Varie, 27 settembre 2005
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Jenkins Paul
• Kansas City (Stati Uniti) 12 luglio 1923. Pittore • «[...] È forse perché non è ancora morto che Paul Jenkins [...] non ha raggiunto — almeno in Italia, visto che le sue opere si trovano in prestigiosi musei e istituzioni internazionali — la notorietà dei vari Jackson Pollock, Marc Rothko, Robert Motherwell, Franz Kline di cui è stato compagno di cordata nell’avventura della pittura astratta della Scuola di New York. A partire dal 1953, Jenkins ha poi diviso equamente la sua esistenza fra la metropoli americana e l’atelier parigino, dove la sua strada ha incrociato quella di Jean Dubuffet, Antoni Tapiés e Pierre Restany. Ancora oggi la vitalità e le energie dell’artista sembrano intatte e il suo lavoro, piuttosto appartato rispetto al can can mediatico, resta sempre concentrato in ricerche sul colore, la materia, il gesto. Pittore astratto, Jenkins, ma talmente incandescente da poterlo accostare ai fauves, a Maurice de Vlamink in particolare, assieme al quale è forse il continuatore più conseguente di Paul Gauguin (Solstice Estuary, Navigator to the four winds). L’artista appare totalmente stregato dalla luce, la vive come sorgente d’inquietanti vicende cosmiche e ancestrali (Astral Tundra, Ancestral Striations); e, come Goethe, è abbagliato dalle variazioni dei colori attraverso il diaframma prismatico (Conference of the prisms). [...] la produzione [...] degli ultimi vent’anni: una trentina di acrilici su tela e una decina d’acquerelli su carta, tutti di grande formato, collegati in una serialità dal titolo preliminare, unico di Phenomena. Vi si riscontra uno stato d’ebbrezza creativa, un’orgia cromatica in cui cozzano e si scompongono meditazione zen e splendori mediterranei, anamnesi di paesaggi reali interiorizzati da un artista vagabondo. Ma la forza eruttiva, lavica, suggerita dalla pasta densa dei colori, sembra scaturire da un misterioso fondo geologico e al tempo stesso mistico del subconscio creativo, condizionato dallo spiritualismo di Vasily Kandinsky (Tantric treshold, Celtic emanation, Sacred oracle) e forse anche dal ritmo jazz di certi dipinti di Piet Mondrian. Come una linea melodica sincopata in cui il cavernoso Armstrong rincorra l’usignolo Parker» (Andrea Genovese, “Corriere della Sera” 24/9/2005).