Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2005  settembre 22 Giovedì calendario

Tana Dan

• (Dobrivoje Tanaskovic) Belgrado (Serbia) 1936. Calciatore. Attore. Ristoratore • «Giù per il Santa Monica Boulevard di Los Angeles fino all’incrocio con Doheny Drive. Sulla sinistra, c’è una palazzina gialla con una scritta sul portoncino: Dan Tana’s. Vista così, non sembra granché. Dentro c’è un ristorante: 16 tavoli con le tovaglie a quadri, sulle pareti a tinte scure, fra le bottiglie di Chianti una raffica di foto di star di Hollywood (le stesse che quasi ogni sera si vedono ai tavoli). E un sacco di roba legata al calcio: gagliardetti della Stella Rossa di Belgrado e dell’Anderlecht, poster con gli autografi della Nazionale jugoslava 1992. [...] un tizio con zigomi slavi e baffi alla Lee Van Cleef. [...] è stato attaccante della Stella Rossa e dell’Anderlecht; è stato un rifugiato jugoslavo, un esule politico, un attore e un produttore di cinema americano. il fondatore e proprietario di uno dei ristoranti più amati di Hollywood. [...] Tutto cominciò in una notte di ottobre del 1953: un calciatore jugoslavo, appena diciassettenne, stava cenando con i compagni di squadra in un ristorante di Bruxelles. Era la squadra primavera della Stella Rossa di Belgrado, in Belgio per affrontare l’Anderlecht. I ragazzi si stavano godendo una licenza sotto l’occhio attento del commissario politico. Dopo cena, in sala attaccarono un tango. Qualche coppia iniziò a ballare. E alla fine del ballo il ragazzino, ammirato, si mise ad applaudire. Al commissario non piacque: ”Come fai ad applaudire un ballo capitalista?”, chiese. ”Non sapevo che questo titpo di ballo appartenesse al capitalismo”, rispose il giovane attaccante. Il commissario attaccò una tirata contro gli eccessi della cultura occidentale. E il ragazzo, che dopo un po’ non ne poteva più, si alzò e uscì. In strada diede un bel respiro. E invece di rientrare assieme ai compagni, si avviò nella direzione opposta. Finché incrociò una macchina della polizia. La Stella Rossa tornò a casa con un attaccante in meno. Sul treno che li riportava a casa l’allenatore scosse la testa: ”Poteva essere il nuovo Mitic”, disse riferendosi al carismatico capitano della Jugoslavia di allora. [...] Tana aveva vissuto per tutta la vita sotto regimi totalitari - il dispotico Re Alessandro, i fascisti e i comunisti - e quando aveva 11 anni aveva visto suo padre arrestato dai comunisti perché gestiva con successo un ristorante. Il mondo occidentale aveva le forme e i colori dei film americani visti al cinema di Stato. Bogart, John Wayne, Stanlio e Ollio lo avevano convinto che l’altro mondo era più bello. Chiesto asilo, Tanic cercò lavoro a Bruxelles. Quell’anno la prima squadra della Stella Rossa venne a giocare contro l’Anderlecht. Dan ci andò e vide la sua vecchia squadra schiantare i belgi 6-1. Lui aveva provato a restare nascosto, ma a metà partita proprio Mitic fu sostituito. Entrato nel tunnel Mitic vide Tana dietro la panchina. Senza farsi vedere, gli si avvicinò: ”Dovresti essere in campo. Se non con noi, con loro. Farò in modo che l’Anderlecht sappia che sei qui”. Lo fece davvero. Fu organizzato un provino e a Tana fu offerto un contratto di quattro anni. Ma dato che era un rifugiato politico, non avrebbe potuto giocare in Belgio, per due anni. Così fu prestato all’Hannover, in Germania. Tana era contento ma nervoso. Si sentivano raccontare un sacco di storie sui rifugiati politici ”rapiti” e riportati in Jugoslavia dalla polizia segreta. Così, quando 6 mesi dopo gli fu offerta la possibilità di mettere una distanza maggiore tra sé e il commissario - un contratto per giocare a Montreal - partì. Alla fine della seconda stagione, Tana si chiedeva se sarebbe mai riuscito ad attraversare il confine con gli Stati Uniti. E una sera s’infilò col connazionale Luca, con cui divideva l’appartamento, in una partita a poker con due tizi che avevano appena incassato lo stipendio di una stagione intera passata nello Yukon. Buttarono nel piatto tutto ciò che avevano: 100 dollari. A fine nottata ne avevano vinti 5 mila. Una fortuna, per l’epoca. Qualche giorno più tardi, stavano attraversando il confine su una Chevrolet. Pochi giorni dopo erano a Los Angeles: passando davanti a un negozio di scarpe, Luca decise che ne voleva un paio di quelle belle. Tana restò fuori ad aspettare. E vide una limousine nera parcheggiare davanti al negozio. Due uomini scesero, si avvicinarono a Luca e lo portarono via. Tana non ha mai saputo chi fossero. Era Luca ad avere in tasca i 5 mila dollari. Tana aveva solo poche monetine. Ma decise di restare. Qualche ora dopo stava scendendo da un bus sull’Hollywood Boulevard. Si guardò intorno, chiedendosi che fare. Di fronte vide un negozio con un tizio che impastava la farina per fare la pizza. Sulla vetrina un cartello: ”Cercasi lavapiatti”. Un’ora dopo era in cucina. E in una settimana aveva un posto nella Jugoslavian America, squadra del campionato di calcio californiano. Non era la Stella Rossa, ma pur sempre un modo per restare in America legalmente. Adesso doveva migliorare il suo inglese. Trovò un maestro di recitazione: e quello, dopo qualche settimana, gli disse che col suo accento e col suo aspetto avrebbe potuto fare qualche comparsata nei film come ”cattivo”. Conosceva un sacco di gente a Hollywood, e gli organizzò un’audizione. Un mese più tardi, Dan aveva una piccola parte in un film con Robert Mitchum. Finì in cima alle liste dei produttori che cercavano caratteristi per interpretare fascisti, comunisti o gangster. Dan guadagnava molto di più di quanto avrebbe mai fatto con il football. Allo tempo stesso però aveva aperto un ristorante (italiano), il Dan Tana’s. Successo immediato. Si ritrovò a brindare con le star che aveva visto da ragazzo in quel cinema gestito dallo Stato: John Wayne, Cary Grant e Fred Astaire furono tra i suoi primi clienti [...]» (Rhidian Brook, ”Sette” n. 32-33-34/2002).