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 2005  settembre 19 Lunedì calendario

Cannavacciuolo Angelo

• Acerra (Napoli) 17 luglio 1956. Scrittore • «Era passato da un estremo all’altro, Angelo Cannavacciuolo, coi due primi romanzi. Felicemente sorprendente il primo, Guardiani delle nuvole (1999), ove, pur nelle ovvie manchevolezze da esordio e nella non certo originale formula narrativa del flashback, evidenziava buon polso di narratore. Amaramente sconfortante il secondo, Il soffio delle fate (2001), ambientato nella Sarajevo della guerra civile, ma giocato in modo narrativamente scentrato e artificioso, al pari della stessa scrittura, spesso inceppata. In tal senso Acque basse si pone in situazione mediana. Narrativamente Cannavacciuolo torna nella Campania del primo romanzo, riprendendone anche la struttura narrativa: là una storia di dignitosa sconfitta d’un uomo e una famiglia rivissuta memorialmente dal protagonista; qui il ripercorrimento delle proprie passate disavventure e sconfitte da parte del cinquantenne Gerry Van Der Keuken detto Jackpot (’perché non ha mai azzeccato un numero”) nel letto d’ospedale per l’ennesimo intervento al cuore. E in tal senso il romanzo tende a svilupparsi in quello che il risvolto definisce ”noir esistenzialista”, ove l’aggettivo dovrebbe riferirsi alle riflessioni di Jackpot sui propri continui fallimenti. Quanto al ”noir” – ma i cultori del genere avrebbero dubbi sull’opportunità di tale definizione – si riferisce agli aspetti ”mossi” della storia, più in linea coi tratti del secondo romanzo. Una vicenda che vede protagonista un ex cronista di nera che, entrato in crisi dopo l’omicidio dell’amico Gianluca Lucani (ovvero Giancarlo Siani) per le inchieste sulla camorra, vittima del demone del gioco e licenziato dal giornale, vive in una baracca lavorando come meccanico di barche per tre fratelli (i Vichinghi): e che, con la scusa che ”era il migliore”, è cooptato da un avvocato per indagare sull’omicidio del transessuale Pandora, che può compromettere l’onorabilità d’un suo cliente. Ove ovviamente sono in ballo interessi per lo sfruttamento di Bagnoli; l’avvocato che fa il doppio gioco e assume Jackpot perché in realtà lo ritiene un inetto, ma che da presunto manovratore risulta un manovrato dall’imprenditore; l’apparizione della affascinante Rebecca, ex di Jackpot e moglie dell’imprenditore. Il tutto con riferimenti alla vicenda Siani, alla Napoli camorristica, al mondo delle bische e dei travestiti; con prologo da dizione cinematografica e variazioni da romanzo sentimentale e così via. E col Don Chisciotte fonte d’ispirazione per le azioni di Jackpot. Il tutto narrato sì a volte con tono e ritmo adeguati, ma troppo spesso vittima del difetto d’origine, nonché vizio persistente che Cannavacciuolo si trascina dal primo libro (accentuato nel secondo): ossia la tavolozza troppo variegata, la troppa carne al fuoco (sino al racconto nel racconto), dove gli intrecci si disperdono e sfilacciano; e dove certa insistita minuziosità descrittiva di moti interiori scalfisce anche figure interessanti (il gruppo dei travestiti). Penalizzando anche quei momenti d’intimismo o di raffigurazioni a loro modo epiche (i Vichinghi) in cui pur affiorano le capacità affabulatorie dell’autore» (Ermanno Paccagnini, ”Corriere della Sera” 18/9/2005).