MACCHINA DEL TEMPO SETTEMBRE 2005, 27 settembre 2005
Il dolore degli altri. Come mai, quando vediamo una scena di un film in cui qualcuno è sottoposto a un dolore fisico, avvertiamo quel dolore come fosse nostro? La risposta arriva da uno studio condotto da Salvatore Aglioti e dal suo team del dipartimento di Psicologia dell’Università di Roma La Sapienza
Il dolore degli altri. Come mai, quando vediamo una scena di un film in cui qualcuno è sottoposto a un dolore fisico, avvertiamo quel dolore come fosse nostro? La risposta arriva da uno studio condotto da Salvatore Aglioti e dal suo team del dipartimento di Psicologia dell’Università di Roma La Sapienza. I ricercatori hanno monitorato l’attività della corteccia motoria di alcuni volontari mentre guardavano videoclip in cui un ago penetrava in una mano, un cotton fioc toccava la mano nello stesso punto e un ago penetrava in un pomodoro. La mano non apparteneva ad alcuna persona cara, in modo da escludere implicazioni emotive. Quando i partecipanti guardavano l’ago penetrare nella mano il loro sistema motorio riduceva l’eccitabilità, come se essi stessi provassero dolore. Quanto più i volontari ritenevano che l’altro stesse soffrendo, tanto più si spegneva l’area della corteccia motoria, come per creare una sorta di anestesia. Non accadeva invece nulla di simile quando i soggetti guardavano l’ago penetrare nel pomodoro. Queste reazioni al dolore altrui si innescano in modo del tutto involontario e senza alcuna correlazione con la sfera emotiva. L’ipotesi dei ricercatori italiani è che questo tipo di empatia rappresenti forse l’esempio più primitivo d’apprendimento sociale.