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 2005  settembre 16 Venerdì calendario

Biografia di Rosa Vercellana

«Bela Rosin» il tempio ritrovato. La Stampa 16/09/2005. Una storia d’amore e di potere d’altri tempi, trent’anni di private intimità e pubbliche incursioni sullo sfondo del Piemonte sabaudo che si trasforma in Regno d’Italia: la vicenda di Vittorio Emanuele II e della «Bela Rosin», contessa di Mirafiori, è un pezzo della storia nazionale e, forse ancor più, del suo immaginario. Ne è simbolo a Torino il mausoleo dedicato a questa donna a lungo nell’ombra, costruito sul modello del Pantheon di Roma e di cui si è appena concluso il restauro. Nella vita del futuro re d’Italia, Rosa Vercellana (per tutti la «Bela Rosin») compare nel 1847: è una ragazza dallo sviluppo fisico precoce, nata a Moncalvo, nel Monferrato, il 3 giugno 1833, figlia di Giovan Battista, ex tamburo maggiore dei Granatieri di Sardegna poi diventato postiglione di una diligenza nel circondario di Casale. Le versioni sul loro primo incontro sono diverse. Secondo alcuni sarebbe avvenuto a San Francesco al Campo, durante una esercitazione militare: la giovanissima Rosa avrebbe consegnato al principe una supplica del fratello Domenico, militare imprigionato per atti di insubordinazione. Secondo la contessa Nice da Camino de Simone, discendente diretta della «bella Rosina», l’occasione sarebbe invece stata una battuta di caccia, durante la quale il futuro re avrebbe notato la ragazza. Certa è comunque la fulmineità dell’interesse: la quattordicenne Rosina lascia il Monferrato e va a vivere nel castello di Stupinigi, in una dipendenza del parco, affidata alle cure di una cameriera, Madama Michela, che diventerà più tardi la sua pettinatrice personale. Non sa né leggere né scrivere, parla solo il dialetto, non conosce le regole della buona società: possiede però le qualità che conquistano il principe, «un tratto alla mano, un tanto di rustico, nessuna posa e un carattere giocondo. Lui esclama beato ”Almeno dalla Rosina si può desinare in manica di camicia". L’adolescente popolana cresce in fretta, acquisisce l’educazione necessaria, si istruisce, impara a cavalcare e, soprattutto, dimostra la capacità di tenete legato il principe, che nel frattempo è diventato re. Nel 1848 nasce una figlia, Vittoria, e tre anni dopo un altro figlio, Emanuele: per Vittorio Emanuele questa famiglia illegittima rappresenta un riferimento affettivo assai più forte di quella ufficiale. Rosa Vercellana sa essere allegra e comprensiva, non assilla il re con la gelosia, avanza nella scala sociale senza perdere la spontaneità delle origini. La sua intelligenza è simile a quella di Vittorio Emanuele, fatta di realismo e di concretezza, senza pretese intellettuali: per questo il sovrano si sente a proprio agio e trova in lei una confidente gratificante, con la quale smettere la divisa ufficiale. La relazione, presto di dominio pubblico, suscita perplessità a corte, nella diplomazia accreditata a Torino, nello stesso governo. Quando nel 1855 muore la regina Adelaide, Cavour teme che il re voglia sposare l’amante, compromettendo l’immagine internazionale che il Regno di Sardegna sta cercando di affermare. Non mancano intrighi e tentativi di screditamento, ma il rapporto è sufficientemente solido da superare le difficoltà e la Vercellana non si scompone di fronte alle insidie. Secondo alcuni detrattori, lei è un’arrampicatrice sociale spregiudicata, affascinata dalla ricchezza e dal potere. In effetti, attraverso la relazione con il re si garantisce benefici personali e famigliari: nel 1859 viene nominata contessa di Mirafiori, il padre è promosso capitano delle guardie, il fratello Domenico amministratore della tenuta reale della Mandria, il cugino Natale Aghemo capo di gabinetto del re, un altro cugino, Domenico Cappa, alto ufficiale di polizia. Tuttavia, questo rientra nei privilegi naturali della posizione di favorita. Ciò che risulta rilevante, invece, é la stabilità della relazione. Vittorio Emanuele II è un amatore irrequieto, alla ricerca continua di emozioni: nobildonne, attrici, ballerine, figlie del popolo rimaste anonime, un lungo elenco di passioni, di capricci e di figli illegittimi («Non solo Padre della Patria - come scriverà provocatoriamente Massimo D’Azeglio - ma Padre degli Italiani»). La contessa di Mirafiori ha il merito di attraversare questa teoria di avventure senza interferire, se non quando le rivali assumono un’importanza affettiva troppo alta, e di rappresentare per il sovrano un riferimento costante. Alternando senza scomporsi silenzio e interventi discreti, la popolana di Moncalvo riesce così a realizzare una scalata sociale senza uguali, rimanendo sempre accanto a Vittorio Emanuele e compiacendone il carattere bizzarro e difficile. Nel 1864 segue il re a Firenze, stabilendosi nella villa La Pietraia; nel dicembre 1869 gli è vicina a San Rossore, dove Vittorio Emanuele è afflitto da una grave forma di polmonite che ne minaccia la vita; dal 1870 è a Roma, nella Villa Reale sulla via Nomentana, dove la sua vicenda affettiva con il re si completa con le nozze morganatiche del 7 novembre 1877. Nel pomeriggio del 9 gennaio 1878, quando il sovrano muore, non è presente per le pressioni dei ministri che non hanno mai accettato il suo ruolo, ma accanto all’erede Umberto ci sono i suoi due figli, Emanuele e Vittoria di Mirafiori. E come contessa trascorre gli ultimi anni della sua vita nel palazzo Feltrami di Pisa, che il re aveva acquistato per la figlia Vittoria: qui la «bela Rosina» si spegne il 27 dicembre 1885, a cinquantadue anni, stroncata da una meningite fulminante. Gianni Oliva