Fonti varie., 19 settembre 2005
Anno II - Ottantasettesima settimanaDal 12 al 19 settembre 2005Germania 1. Angela Merkel, democristiana, e Gerhard Schröder, socialdemocratico, hanno pareggiato: alle elezioni politiche tedesche lei ha avuto più o meno il 35% e lui più o meno il 34
Anno II - Ottantasettesima settimana
Dal 12 al 19 settembre 2005
Germania 1. Angela Merkel, democristiana, e Gerhard Schröder, socialdemocratico, hanno pareggiato: alle elezioni politiche tedesche lei ha avuto più o meno il 35% e lui più o meno il 34. Angela aveva come alleato Guido Westerwelle, capo del partito liberale. L’anno scorso Westerwelle fece sapere a tutti di essere omosessuale presentandosi a una festa della Merkel col suo compagno e provocando fior di titoloni sulla Bild. Adesso ha preso il 10 per cento, che è un gran successo (l’ultima volta i liberali avevano raccolto solo il 7). Perciò: il 35 di Angela + il 10 di Guido fa 45, che non è la maggioranza assoluta. A questo modo Angela, anche se è arrivata prima, non può formare il governo.
L’alleato di Schröder è Joschka Fischer che ha avuto gli stessi voti di tre anni fa, l’8 per cento. Anche qui: il 34 di Schröder + l’8 dei Verdi fa 42. Siamo lontanissimi dalla possibilità di formare un governo.
Sarebbe disponibile, però solo per Schröder, l’8,6 per cento della sinistra radicale di Oskar Lafontaine, che si presentava per la prima volta ed è andato bene. Ma Schröder non vuole mettersi con l’estrema sinistra. Si potrebbe allora fare la Groe Koalition: Schröder e la Merkel insieme, con un programma di compromesso. Chi sarebbe però il primo ministro? La logica dice che è più forte Schröder perché in via puramente teorica potrebbe sempre fare un governo con Lafontaine, mentre la Merkel non ha a disposizione che un gabinetto di minoranza.
L’eventualità che si ripetano le elezioni appare al momento remota.
Germania 2. La vera sconfitta del voto tedesco è però la cosiddetta flat tax, cioè la tassa unica del 25 per cento da applicare a tutti i redditi superiori ai 20 mila euro annui. Angela ha spiegato con tutti i particolari la sua idea in campagna elettorale, i tedeschi si sono fatti i conti e hanno visto che non conveniva (pagavano di meno solo quelli con redditi superiori ai 50 mila euro l’anno). La Merkel non ha tenuto conto della vecchia regola dei guru della comunicazione: in campagna elettorale tenersi quanto più possibile sul vago...
Germania 3. I commenti dei politici italiani alle elezioni in Germania insistono su due punti: i tempi sono favorevoli ai partiti o alle coalizioni di sinistra dato che neanche in una situazione come quella tedesca - dove pareva che tutto concorresse al trionfo democristiano - la destra riesce a vincere. Inoltre, all’inizio dell’estate i sondaggi assegnavano ad Angela un vantaggio enorme, che è andato riducendosi a tutta velocità man mano che ci si avvicinava al voto. Questo tipo di commento vuol mettere in evidenza che la nostra sinistra - data per stravincente l’anno prossimo - deve stare invece molto attenta. E che la nostra destra, come del resto dice di continuo Berlusconi, non deve arrendersi fino all’ultimo minuto.
Italia. La destra italiana, o per meglio dire Casini e la sua Udc, hanno tentato la settimana scorsa di cambiare il sistema elettorale depositando una legge che reintroduce il proporzionale, mette uno sbarramento del 4% (se non si prende almeno il 4% dei voti non si va in Parlamento), dà un premio di maggioranza alla coalizione che ottiene più voti in modo che occupi in ogni caso il 55% dei seggi e considera uguali a zero i voti ottenuti dalle formazioni che stanno sotto il 4%. Con questo sistema, il centrosinistra perde di sicuro perché il suo vantaggio di nove-dieci punti sul centrodestra è appunto prodotto da una selva di partitini che supera a stento il 3 per cento. Depauperata di questi consensi, la coalizione di Prodi andrebbe al 41-42 per cento, cioè perderebbe contro il 44-45 del centrodestra. Ci si può immaginare quale reazione abbia suscitato la proposta di una simile riforma: i partiti di sinistra hanno annunciato l’ostruzionismo globale su tutta l’attività del Parlamento, Casini è diventato il bersaglio di tutte le forze politiche di sinistra (molti hanno detto: ”S’era guadagnato una certa credibilità come presidente della Camera super partes, adesso l’ha persa tutta”), l’idea è stata alla fine travolta da un’ondata di vignette e di sghignazzi, l’ultimo provocato da Benigni che, nella notte bianca voluta da Veltroni sabato scorso a Roma, ha annunciato di essere appena tornato da Palazzo Chigi dove aveva concordato una riforma elettorale che prevede la vittoria per chi prende meno voti. Alla fine pare che la riforma di Casini-Follini sarà ritirata e che non se ne farà niente (anche se D’Alema vedrebbe bene almeno l’abolizione delllo scorporo).
Può sembrare assurdo, ma la faccenda ha portato acqua al mulino di Berlusconi: il premier ha detto che la riforma era un’idea di Casini, che si guardava bene dall’imporla all’opposizione, che cambiare il sistema elettorale non si può senza un accordo di massima tra tutti, ecc. Risultato: Casini e Follini, i due avversari del premier, alla fine sono usciti indeboliti.
AFGHANISTAN. Commenti al voto in Afghanistan - che ha eletto domenica 18 settembre il suo primo Parlamento - non sono ancora possibili dato che i risultati della consultazione si conosceranno solo fra tre settimane. Però in quel Paese è il voto in sé a essere carico di significati: fino a pochi anni fa c’erano i talebani e l’idea di eleggere una Camera bassa e dei consigli provinciali sarebbe sembrata folle. Alle donne i talebani impedivano persino l’accesso a scuola. Stavolta, invece, c’è l’obbligo di avere in Parlamento una donna ogni quattro deputati. Le elezioni rappresentano uno sforzo organizzativo e, vorremmo dire, pedagogico immane: il 55 per cento degli uomini e l’85 per cento delle donne è analfabeta, il 20 per cento dei candidati appartiene alla malavita, sette candidati sono già stati ammazzati dai talebani e le operazioni di voto si sono svolte nel terrore di qualche nuovo attacco, tanto che hanno vigilato eletti ed elettori 70 mila soldati (di cui 20 mila americani e 10 mila della Nato: ci sono anche gli italiani). Corrono per un seggio seimila persone e i posti disponibili sono 249 per la Camera e 420 per i consigli provinciali. Non esistendo i partiti, i candidati si sono raggruppati intorno a simboli di fantasia: papere, farfalle, cervi, treni, orologi, navi eccetera. Per gli abbinamenti l’Onu ha organizzato una tombola: i candidati hanno pescato da una scatola tre simboli e hanno poi scelto quello a cui abbinarsi.
Convertendo. La parola ”convertendo”, che si sente in questi giorni, allude al prestito di tre miliardi di euro che otto banche fecero alla Fiat nel luglio 2002. Si concordò allora che la Fiat o avrebbe restituito i soldi o avrebbe fatto entrare le banche nel capitale, avrebbe cioè ”convertito” il prestito in azioni. Le otto banche sono: Intesa, Unicredito, Capitalia, Sanpaolo-Imi, Montepaschi, Bnl, Bnp-Paribas, Abn-Amro. Sono diventate comproprietarie della Fiat martedì scorso, 20 settembre, al prezzo di 10,28 euro per azione, prezzo che discende da sistemi di calcolo fissati negli accordi del 2002. Le Fiat stanno adesso a 7 euro e mezzo, dunque le banche ci hanno rimesso un bel po’ di soldi (esattamente: 760 milioni). Come mai ce li hanno rimessi? Ci vorrebbe molto spazio per rispondere. Basterà riassumere tutto in questo concetto: in Italia la Fiat non può fallire e nel 2002 la situazione era talmente grave che le otto banche dovettero rassegnarsi. Adesso la situazione sembra molto meno grave, tanto che gli Agnelli, che dopo il convertendo sarebbero scesi al 22 per cento e sarebbero stati facilmente estromessi da qualche cavaliere bianco, hanno comprato azioni per 535 milioni a 6 euro e mezzo. In questo modo hanno conservato la loro quota del 30 e rotti per cento. Sono scalabili lo stesso, ma un po’ di meno.
Fiorani. Banca Popolare Italiana (già Lodi) si è arresa e ha deliberato di vendere alla Abn Amro il suo 29 per cento di Antonveneta. Prezzo: 26,5 euro per azione, che dà anche un po’ di plusvalenza. Fino a qualche giorno fa si diceva che con questa operazione i conti della Popolare sarebbero stati talmente buoni da renderla appetibile per qualche scalatore. Ma venerdì 16 i magistrati hanno accusato Gianpiero Fiorani, l’amministratore della Popolare che i giudici di Milano avevano sospeso da tutte le cariche lo scorso 2 agosto, di ”falsa dichiarazione a pubblico ufficiale”. Sembra un’accusa minore rispetto alle altre di aggiotaggio e insider trading, ma nasconde invece il sospetto che Fiorani si sia arricchito personalmente nella battaglia per Antonveneta e che per nascondere questa circostanza abbia mentito agli inquirenti. Fiorani si è dimesso immediatamente da tutte le cariche (’decisione irrevocabile”). Il valore reale della Banca Popolare Italiana è a questo punto incerto.