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 2005  settembre 27 Martedì calendario

Giagnoni Gustavo

• Olbia (Sassari) 23 marzo 1932 - Folgaria (Trento) 7 agosto 2018. Calciatore. Poi allenatore. Dal ’56 al ’68 al Mantova, con una parentesi alla Reggiana (’64-’65), con due promozioni in A. Da allenatore ha firmato l’ultima ascesa del Mantova in serie A, quella del 1970-’71, subita guastata dalla retrocessione.
• «È passato alla storia come l’allenatore col colbacco, iconografia legata al suo periodo sulla panchina del Toro, per due stagioni e 19 giornate dal 1971 al 1974. Nato a Cagliari, a Mantova è cresciuto come calciatore (10 campionati, il mantovano con più presenze in A) e nato come tecnico (4 stagioni) a 32 anni, quando iniziò nel settore giovanile per poi debuttare nel ’68 in B. La sua seconda società fu proprio il Torino: in granata arrivò terzo al primo anno, poi sesto e venne esonerato al terzo. Gli subentrò Gigi Radice che nel ’76 avrebbe vinto lo scudetto e che al suo arrivo disse: ”Prendo una squadra dove il più è stato fatto”» (Roberto Pavanello, La Stampa 6/6/2006).
• «Un mediano di spinta tracagnotto e inarrestabile: sfoggia in campo la proverbiale grinta che trasmetterà, da allenatore, ai suoi giocatori. In una stagione in C, al Mantova, si toglie anche lo sfizio di segnare dieci gol [...] Uno di quegli allenatori che hanno soltanto sfiorato lo scudetto e tuttavia sono rimasti nella memoria del pubblico. Celebre per il colbacco e per l’orgogliosa opposizione al potere, diventa – dopo il decollo nel Mantova che porta in serie A nel ’71 – il simbolo del Torino che non vuol più vivere di ricordi dopo tante tragedie. L’interprete sanguigno e fedele dell’anima granata, contende alla Juve il primo scudetto dell’era di Boniperti, battuto tra mille discussioni all’ultima giornata, non sopporta la bambagia che avvolge le vicende bianconere, si ribella a modo suo, persino rifilando un pugno a Causio, che lo aveva insolentito. Dal Torino al Milan, il passo è breve: ma qui s’imbatte nelle ambizioni di Rivera, che vuole impadronirsi della società. L’avventura finisce dopo una sola stagione. Il resto è medio cabotaggio» (Dizionario del Calcio Italiano, a cura di Marco Sappino, Baldini&Castoldi 2000).
• «Era il 1958, l’anno del Mondiale in Svezia. Infuriava il Brasile di Didì, Vavà, Pelé. Noi del Mantova eravamo neopromossi in serie C. Battemmo il Legnano 8-0 e la settimana successiva ci presentammo a Lucca. Un giornale toscano titolò: ”Arriva il Mantova, piccolo Brasile”. Così cominciò la storia, che ebbe durata breve [...] Il ”Piccolo Brasile” imperversò fino all’estate successiva. Conquistammo la serie B battendo il Siena nello spareggio di Genova, in dieci contro undici, e al calciomercato la squadra cambiò. Se ne andarono in tanti, in particolare gli attaccanti Recagni e Fantini. Non fu più la stessa squadra. A onor del vero c’è un’altra versione. A Cesole, un paese della provincia, sostengono che fu una bandiera del Brasile, da loro esposta, a creare il mito di quel Mantova. Rispetto questa ricostruzione, ma non la riconosco. ”Piccolo Brasile” o no, quel Mantova scalò le montagne: dalla quarta serie di Eccellenza, una specie di C2, alla A, nel giro di pochi anni [...] Numero dieci. Interno di spola, mi definivano gli almanacchi. Correvo tanto. Mi rivedo un po’ in Gattuso [...] Nel 1964-65 mi trasferii un anno in prestito alla Reggiana. Tornai a Mantova e mi reiventai come libero di costruzione, alla Scirea, nel maggio ’67 giocai la famosa partita contro l’Inter, quella della papera di Sarti che costò lo scudetto ai nerazzurri; quel giorno ero il capitano del Mantova”. Nel ’68 diventò allenatore. ”Cominciai dal settore giovanile del Mantova, all’inizio del ’69 mi affidarono la prima squadra. Nel 1970-’71 vincemmo la serie B [...] Ero un tecnico emergente. Facevo praticare un gioco aggressivo, con i primi rudimenti di pressing. Passai al Torino e poi al Milan”» (Sebastiano Vernazza, La Gazzetta dello Sport 23/9/2005).