varie, 27 settembre 2005
ORENGO
ORENGO Nico (Nicola) Torino 24 febbraio 1944, Torino 30 maggio 2009. Scrittore. Per anni curatore dell’inserto culturale della Stampa ”Tutto libri”. Ha pubblicato, tra l’altro, A- ulì-ulè, filastrocche, conte, ninne nanne (Einaudi, 1972) Miramare (Marsilio, 1976); Dogana d’amore (Rizzoli, 1987, Premio Hemingway); Ribes (Einaudi, 1981); Le rose di evita (Einaudi, 1990), Gli spiccioli di Montale (Theoria, 1992, Premio Pavese); L’ospite celeste (Einaudi, 1999). «Pochi altri scrittori hanno il dono, come Nico Orengo, di vedere il paesaggio, di coglierlo e di raccontarlo – con straordinaria grazia – come si racconta qualcosa che da sempre appartiene, amata e familiare. Né egli si limita a narrarne l’aspetto esteriore, i profili, i colori e gli odori, ma ce ne restituisce anche l’anima e la storia, i mutamenti che ha subito, le violenze che lo hanno devastato, il cuore vero che è, invece, riuscito qua e là a conservare. [...]» (Isabella Bossi Fedrigotti, ”Corriere della Sera” 10/10/2005). «Una parola che ha il sapore del mare, la cui natura marina ha il tepore del Mediterraneo, dove la luce è sospesa tra sogno e crudezza e il sentimento si ferma prima della nostalgia, è ciò a cui Nico Orengo sta lavorando da anni in una realtà narrativa come quella italiana. [...] è nato a Torino, ma le sue radici sono nell’estremo Ponente ligure, pubblica dalla fine degli anni Sessanta libri come Dogana d’amore, Le rose di Evita, La guerra del basilico, Il salto dell’acciuga, Miramare e L’autunno della signora Waal, storie che vivono costantemente della presenza marina [...] ”La Liguria di cui parlo io ha dietro di sé, ma distanti, le piccole Alpi; la sua non è una verticalità eccessiva. Si tratta di un territorio continuamente mitigato da ulivi, ginestre, mimose e giardini [...] Il mare lo raccontano bene Stevenson e Conrad. Tra gli italiani io ricordo Raffaello Brignetti, Pier Antonio Quarantotti Gambini con L’onda dell’incrociatore e, più recentemente, la Ortese, o La Capria in Ferito a morte. Devo dire però che i nostri scrittori non sembrano molto interessati a scrivere di mare; anche i siciliani che il mare l’hanno lì davanti, da Sciascia a Consolo a Bufalino, in realtà non ne parlano poi molto. Chi l’ha raccontato bene è Biamonti, anche se è più uno scrittore di terra, della Liguria d’interno. [...] La scrittura ha bisogno della precisione; esiste un paesaggio che tende ad allontanarsi, a modificarsi, a scolorirsi, e in qualche modo parlarne serve a tenerlo vivo e forte. Se si perde la ricchezza dei termini originali si perde la ricchezza degli ambienti naturali, In questo senso il dialetto è importante e prezioso, a patto che si riesca a scioglierlo nella lingua; è un componente chimico che irrobustisce la lingua, la rende più efficace” [...]» (Andrea Begnini, ”Ventiquattro” giugno 2002).