sull´uscio della baracca. Sapevo che recava l´annuncio di un numero grande di anime: ho aperto loro la via sotto i tetti dei sepolcri, costruiti con pietre piatte affinché gli uccelli possano sostare, accompagnando i morti con il canto». Il segreto di Fiagdon non è fatto di parole, ma protetto dai silenzi. L´equilibrio che regge il rapporto tra infanzia e scomparsa, chiude però il cerchio del Caucaso. Nella necropoli affidata a quattro bambini, iniziano e terminano i cataclismi della natura, le tragedie umane, l´assenza di uno Stato e la lotta per la libertà. C´è tutto, nel drammatico monumento all´essenzialità. I bambini, assistiti dai vecchi che hanno consumato il loro stesso destino, tornano centro della storia e dell´umanità. Vivono in quattro stanze tinteggiate d´azzurro e se devono chiedere aiuto, alzano un drappo rosso in cima a un leccio. Un altro bambino, quattro volte al giorno, dalla valle volge un binocolo verso la pianta dei segnali. Nel mistero di questi gesti, nell´ubbidienza incondizionata alla gerarchia famigliare e pubblica, nel confronto mancato tra cristianità e islamismo, si nasconde la chiave delle guerre che scuotono Mosca, Grozny, Nazran, Vladikavkaz, Makhalckalà, Tbilisi. «Nessuno comanda - dice la vecchia Zalina - dove gli umani sono educati dal silenzio e dal vento». Davanti alla dimora di Gerikhan, Madina, Zerassa e Fatima, incastrata tra le rovine, è stato collocato un tavolo. Sopra, due scarpe da ginnastica bianche. Qualcuno le ha portate qui dalla palestra della scuola di Beslan, dopo l´assalto dei terroristi inguscio-ceceni e la strage di bambini causata dall´intervento dei reparti russi. Le due scarpe di Beslan, esposte da oltre un anno, sono l´estremo segreto della città dei morti. Non si sa chi le abbia appoggiate, davanti ai sarcofagi delle vittime del Caucaso. Impossibile capire se annuncino una vendetta, o chiedano pietà: se onorino le vittime, se invochino giustizia, o se accusino i carnefici. Sono qui, una dirompente denuncia silenziosa: davanti a quattro bambini che, in un villaggio-cimitero, tirano il loro sasso leggero contro il gallo che li condanna. Giampaolo Visetti