Alberta Pierobon, La Nuova Venezia 21/9/2005, 21 settembre 2005
Padova. Come è successo per tutte le 202 filiali Ikea nel mondo, anche quella di Padova verrà inaugurata di mercoledì e alle 7 di mattina, non si sgarra
Padova. Come è successo per tutte le 202 filiali Ikea nel mondo, anche quella di Padova verrà inaugurata di mercoledì e alle 7 di mattina, non si sgarra. Così vuole Ingvar Kamprad, classe 1926, lo svedese che a 17 anni ha cominciato a vendere fiammiferi ai vicini di casa con i soldi che papà gli dette perchè era bravo a scuola, nel 1959 ha festeggiato l’assunzione del 100º dipendente, adesso ne ha 84 mila e li chiama risorse umane: con i suoi mobili di betulla smontati e chiusi nei rivoluzionari pacchi piatti, ingombro ridotto al minimo, ha inondato le case di mezzo mondo, da Stoccolma a Dubai passando per Shangai. La molletta Mallen e il signor Ik Una specie di arredo democratico, per tutti uguale e alla portata di tutti, l’impero della brugola e il regno della saracca: montalo tu, l’armadio, senza dar fondo al gaudioso repertorio e contribuire all’assemblaggio di un esperanto planetario dell’imprecazione. Questi immensi magazzini gialli e blu dove d’improvviso capisci che non puoi più vivere senza la molletta Mallen, col circoletto sulla a, per appendere i giornali in bagno. E felice ne compri 4 confezioni da 3 tanto costano solo un euro e mezzo, dove l’arte di creare bisogni ed indurre al consumo è sopraffina, dove viene rappresentato un mondo perfetto e autarchico all’interno del quale il vero soprammobile sei tu. Tutto questo, adagiato su 30.900 metri quadrati a Padova est, viene inaugurato alle 7 di un mercoledì (21 settembre) perchè, racconta la leggenda Ikea, fu in quel giorno e in quell’ora che il signor Ik inaugurò il suo primo negozietto: la cosa gli portò una fortuna valutata 23 miliardi di dollari. Più di Bill Gates: il sesto al mondo, primo tra i ricchi d’Europa. Ha tre figli, Peter, Jonas e Mathias che lavorano in azienda; qualche anno fa pare abbia dichiarato che non sarebbero stati loro i suoi successori, poi era fiorita la leggenda che vuole i tre piazzati ognuno in una diversa filiale: una sfida all’ultimo bilancio, quello che moltiplica più danari vince la fetta più grossa del gruppo; leggenda nella leggenda, uno dei tre sarebbe destinato a Padova. Nessuno conferma. Ora il signor Ik abita a Losanna in Svizzera per motivi fiscali più che climatici - è lecito supporre - dove se ne sta molto isolato con la seconda moglie Margaretha e da dove, attraverso un labirinto di società e fondazioni, controlla la sua immensa creatura, Ikea. Un acronimo che sta per Ingvar Kamprad (lui medesimo) Elmtaryd (la fattoria della famiglia dove nacque) Almuhut (il paesello della fattoria, sud della Svezia, campi coltivati, tanta neve, tante ordinate cataste di legna). 500 invitati, vodka e coro di alpini in svedese Torniamo all’inaugurazione. Sono attesi 500 invitati per la cerimonia mattutina di mercoledì, che durerà fino alle 10, poi le porte si apriranno al pubblico (orario 10-20 sette giorni su sette): è atteso l’universo mondo, dalle 30 alle 50 mila persone nell’arco della giornata sulle quali si riverseranno un fiume di gadget, assaggi di renna e vodka, la svedese Pippi Calzelunghe in carne e ossa per i piccoli, otto svedesone in costume (tradizionale o bikini si vedrà) per i grandi e un coro di 20 alpini da Udine a intonare la montanara alè e quel mazzolin di fiori ma con il testo modificato ("che viene dalla svè-èè-èziaaaa") come da campagna pubblicitaria sulle radio private. La "glocalizzazione" di marca Ikea. E il coro terrà banco (in pino, va da sé) anche all’inaugurazione ufficiale con l’ambasciatore svedese, i boss della multinazionale, Galan, Zanonato, politici, industriali e un’infinita lista di invitati da mezzo nord Italia, alle 7 di mattina catapultati ai tavoli del ristorante davanti alla tipica colazione del cacciatore di renne svedese: aringhe, filetti di alce, salmone affumicato e un paio di vodke, che a quell’ora faranno di sicuro il loro bell’effetto. Poi, visita guidata al negozietto grande come 6 campi da calcio, evitando con cura di stramazzare sul divano Lund Valla 3 posti 299 euro o sul matrimoniale modello Aneboda, 99 euro, effetto betulla, materasso escluso. Alle 8.45 tutti e 500 fuori per il rito inaugurale tipico del boscaiolo svedese: il taglio del tronco con sega a mano, che toccherà a Zanonato, o Galan o Casarin. E’ già lì, il super pino, vicino all’ingresso: l’hanno un tantinello pretagliato, chè sennò si rischia di far notte col rito. Sarà divertente comunque. La scelta di Ornella e il testamento di Ingvar Intanto, a Padova est, la bretellina di qualche decina di metri che dall’uscita del casello collega con l’Ikea è quasi pronta, il parcheggio tiene 1500 auto, altrettante in 2 aree vicine (ampiamente segnalate) con bus navetta ogni pie’ sospinto. Il resto, chi vivrà (incolonnato), vedrà. Ma "per favore, una volta tanto, potete non parlare del traffico? Solo di quello parlate voi giornali. Sennò non ci verrà nessuno, mercoledì...", dice ridendo ma mica poi tanto Ornella Marangon, 41 anni, bella, di accattivante semplicità e sottile appeal, insomma un manifesto Ikea; ha due figli di 5 e 9 anni ("qui sono tra quelli che ne ha meno, quasi si fa a gara tra chi ne ha di più": la famiglia è cemento per la filosofia Ikea), 14 anni a Coin, gli ultimi 4 a dirigere la filiale di Padova, ora è "custom service manager", insomma è responsabile del marketing. Ci ha pensato 4 mesi prima di accettare l’offerta: "Coin rimarrà sempre nel mio cuore ma ho fatto la scelta giusta, qui si respira l’aria della multinazionale, è tutta un’altra cosa, entusiasmante"). Come le altre 420 risorse umane assunte e che da giugno sono in sede a prepararsi, ha seguito corsi e studiato sui fondamentali: Il testamento di un venditore di mobili scritto da Ingvar Kamprad medesimo, "è nostro dovere espanderci.." perché e percome, e la "bibbia" che illustra l’Ikea way, un mondo simbolico, un orientamento culturale, quasi una comunità religiosa prima che il manuale del bravo commerciante. Qualche assaggio: semplicità, schiettezza, frugalità (gli alti dirigenti viaggiano con voli a basso costo e pernottano in hotel economici, o giù di lì), i dipendenti sono i primi clienti, vanno ascoltati, valorizzati chè se stanno bene, lavorano meglio. Semplice. Feste interne: le "risorse" devono socializzare Così ogni tot mesi circolano questionari sul gradimento dell’azienda da parte delle sue risorse e a Padova, nella nuova sede, tutti e 420 hanno partecipato a tre mega feste, champagne e prelibatezze su tavoli al lume di candela, e per tutta l’estate ogni giovedì alle 18 happy hours collettivo, spritz e spuncioni: parola d’ordine, socializzare le risorse. Ancora principi Ikea (teorici, con quelli pratici se la vedrà il sindacato interno): solo chi dorme non sbaglia e solo i mediocri negano i loro errori e perdono tempo a giustificarsi; collaborazione tra tutti, informalità massima: tutti si danno del tu, tutti hanno la stessa divisa, fuori dall’ufficio per niente mega dell’amministratore delegato c’è una targhetta con scritto solo Roberto. Con quella semplice targhetta se la dovranno vedere i grand’uff. comm. cav. rag. Piallon Ermenegildi del Veneto, mobili dal 1529, ai quali stanno tremando le gambe dei tavoli in noce per via dello sbarco svedese. Intanto tutto è quasi pronto nel mastodonte giallo-blu padovano, dopo quello di Napoli il più grande d’Italia; per inciso, in Italia Ikea si rifornisce del 7% dei suoi acquisti, il 29% di tale 7% arriva dal Veneto, e agli italiani vende il 5.5% dei suoi mobili in kit. Qualcuno si è divertito a fare due conti Ue: risultato, il 10% degli europei sarebbe stato concepito su un letto Ikea. L’apertura della prima sede in Veneto l’hanno pubblicizzata distribuendo 985 mila cataloghi nella regione, 280 mila a Padova (la diffusione mondiale è di 118 milioni di copie all’anno, il vangelo della luterana Ikea supera la Bibbia). E le mogli aspettano di cambiare il bagno E tappezzando i muri della città di slogan tipo "Non ti piace la cucina di tua moglie? Cambiala", la consorte o la cucina? "La camera da letto non vi dà più i brividi di una volta? Cambiatela", stesso dubbio. Siccome Ikea ogni anno punta le sue campagne su ambienti diversi, quest’anno appunto cucina e camera da letto, le mogli aspettano ansiose che almeno nel 2006 si parli del bagno: "Ne avete abbastanza del solito cesso che avete in casa da 30 anni? Cambiatelo". Ikea. La chiamano "multinazionale teflon" ovvero dove le critiche sociali non aderiscono per via di uno spesso strato di politicamente corretto. Tipo quando venne fuori il problema dello sfruttamento del lavoro minorile nei paesi fornitori del Terzo mondo, e Ikea si accordò con l’Unicef per trovare una soluzione, finanziare progetti di scolarizzazione in loco e ad ogni fornitore fa firmare un impegno in tale senso. "La garanzia totale è impossibile da avere, ma il nostro sforzo c’è tutto", ha detto Valerio Di Bussolo, responsabile delle relazioni esterne per l’Italia. Altro problemino di immagine ci fu quando, negli anni ’90, durante l’inaugurazione di un magazzino in Israele, saltarono fuori le simpatie filo naziste del signor Ik: non negò, si scusò, solo chi dorme non sbaglia, ma adesso smettiamo di perdere tempo e andiamo tutti a lavorare. L’assunto più "vecchio" è un manager di 55 anni Mancano pochi giorni all’inaugurazione, è martedì 13 settembre, fuori gli operai stanno ancora asfaltando, dentro è tutto pronto. Uno straordinario dispiegamento di 15 mila tipi di merce, tutto è immobile, perfetto, pronto ad offrirsi. Ikealand. Un immenso parco tematico che ti fornisce virtuale domicilio: guardi quella camera da letto ricreata fin nei dettagli, così semplice e carina, ti ci immagini dentro, la vorresti traslocare tutta intera ma di solito non si fa così. Comperi solo l’armadio, o solo il cassettone, lo porti a casa e lì la bolla si rompe: mancano le ceste di vimini, le tende color pastello, le lenzuola intonate, il piumone ton sur ton, lampadari e lampadine, il tappetone e l’accappatoio buttato sul letto. Ti salvi perchè la svedese sobrietà del mobile Ikea si accasa tranquilla nel più azzardato melting pot dell’arredo. Quasi 31 mila metri quadrati coperti da una esposizione fantasmagorica di mobili, tappeti, aggeggi di ogni tipo, pelouche, tende, tappeti, soprammobili, vimini, ceste e scatole e via, enfatizzata dall’ordinata moltiplicazione dei pezzi tutti uguali. Resa surreale dalla penombra (diktat Ikea: guai a lasciare inutili luci accese, guai a non differenziare fino all’ultimo rifiuto) e dall’assenza di anima viva. Sono le 18, i dipendenti tutti col cartellino appeso al collo sono sparsi: lì un gruppetto di ragazze ripassa le procedure della post vendita (4 alle casse e tre ai telefoni per qualsiasi problema incontri il cliente una volta aperto il pacco), qua nel big office, lo chiamano così, i manager e compagnia sono ai video; là le cassiere finiscono l’ennesimo corso (sono 34 le casse, nei fine settimana saranno tutte funzionanti) e qui gli addetti alla logistica danno gli ultimi ritocchi al magazzino. Il giorno del "via" è vicino, il conto alla rovescia è nell’aria, circola adrenalina ma si percepisce anche un corale movimento di privatissime emozioni: l’impazienza della 22enne al primo lavoro; la trentenne part-time che ha due figli, l’Ikea le ha proposto un impegno il fine settimana e va benissimo così; lo studente e l’ex disoccupato preso dalle liste dell’agenzia per l’impiego, fino al 55enne, categoria manager, il più "datato" tra tutti i 420 assunti. Ikea way: il libriccino dei buoni esempi E’ Ornella Marangon a far da Cicerone nella visita all’Ikea padovana, dove a ogni giro della scala ad uso dei dipendenti c’è appeso al muro un motto del signor Ik: "la sensazione di aver finito qualcosa è un efficace sonnifero", "la semplicità è virtù, solo chi dorme non commette errori", "agire in maniera diversa", "felicità è essere sulla strada giusta" (pare una striscia dei Peanuts, un Woodstock-pensiero appollaiato sulla testa di Snoopy), "meno obiettivi più risultati". E "se hai una buona idea sostienila senza esitare": già circola anche nella sede di Padova il libriccino dei buoni esempi, una pubblicazione Ikea trimestrale, a diffusione planetaria e ad uso interno, che raccoglie le buone idee del personale. Ovvero problemi risolti o innovazioni sul lavoro che arrivano da Ivan Stakanov magazziniere della filiale di Mosca piuttosto che da Beth Tullah, cassiera ad Edmonton a Londra (dove peraltro hanno dotato le dipendenti musulmane di hijab-divisa, col marchio Ikea scritto dietro) o magari da Mo-Bji-Lyn, estrosa arredatrice nella sede di Pechino. A proposito di Pechino, segnaliamo che nel giorno dell’inaugurazione si sono fiondati in 800 mila: vabbé che ha 18 milioni di abitanti ma mica male lo stesso. E lì come in ogni altra Ikea del mondo, non esiste cliente che non arrivi in auto, ché come minimo uno esce con un paio di paccozzi, e vabbè che sono belli piatti ma mica si possono trasportare in bici, e nemmeno ci si può imbullonare il portapacchi (quello Ikea costa solo 35 euro) in fronte e scarpinare come uno sherpa nepalese. Il cliente-dipendente e l’armadio da montare Converrà forse organizzarsi in gruppi d’acquisto, e di sostegno per il "dopo", il ritorno a casa: non sono adatti ai single quei mobili in kit, per montare un armadio guardaroba bisogna essere forniti di famiglia allargata e convocarla tutta. In modo che mentre l’ex marito tiene su il pannello di destra, il compagno attuale lo possa fissare all’anta e il futuro fidanzato, con i riflessi da tapiro che si ritrova, riesca a far cadere a terra, perdendola, l’ultima vite rimasta. Tracollo contemporaneo della famiglia allargata, dell’armadio ristretto e della simpatia verso il civilissimo popolo svedese. Altra caratteristica Ikea a cui abituarsi, quella del cliente-dipendente. Ovvero che sopperisce, con il suo lavoro, a una delle fasi più costose della produzione del mobile: il montaggio. E’ sempre il cliente che col suo carrellone va nel magazzinone e si prende la scatolona dallo scaffalone, ancora lui che se lo porta a casetta; se vuole la merce scontata (c’è un’esposizione dei pezzi in offerta) la trova invece montata e sarà ancora lui a smontarla con gli attrezzi che trova in loco, e portarsela via. Decine di cortesi ma perentori cartelloni sono sparsi ovunque, ad indicare le varie incombenze degli acquirenti, come nel ristorante da 500 posti: "Perchè devo sparecchiare io (cliente)?", "perchè se togli il vassoio elimini il costo di qualcuno che lo faccia per te. Così noi manteniamo i prezzi bassi..." e via così. Perché devo arrangiarmi in tutto? Stesso motivo. In alcune filiali stanno sperimentando fin dove può arrivare la collaborazione cliente-dipendente/azienda, così da abbassare ancora i prezzi. Perché devo spazzare per terra 30.900 metri quadrati prima di uscire?, perché così pagherai meno la scopa con manico in pino che sei venuto ad acquistare; perché devo portare al cassonetto il contenuto di 400 cestini dei rifiuti Ikea? Così abbassiamo il prezzo di quei bellissimi bidoni in latta colorata porta-tutto; perché devo sbucciare 80 chili di patate, prima di sedermi al ristorante a mangiare? Così potremo offrire il menu 10 polpette, salsa di mirtilli, puré e pane invece che a 4.60 euro a 60 centesimi. Ovvio. Anzi, lasciamolo perdere l’Ovvio, che di questi tempi deve avere le sue preoccupazioni mica da poco. Alberta Pierobon