Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2005  settembre 19 Lunedì calendario

L’unità d’Italia in tre ricette. Corriere della Sera 19/09/2005. Ogni ricetta ha una storia, spesso dimenticata, ed è legata alla storia del territorio dove nasce

L’unità d’Italia in tre ricette. Corriere della Sera 19/09/2005. Ogni ricetta ha una storia, spesso dimenticata, ed è legata alla storia del territorio dove nasce. Ogni ricetta racconta quindi un pezzo di storia del nostro Paese. Abbiamo scelto tre piatti tipici della tradizione italiana per riscoprire, tra mito e leggenda, tasselli di un’identità comune. BACCAL ALLA VICENTINA Più che una ricetta il baccalà alla vicentina è un’epopea, una storia avventurosa che ha come teatro l’Europa. E una curiosità letteraria. Già perché solo i veneti chiamano baccalà quello che in realtà è lo stoccafisso, lo «stock fish», il merluzzo essiccato, duro come un bastone (da cui appunto il nome) tipica produzione delle isole norvegesi oltre il circolo Polare Artico. Ma come ci è arrivato a Vicenza lo stoccafisso? Tutto ebbe inizio nel 1432, quando un certo Piero Querini, nobile veneziano diretto nelle Fiandre per acquistare stoffe, fece naufragio con la nave e molti giorni dopo approdò su una delle Isole Lofoten, patria appunto dello stoccafisso. Conobbe questo strano pesce che si asciuga con l’aria e il sole (e senza il costoso sale), che si può conservare per moltissimo tempo, che mantiene pressoché intatte le sue caratteristiche nutritive e, messo in ammollo in acqua, recupera il volume originario. Iniziò un florido commercio tra la Serenissima e le isole norvegesi, che continua ancora oggi tanto che il 95% dello stoccafisso delle Lofoten è acquistato dagli italiani, con i veneti al primo posto. Polenta (arrivata molti anni dopo in terra veneta) e baccalà, come si dice con un divertissement «pasticcio di grano turco e pesce del mare del Nord», è una preparazione che ha sfamato per secoli i veneti. La ricetta del baccalà alla vicentina sembra risalga all’800 e sia stata la creazione di una certa Giuseppina Terribile, detta «siora Vitoria», titolare di una trattoria in centro a Vicenza, che ebbe l’idea di aggiungere al baccalà latte e olio, che insieme ad una lunga cottura a fuoco lento contribuiscono a insaporire le carni del pesce. RISOTTO ALLA MILANESE «La fabrica del Domm». un modo di dire tipicamente milanese per definire un’opera la cui realizzazione si protrae per lunghissimo tempo. Ed è riferito alla costruzione del Duomo del capoluogo lombardo i cui lavori sono durati secoli. Si racconta che intorno al 1570, tra i tanti maestri artigiani impegnati nei lavori del Duomo, vi fosse un pittore delle Fiandre impegnato a decorare le vetrate della cattedrale, che per ottenere una speciale tonalità di giallo utilizzava il rarissimo zafferano. Pare che un suo allievo, per fare una sorpresa al maestro, ne abbia aggiunto un poco al riso che era stato preparato per il banchetto nuziale della figlia, in modo da farlo sembrare d’oro. Con certezza si sa solo che il riso nelle campagne lombarde cominciò ad essere coltivato nel ’300 grazie agli scambi tra gli Aragonesi e i Visconti. Quindi non è da escludere l’ipotesi che il risotto abbia una vaga origine siciliana, dove riso e zafferano erano in uso da secoli grazie agli arabi. PASTIERA NAPOLETANA Si racconta che la sirena Partenope, figlia di Nettuno, allietasse con i suoi dolci canti gli abitanti di quella città che sarebbe divenuta Neapolis e poi Napoli. Per ricompensarla gli abitanti le portarono vari doni di terra: grano, ricotta, uova, zucchero, etc, ognuno dei quali simboleggiava un aspetto della vita terrena. La sirena portò i doni agli dei che li miscelarono e così nacque la dolce pastiera. In realtà sembra che la pastiera derivi da una sorta di pane con uova che si produceva nell’antichità per il culto della dea Cerere o comunque da un pane rituale di età romana, o ancora da dolci votivi di età paleocristiana. Una leggenda più recente attribuisce la nascita della pastiera alle monache greche del convento di San Gregorio Armeno, che vollero creare un dolce che racchiudesse i simboli della Pasqua e della resurrezione, il grano che germoglia, l’uovo simbolo di nuova vita, i fiori d’arancio segno della primavera. Una storia popolare accreditata vuole invece che Maria Carolina d’Austria, moglie di re Ferdinando di Borbone, immusonita e famosa come la regina che «nun redeva maje», avesse finalmente sorriso dopo avere assaggiato la pastiera; il re allora diede ordine al suo pasticciere di prepararla più spesso, non solo a Pasqua, per non vedere ridere la sposa una sola volta l’anno. Mangiate a vostro rischio: è uno dei dolci più buoni e irresistibili del Belpaese, ma assolutamente ipercalorico. Francesco Arrigoni