Panorama 22/09/2005, pag.93 Antonio Rossitto, 22 settembre 2005
Silenzio, il delitto è perfetto. Panorama 22/09/2005. L’ultimo, flebile, indizio a cui aggrapparsi per risolvere il giallo dell’estate è il numero di targa di una Bmw di colore scuro
Silenzio, il delitto è perfetto. Panorama 22/09/2005. L’ultimo, flebile, indizio a cui aggrapparsi per risolvere il giallo dell’estate è il numero di targa di una Bmw di colore scuro. Una lettera anonima scritta al sindaco del paese, con "un particolare che magari può essere importante, veda lei come utilizzarlo". Ultimo atto di un omicidio sempre più misterioso. L’avvocato Libero Masi e la moglie Emanuela Cheli sono morti da tre mesi e mezzo: li trovarono la mattina del 3 giugno nella loro villetta di Nereto, paese vicino Teramo. Erano distesi a pancia in giù, in uno stretto corridoio, la testa dell’uomo che sfiorava quella della donna. Morti in un lago di sangue. Colpiti a morte con una roncola. Da più di due mesi le indagini sono state secretate. Eppure, ancora non c’è una traccia né arma del delitto e movente. Una storia con molti silenzi e troppe cose che non tornano. Gli investigatori continuano a rompersi la testa su incartamenti e segnalazioni fasulle. Ripetono sconsolati che è stato il "delitto perfetto". Sono passati tre mesi e mezzo ma a Nereto non si parla d’altro. In questo tranquillo paesino abruzzese di 5 mila abitanti scene così le avevano viste solo alla televisione. I due erano conosciutissimi in città. Lui, avvocato figlio d’arte, era appassionato di libri e gastronomia, tanto che da qualche anno era il responsabile regionale di Slow food. Raccontano gli amici: un omone di 95 chili che amava stare con gli amici e citare a memoria gli incipit dei romanzi di Gabriel García Márquez. Unica stranezza: ”Era riservatissimo, lo conoscevo da una vita, ma non mi ha mai parlato di un processo” racconta Giulio Fiore, cugino e sodale da sempre, l’ultimo a vederlo in vita. Anche allo studio legale lo confermano: le sue cause (un centinaio circa) le gestiva da solo, nessuno ne sapeva nulla. "Faceva il consulente di grosse società del posto, fabbriche d’abbigliamento soprattutto. Si era occupato in passato anche delle sponsorizzazioni di squadre di calcio dell’Est" aggiunge Fiore. Però Masi meditava di lasciare la professione: si era stancato di fare l’avvocato. "Voleva dedicarsi allo studio di alimenti tradizionali abruzzesi, come il farro e la livesa rossa". La moglie era originaria di Roma. Una vita ordinaria, passata a fare lunghe passeggiate, governare la casa e accudire la vecchia nonna, ormai sorda, che viveva nella villetta, al secondo piano. Ed era Emanuela Cheli a tenere i rapporti con i figli: Elvira di 26 anni e Alessandro di 21. La sera del delitto la ragazza, appena laureata, si trovava in Olanda; il ragazzo invece a Roma, dove studia all’università. I suoi rapporti con il padre erano turbolenti. Il figlio è stato l’ultimo a sentire la madre per telefono, poco prima del delitto. Ma tabulati telefonici e una ricevuta del Telepass lo scagioneranno. Il silenziatore messo a giornali e tv locali. "Specifiche esigenze di indagine rendono necessaria la non pubblicazione sugli organi di stampa di notizie e comunicazioni relative alle investigazioni": il procuratore di Teramo, Cristoforo Barrasso, ha giustificato così, a un mese dal delitto, la secretazione degli atti. Qualche giornale, insomma, le avrebbe sparate grosse. Ma può qualche eventuale forzatura giornalistica giustificare un provvedimento così restrittivo? L’ex parlamentare radicale Pio Rapagnà lamenta il silenzio calato sulla vicenda. "Ci dev’essere certamente qualcosa di più significativo. Magistrati e carabinieri continuano a parlare di rapina, ipotesi poco credibile". Rapagnà vive a pochi chilometri da Nereto. Era un amico di famiglia. Per lui la pista sarebbe un’altra: "L’attività professionale: Libero si occupava di grandi affari immobiliari, di procedure fallimentari. Io penso quindi a un’intimidazione finita male". Altri delitti come quello dei coniugi uccisi a Brescia continuano a monopolizzare le cronache, qui il paese elabora ogni giorno nuove piste. Proliferano dicerie e invenzioni: l’avvocato era ricchissimo, no era sul lastrico; taccagno, no donchisciottesco; di specchiata onestà, no dai più torbidi segreti... Sulla scrivania del sindaco di Nereto, Sergio Moroni, c’è la lettera che segnala la Bmw: acque che continuano a intorbidirsi. Scuote la testa: " morto un noto avvocato, uno del mondo giudiziario. Era uno di loro, eppure le indagini si trovano di fronte a un vicolo cieco. C’è qualcosa che non torna". A partire dalla scena del delitto: i corpi distesi nel corridoio, vestiti in pigiama e vestaglia, il televisore ancora acceso su Retequattro. Lui colpito una ventina di volte con un’arma dalla lama di 30 centimetri, una roncola molto probabilmente. Il colpo mortale gliel’hanno inferto dietro il collo: la materia cerebrale fuoriesce dalla calotta. La moglie è stata uccisa con due coltellate, ha alcuni denti rotti e profondi segni di percosse. Entrambi sono morti per emorragia cerebrale. Uccisi con ferocia. Ci sono schizzi di sangue ovunque, ma quelli sulle pareti sono bassi: uccisi mentre erano già a terra, dunque. Come se qualcuno li avesse fatti inginocchiare per poi colpirli, ipotizza un investigatore. "Alcuni cassetti erano aperti e della bigiotteria era rovesciata sul letto, ma sembrava più un disordine creato ad arte". Sulla soglia della porta dello studio, bruciature. Più in là, infatti, si trovano due bottigliette di liquido infiammabile. Un avvertimento, o forse un tentativo d’incendio. Da casa mancano 6 mila euro che Masi aveva incassato da un cliente. Nessun segno di effrazione, nessuna traccia degli assassini, almeno due, vista la violenza dei colpi. Il delitto perfetto, apparentemente. Una rapina, pensano subito gli inquirenti. ”Una banda di romeni” azzarda il procuratore. L’ipotesi non convince quasi nessuno. La casa di Masi era modesta: 6 mila euro sarebbero stati già un insperato bottino. Perché quindi accanirsi in quella maniera? E poi i Ris sono stati chiusi per tre giorni nella villetta. Ma, dopo tre mesi, sembra che non abbiano ancora trovato tracce decisive. Probabilmente gli assassini, dicono i carabinieri, avevano guanti e sovrascarpe. Professionisti? E l’incendio: perché dei rapinatori avrebbero dovuto perdere tempo ad appiccare il fuoco? Ipotesi e controipotesi: da quel 3 giugno i neretesi non parlano d’altro. Domandandosi soprattutto perché di questo delitto sembra non voglia parlare più nessuno. Antonio Rossitto