Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2005  settembre 27 Martedì calendario

ORENGO

ORENGO Nico (Nicola) Torino 24 febbraio 1944, Torino 30 maggio 2009. Scrittore. Per anni curatore dell’inserto culturale della Stampa ”Tutto libri”. Ha pubblicato, tra l’altro, A- ulì-ulè, filastrocche, conte, ninne nanne (Einaudi, 1972) Miramare (Marsilio, 1976); Dogana d’amore (Rizzoli, 1987, Premio Hemingway); Ribes (Einaudi, 1981); Le rose di evita (Einaudi, 1990), Gli spiccioli di Montale (Theoria, 1992, Premio Pavese); L’ospite celeste (Einaudi, 1999). «Pochi altri scrittori hanno il dono, come Nico Orengo, di vedere il paesaggio, di coglierlo e di raccontarlo – con straordinaria grazia – come si racconta qualcosa che da sempre appartiene, amata e familiare. Né egli si limita a narrarne l’aspetto esteriore, i profili, i colori e gli odori, ma ce ne restituisce anche l’anima e la storia, i mutamenti che ha subito, le violenze che lo hanno devastato, il cuore vero che è, invece, riuscito qua e là a conservare. [...]» (Isabella Bossi Fedrigotti, ”Corriere della Sera” 10/10/2005). «Una parola che ha il sapore del mare, la cui natura marina ha il tepore del Mediterraneo, dove la luce è sospesa tra sogno e crudezza e il sentimento si ferma prima della nostalgia, è ciò a cui Nico Orengo sta lavorando da anni in una realtà narrativa come quella italiana. [...] è nato a Torino, ma le sue radici sono nell’estremo Ponente ligure, pubblica dalla fine degli anni Sessanta libri come Dogana d’amore, Le rose di Evita, La guerra del basilico, Il salto dell’acciuga, Miramare e L’autunno della signora Waal, storie che vivono costantemente della presenza marina [...] ”La Liguria di cui parlo io ha dietro di sé, ma distanti, le piccole Alpi; la sua non è una verticalità eccessiva. Si tratta di un territorio continuamente mitigato da ulivi, ginestre, mimose e giardini [...] Il mare lo raccontano bene Stevenson e Conrad. Tra gli italiani io ricordo Raffaello Brignetti, Pier Antonio Quarantotti Gambini con L’onda dell’incrociatore e, più recentemente, la Ortese, o La Capria in Ferito a morte. Devo dire però che i nostri scrittori non sembrano molto interessati a scrivere di mare; anche i siciliani che il mare l’hanno lì davanti, da Sciascia a Consolo a Bufalino, in realtà non ne parlano poi molto. Chi l’ha raccontato bene è Biamonti, anche se è più uno scrittore di terra, della Liguria d’interno. [...] La scrittura ha bisogno della precisione; esiste un paesaggio che tende ad allontanarsi, a modificarsi, a scolorirsi, e in qualche modo parlarne serve a tenerlo vivo e forte. Se si perde la ricchezza dei termini originali si perde la ricchezza degli ambienti naturali, In questo senso il dialetto è importante e prezioso, a patto che si riesca a scioglierlo nella lingua; è un componente chimico che irrobustisce la lingua, la rende più efficace” [...]» (Andrea Begnini, ”Ventiquattro” giugno 2002).