varie, 27 settembre 2005
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Penn Irving
• Plainfield (Stati Uniti) 16 giugno 1917, Manhattan (Stati Uniti) 7 ottobre 2009. Fotografo. Fratello di Arthur. «’Col tempo ho imparato la disciplina di non guardare le riviste quando vengono pubblicate, perché fanno troppo male”, osserva Irving Penn dopo più di mezzo secolo dedicato alla fotografia. [...] è un perfezionista non solo del clic, ma anche della stampa, ogni volta che vede riprodotta sulla carta patinata una sua creazione ha un colpo al cuore. Eppure col suo lavoro ha un rapporto di amore-odio, se da più di mezzo secolo insiste a continuare la sua collaborazione con ”Vogue”, che gli dedicò la prima copertina, una natura morta, nel 1943. ”Il fatto è che un fotografo moderno ha bisogno di comunicare ad ampio raggio e dunque fa di tutto per essere pubblicato” [...] Appena finito il liceo, si iscrisse alla Scuola di Arte Industriale del museo di Filadelfia, dove studiò design con Alexey Brodovitch. Arrivato a New York cominciò a cimentarsi nella grafica. Non era la sua strada, così se ne andò a dipingere in Messico per un anno, tanto quanto gli bastò a capire che non era ancora approdato da nessun parte. Fu Alexander Liberman, art director di ”Vogue” a offrirgli un posto in banchina. Più che una collaborazione, diventò un sodalizio. Da quell’ormeggio Irving Penn levava le vele continuamente.Mentre i ritratti di modelle inguainate negli abiti di Dior, Chanel, Rochas, Lanvin spiccavano come sculture dalle pagine di ”Vogue”, nel suo studio, quasi a nobilitarsi, immortalava i protagonisti della cultura del nostro tempo. Negli anni Cinquanta posarono per lui Tennessee Williams, Colette, William de Kooning, Alberto Giacometti, Cecil Beaton, nei Sessanta Francis Bacon, Bashevi Singer, David Smith. Steinberg, Perelman poi sulla Costa Azzurra andò a immortalare Pablo Picasso e Somerset Maugham. Ma non era soddisfatto nemmeno di questo. Così a Parigi si dedicò ad altri protagonisti. Quelli dei mestieri: dall’idraulico, al falegname, il postino o il senzatetto. Ognuno dei suoi soggetti, famoso o no, nell’atmosfera rarefatta e minimalista del suo studio veniva messo con le spalle al muro per venire isolato nella sua solitudine. Il risultato erano immagini eleganti, essenziali, fuori del tempo. Anche il venditore di cocomeri, in pantaloni neri stracciati, a torso nudo con un tatuaggio di donna sul petto, attraverso l’obiettivo di Penn, sfoggia la stessa eleganza di una Lisa Fonssgrives, la modella, che poi diventò sua moglie. Variare i soggetti, però, non bastava a Penn per sentirsi libero. Tra una posa e l’altra scappava in California a raccontare la beat generation, in Nuova Guinea tra gli Asaro in assetto di guerra o pronti per una cerimonia, in Marocco a svelare le donne musulmane, in Spagna per avvicinare gli zingari, nelle Ande a captare la saggezza dei vecchi e l’innocenza dei bambini, mentre nello studio di New York proponeva a Woody Allen di trasformarsi in un depresso Charlie Chaplin o dava ai mozziconi di sigarette la stessa dignità degli esseri umani. Tutto questo è ancora Irving Penn. Un uomo, curioso, perfezionista, assetato di vita e di bellezza, ma forse prigioniero dell’estetismo cristallizzato nelle sue immagini» (Fiamma Arditi, ”La Stampa” 26/9/2005).