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 2005  settembre 22 Giovedì calendario

Il governatore non salvò l´oro. La Repubblica 22/09/2005. Per ritrovare nella storia della Banca d´Italia un periodo più burrascoso dell´attuale bisogna tornare indietro di decenni, nella temperie della guerra e dell´occupazione tedesca, quando l´allora governatore Vincenzo Azzolini assunse comportamenti pavidi e arrendevoli nei confronti dei tedeschi

Il governatore non salvò l´oro. La Repubblica 22/09/2005. Per ritrovare nella storia della Banca d´Italia un periodo più burrascoso dell´attuale bisogna tornare indietro di decenni, nella temperie della guerra e dell´occupazione tedesca, quando l´allora governatore Vincenzo Azzolini assunse comportamenti pavidi e arrendevoli nei confronti dei tedeschi. Egli non mancava peraltro di esperienza, in quanto aveva assunto l´incarico di direttore generale nel 1928 e di governatore nel 1931. Le riserve auree conservate nei forzieri dell´Istituto di Via Nazionale erano ambite dall´alleato-nemico, tanto è vero che nell´agosto 1943 il maresciallo Badoglio aveva suggerito il trasferimento dell´oro in Piemonte e subito dopo l´armistizio il colonnello Cordero Lanza di Montezemolo, promotore della Resistenza monarchica romana, gli aveva illustrato un progetto per il trasporto clandestino delle riserve auree in Sardegna, fuori dal controllo dell´occupante. Il governatore temporeggiò, perse tempo prezioso e restò inerte sino al 19 settembre, quando seppe che l´indomani una delegazione germanica avrebbe ispezionato la sede di Via Nazionale onde predisporre il ritiro dell´oro. Dall´immediato consulto dei più stretti collaboratori uscì la risoluzione di giocare d´astuzia. Nella notte venne costruita in tutta fretta una parete divisoria, dietro la quale fu ammonticchiata una quantità di oro; lampade fortissime e ventilatori azionati a tutta forza asciugarono l´umidità, per togliere all´intercapedine l´aspetto «fresco». Terminati i lavori, mancavano una manciata di ore all´indesiderata visita. La tensione salì alle stelle e a un certo punto il governatore cadde preda di un attacco di terrore, nel raffigurarsi la punizione che lo avrebbe colpito in caso di scoperta del trucco. Incapace di reggere la situazione, Azzolini rovesciò l´originaria decisione e ordinò l´immediata rimozione del muro, tolto di mezzo in tutta fretta, appena prima dell´arrivo dell´ambasciatore Moellhausen e dell´ufficiale delle SS Kappler, ai quali mostrò il tesoro della Banca d´Italia: 119 chilogrammi d´oro, «ritirati» di lì a poco. A quel prelievo ne seguirono altri, agevolati dall´intesa Hitler-Mussolini di fine novembre a Fortezza (Bolzano) e all´accordo di Fasano del Garda (Brescia) del 5 febbraio 1944 che - su disposizione del ministro Domenico Pellegrini Giampietro - pose le riserve centrali alla mercé tedesca, quale contributo alle spese per la «protezione» dell´Italia centro-settentrionale. Detto in altri termini la RSI pagava ai tedeschi i costi dell´occupazione militare, con una decisione simboleggiante la subalternità collaborazionistica. Ad inizio marzo partirono verso la sede berlinese della Reichsbank 64 chili di oro e successivamente il ministero degli Esteri del Reich incamerò 7.140 kg. di metallo prezioso. Con la liberazione di Roma i nodi vennero al pettine. Rimosso dall´alto incarico, Azzolini fu posto agli arresti domiciliari il 12 giugno 1944 e imprigionato a Regina Coeli in agosto. Un paio di mesi più tardi l´Alta Corte di Giustizia gli inflisse trent´anni per collaborazionismo, sulla base del Codice penale militare di guerra, per «grave fellonia», infrazione ai «doveri di fedeltà» e concessione di «validissimo aiuto al secolare nemico dell´Italia». Le sentenze dell´Alta Corte non erano soggette a impugnazione, la pena era definitiva e dunque l´ex governatore avrebbe finito i suoi giorni dietro le sbarre. Trasferito nel penitenziario di Procida, acquistò l´identità del numero di matricola 7393; ingolfato nella divisa da galeotto, dovette tagliarsi la caratteristica barba, vietata dal regolamento. Condivise la prigionia con ex gerarchi e con loro, per impegnare utilmente il tempo, allestì in una camerata un corso d´istruzione: insegnava diritto amministrativo e scienza delle finanze, ma all´occasione impartiva anche lezioni di storia antica, sua vera passione. Colleghi di cattedra erano l´ex ministro delle Finanze Giacomo Acerbo (doveva scontare 30 anni) e l´ex sottosegretario agli Esteri Fulvio Suvich (condannato all´ergastolo). Mese dopo mese lo slancio dell´epurazione s´incagliò e al mutamento di fase politica si accompagnò il ritrovato protagonismo della Suprema Corte di Cassazione che, mentre in un primo momento aveva legittimato molte sentenze delle Corti straordinarie d´assise (incluse diverse pene capitali), nella primavera 1946 cancellò metodicamente le condanne dei fascisti, senza fermarsi nemmeno dinanzi alla giurisprudenza dell´Alta Corte di Giustizia. Tale attività si accelerò con l´emanazione dell´amnistia Togliatti - 22 giugno 1946 - divenuta l´appiglio di assoluzioni e scarcerazioni generalizzate. Per Azzolini, pur condannato in via definitiva, si riaccendeva la speranza. Il ricorso alla Sezione speciale della Corte d´Assise di Roma gli fruttò, a fine settembre 1946, la scarcerazione provvisoria, in attesa della pronunzia da parte della Cassazione, unico organo in grado di cancellare le sentenze dell´Alta Corte di Giustizia, seppure non soggette a riesame. Il 14 febbraio 1948 l´ex governatore fu prosciolto dal reato di collaborazionismo, dalla Cassazione penale a sezioni unite, per mancanza dell´elemento psicologico, poiché avrebbe agito in stato confusionale, dominato dagli eventi: «L´inesatta comprensione delle circostanze del momento e la condotta negligente, che agevolarono l´asportazione da parte dei tedeschi dell´oro della Banca d´Italia, sono situazioni psicologiche incompatibili con la volontà di aiutare i disegni del nemico». Per i giudici, la mancanza del requisito soggettivo dell´«intenzionalità» costituiva la «prova convincente che l´Azzolini non volle col trasferimento dell´oro da Roma nel Nord favorire i disegni del tedesco invasore». L´azione del trepidante governatore, pur contraria all´interesse della Banca d´Italia, mirava all´autotutela e non al favoreggiamento del nemico. Lo «smuramento», interpretato nel 1944 dall´Alta Corte di Giustizia quale prova a carico, diveniva nel 1948 per la Cassazione elemento a favore: «Le ragioni della rimessione dell´oro nel pristino luogo sono ben comprensibili quando si pensi al rischio gravissimo ed immediato che l´oro avrebbe corso ove i tedeschi, che già controllavano ogni movimento dell´istituto di emissione, avessero avuto sentore del nascondimento». Azzolini aveva insomma tentato «nei limiti delle sue possibilità e con gli accorgimenti che le circostanze consentivano, di impedire l´evento cui i tedeschi tendevano», assumendo «posizione antitetica a quella del collaborazionista, che va incontro al nemico del quale cerca di attuare i disegni militari o politici». Obbligato, pertanto, il proscioglimento, tanto per il primo prelievo (precedente la costituzione della RSI) che per i successivi: «l´impossessamento dell´oro da parte dei tedeschi, avvenuto in seguito all´accordo di Fasano, non può e non deve essere rimproverato all´Azzolini per il fatto del quale anzi le mire dei tedeschi furono, in un primo momento, frustrate ed eluse». Per scagionare il governatore si ventilarono responsabilità a carico del ministro Pellegrini Giampietro, firmatario degli accordi italo-tedeschi, arrestato la primavera 1945 e poi evaso, condannato in contumacia dall´Alta Corte di Giustizia a 30 anni. In contraddizione con questo assunto, la Cassazione avrebbe poi prosciolto il ministro delle Finanze della RSI, con una sentenza che riconduceva le responsabilità per la depredazione dell´oro... ad Azzolini. Lo sconcertante palleggiamento incrociato di colpe era funzionale all´assoluzione dei due massimi dirigenti della finanza pubblica nell´Italia occupata, anche se le rispettive responsabilità erano ben diverse: mentre il governatore era un don Abbondio che antepose la propria sicurezza ai doveri professionali, il ministro era un fascista intransigente e figura di spicco della RSI. Tra guerra e dopoguerra sentenze definitive venivano ribaltate, alla condanna per reati infamanti si sostituiva la riabilitazione. I mutamenti politici trovavano rispondenza nell´operato della magistratura e dopo i sussulti giustizialisti del 1945 il Paese si assestava su equilibri moderati, di continuità istituzionale. Mimmo Franzinelli