varie, 27 settembre 2005
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AL SHAHRISTANI Hussein Kerbala (Iraq) agosto 1942. Fisico. Politico. «Un moderato vicino alle posizioni di al-Sistani, principale autorità sciita del Paese
AL SHAHRISTANI Hussein Kerbala (Iraq) agosto 1942. Fisico. Politico. «Un moderato vicino alle posizioni di al-Sistani, principale autorità sciita del Paese. Il 4 aprile 2005, al-Shahristani è stato eletto vicepresidente del Parlamento iracheno (il presidente è il sunnita Hajem al-Hassani, l’altro vice il curdo Aref Tayfur). Valente scienziato, in passato ha guidato la Commissioneper l’energia atomica irachena. Fu arrestato nel1979 per essersi opposto ai progetti del regime per la costruzione di armi nucleari. Per dieci anni, è stato rinchiuso nel carcere Abu Ghraib di Baghdad, dal quale riuscì a fuggire nel 1991 durante l’operazione ”Desert Storm”. In seguito, ha lavorato per alcuni organismi umanitari in Iran e a Londra. Attualmente fa parte dell’Uspid, Unione scienziati per il disarmo, l’emanazione italiana del movimento internazionale ”Pugwash” (’La Stampa” 25/9/2005). «[...] lo scienziato che ha detto no a Saddam rifiutandosi di dargli l’arma atomica [...] ”Lo conoscevo già da prima che diventasse presidente, perché io ero nella Commissione irachena per l’Energia Atomica e Saddam, come vicepresidente della Repubblica dell’Iraq, doveva interagire con noi. Già allora avevo capito che persona fosse: vendicativo e autoritario. Nel 1979, quando si è autonominato presidente, io ero il capo scientifico della Commissione e Saddam fu chiaro: voleva dirigere la nostra ricerca verso le applicazioni militari, ma io non ero affatto disponibile [...] anziché dire che non volevo lavorare alle armi, ho cominciato a contestare apertamente le violazioni dei diritti umani del regime, pensando che così sarei stato fatto fuori dalla Commissione e avrei evitato di lavorare all’atomica. [...] sono un credente e la religione musulmana su questo è chiara: la conoscenza deve essere usata solo per il bene dell’umanità. [...] lo conoscevo, sapevo bene chi fosse [...] Nel dicembre del ”79 mi arrestarono e mi torturarono per 22 giorni e 22 notti. Non volevano lasciare segni permanenti sul mio corpo. Ed erano veramente bravi a torturare: non ho un segno addosso. Mi attaccarono al soffitto con le braccia legate dietro la schiena per far saltare i nervi delle spalle e mi applicarono la corrente sui genitali e le altre parti sensibili. Non volevano lasciare prove perché ero uno scienziato molto in vista anche a livello internazionale. Pensavano che alla fine sarei crollato e avrei accettato di tornare in laboratorio a lavorare alle armi [...] Sei mesi dopo l’arresto, venne da me il capo della sicurezza dell’Iraq, il fratellastro di Saddam, e mi disse che Hussein era dispiaciuto e che mi voleva di nuovo al lavoro. Fu molto diretto: abbiamo bisogno di costruire la bomba, mi disse [...] Saddam era semplicemente interessato al potere: quando gli conveniva essere religioso, lo era, quando gli serviva stare dalla parte dei russi, faceva il filosocialista. Voleva la bomb aper ridisegnare la mappa del Medio Oriente e alla fine, con il petrolio del Golfo, l’Iraq di Saddam sarebbe diventato un superpotenza [...] Gli dissi che non ero in grado di lavorare, dopo tutte quelle torture. Lui mi guardò e disse che è dovere di ogni uomo servire il proprio Paese: chi non è disposto a farlo non merita di vivere. Mi assicurò che, se avessi accettato, mi avrebbero mandato i migliori dottori e mi avrebbero preparato un posto nel palazzo presidenziale, dove avrei goduto di tutti i privilegi e i lussi che volevo [...] Dieci anni di isolamento ad Abu Ghraib: dal maggio dell’80 a quello del ”90. La guardia che mi portava da mangiare non poteva dirmi una sola parola, non avevo carta né libri né giornali, neppure quelli di regime. Alcuni sono impazziti. Io, invece, cercavo di pregare quando avevo bisogno di parlare. Poi, dopo due anni, la guardia che mi portava da mangiare mi disse: ”Dottor Hussein, sappiamo tutto, il Paese è orgoglioso di lei. Se posso fare qualcosa, me lo dica”. Io pensavo fosse un trucco della sicurezza per incastrarmi, così rifiutai. Alla fine, però, tra noi si creò un rapporto di fiducia e cominciammo a pianificare la mia fuga: la guardia mi diede perfino una copia della chiave della prigione, ma sapevo benissimo che, se fossi scappato, il regime sarebbe andato a cercare mia moglie e i figli. Quando però, nel ”91, gli Usa attaccarono l’Iraq per l’operazione Desert Storm e il Paese finì nel caos più totale, con tutte le comunicazioni saltate, scappai dalla prigione grazie alla guardia, che mi fece travestire con l’uniforme del capo della sicurezza [...] Prima nel nord dell’Iraq, con la mia famiglia, dove ho messo in piedi un’organizzazione per proteggere i rifugiati iracheni. Poi, nel ”95, sono andato in Inghilterra. Quando nel 2003 gli americani erano pronti ad attaccare, io ero in Kuwait: aspettavo il permesso per poter portare gli aiuti umanitari in Iraq [...]”» (Stefania Maurizi, ”La Stampa” 25/9/2005).