Corriere della Sera 18/09/2005, pag.35 Tullio Kezich, 18 settembre 2005
Sagan, che tristezza vedere i grandi da vicino. Corriere della Sera 18/09/2005. Che cosa resta di Françoise Sagan mentre si avvicina la ricorrenza di quel 24 settembre 2004 in cui la scrittrice non ancora settantenne si spense dopo lunga e straziante malattia all’ospedale di Honfleur? Di una cinquantina di opere divise fra narrativa, teatro, saggistica e sceneggiature, resta sicuramente un libro, il primo che scrisse
Sagan, che tristezza vedere i grandi da vicino. Corriere della Sera 18/09/2005. Che cosa resta di Françoise Sagan mentre si avvicina la ricorrenza di quel 24 settembre 2004 in cui la scrittrice non ancora settantenne si spense dopo lunga e straziante malattia all’ospedale di Honfleur? Di una cinquantina di opere divise fra narrativa, teatro, saggistica e sceneggiature, resta sicuramente un libro, il primo che scrisse. Resta nel senso che entrando in qualsiasi libreria vi troverete Buongiorno tristezza, caso raro per un romanzo di mezzo secolo fa; e se vi portate a casa lo smilzo tascabile di Bompiani, nel leggerlo o rileggerlo scoprirete che mantiene l’acerba freschezza grazie alla quale diventò un best seller. Strizzando l’occhio al mito giovanilistico di Radiguet, fu lanciato con la fascetta Le diable au coeur e s’impose di colpo come il manifesto di una nuova scienza e coscienza della vita. Crudele quanto vulnerabile, strumento cinico e insieme dolente del Fato, la protagonista Cécile è l’autoritratto dell’irrequieta ragazza che dava sfogo a un grido dell’anima battendo con due dita su una vecchia macchina per scrivere nella soffocante estate parigina del ’53. In esilio volontario dal mare delle vacanze, ancora angustiata per il fallimento degli studi alla Sorbonne, la studentessa bocciata cercava di inventare una direzione al proprio destino. All’epoca la chiamavano ancora Kiki, Frangette o la Quoirez, il suo vero cognome che solo sulla soglia della notorietà cambiò in quello proustiano di Sagan. Non bella, imbranata e balbuziente, legata così visceralmente al fratello maggiore Jacques che i maligni subodorarono l’incesto, all’epoca Françoise già frequentava i bistrò e le caves di Saint Germain, beveva un baby sull’altro, fumava Chesterfield, arpeggiava sul sesso e ammirava da lontano Sartre e Simone de Beauvoir che a un tavolino del Flore tracciavano le mappe dei «chemins de la liberté». Messo in bella da una dattilografa pagata con 200 franchi presi in prestito, il libro arrivò fra le mani dell’editore René Julliard, che subito si entusiasmò: convocata la giovane autrice, e accertatosi che il tutto fosse farina del suo sacco, le offrì un anticipo di 50 mila franchi. Poiché Kiki era minorenne, l’assegno fu intestato al papà, l’ingegnere Qoirez, che nel giro di pochi mesi si vide arrivare addosso un fiume di denaro. E poiché era uomo di mondo (l’evidente modello di tanti attraenti «grigioni» dei romanzi di sua figlia) quando la piccola gli pose il problema di cosa fare dei soldi, rispose: «Alla tua età, la cosa più saggia sarebbe buttarli dalla finestra». Un consiglio sui generis, che la Sagan applicò vita natural durante spendendo e spandendo fino a ritrovarsi nella più squallida miseria. La recente biografia Madame Sagan di Geneviève Moll (Ramsay), simpatica e stimolante anche se riprende molti spunti dal libro saganiano Derrière l’épaule, procede in precario equilibrio fra ammirazione e costernazione. Da una parte la Moll non nasconde l’imbarazzo di dover riferire su una vicenda personale che attraverso due matrimoni sbagliati e nonostante la nascita di un figlio non trovò requie. Whisky, droga, morfina, amorazzi con maschi e femmine, disordine nei conti, pasticci finanziari, contestazioni a perdere con il fisco, salute in declino irreversibile. Dall’altra parte un impegno lavorativo da artigiana, ripetuti successi editoriali e teatrali. Anche quando non fu più un caso letterario, vari critici trovavano la Sagan sempre più rigorosa nello stile e nei contenuti; e la vasta clientela che si era conquistata con titoli fortunatissimi come Un certo sorriso, Tra un mese, tra un anno o Le piace Brahms? non la abbandonò, ogni nuovo libro poté sempre contare su centomila acquirenti fedeli. Pur nel corso di una vita turbinosa, la parola chiave per assolvere Françoise dai suoi molti peccati è «fedeltà»: alla scrittura, cioè alla parte migliore di se stessa; ma anche alle amicizie, alle persone che ammirava e alle quali fu sempre vicina con inalterabile lealtà. Vedi il rapporto con il venerabile François Mauriac, che fu tra i suoi scopritori; e poi con tanti altri «mandarini», da Truman Capote a Sartre e a François Mitterrand, tanto per nominarne alcuni. Con il padre dell’esistenzialismo le capitò di incrociarsi, fingendo indifferenza, in una maison de passe che ambedue frequentavano per i rispettivi amori clandestini; e il bello fu quando a cena, pochi giorni dopo uno degli incontri, la de Beauvoir deplorò con Françoise che Jean-Paul non si prendesse mai un pomeriggio di riposo preferendo «andare a lavorare in casa di sua madre». Negli ultimi anni la Sagan faceva spesso colazione con Sartre, ormai cieco, e tra un discorso e l’altro gli tagliava affettuosamente la carne nel piatto. A Mitterrand piaceva, invece, invitarsi a casa della scrittrice, che senza troppi complimenti riceveva il Presidente della repubblica in cucina: non era una grande cuoca, tanto che una volta, accertato che la minestra era poca, corse a mettere la pentola fumante sotto il rubinetto dell’acqua. Politicamente fu sempre coerente, firmò a rischio il manifesto dei 121 contro la guerra di Algeria, si schierò per tutte le cause che riteneva giuste con un occhio di riguardo ai problemi del secondo sesso. Nella storia della cultura questa appassionata divulgatrice, ai limiti del romanzo rosa, del verbo sartriano sarà ricordata come una fondamentalista della libertà. Sulla pagina e sulla propria pelle. Tullio Kezich