17 settembre 2005
Tags : Hwang. Sok-Yong
SokYong Hwang
• Nato a Changchun (Cina) nel 1943. Scrittore. «[...] uno dei più famosi scrittori coreani [...] un autore che in Corea è ormai un classico, citato nei libri di scuola, ma in Italia è ancora sconosciuto [...] La Corea vanta tirature di libri straordinarie. Centomila copie per un volume di poesie, 400-500 mila per un romanzo. Di un romanzo epico in dieci volumi di Hwang sono state vendute 4,5 milioni di copie. [...] l’ostacolo a volte insormontabile delle traduzioni. Alcune sono state fatte e rifatte, i bravi traduttori si sono rivelati più scarsi del previsto, molte difficoltà sono rimaste insolute. Ad esempio la consuetudine degli autori coreani di ripetere più volte la stessa frase con parole appena diverse non è proponibile per un lettore occidentale, hanno deciso alcuni autorevoli traduttori che le hanno semplicemente tagliate. Avranno torto, avranno ragione? Quando si tratta di vera letteratura, verrebbe da dire che ogni parola conta. Ma chissà. Certo che a volte si ha l’impressione di leggere, più che la traduzione di un’opera, il suo riassunto. [...] La letteratura e l’impegno etico/politico: sono questi i due poli della vita di Hwang Sok-Yong, che per il suo impegno politico ha pagato con l’esilio e sette anni di prigione durissima nelle carceri di Seul dove gli impedivano perfino di avere una penna per scrivere. Perché, come Hwang racconta ne Il signor Han, la divisione sanguinosa della Corea non significò solo la drammatica separazione di milioni di famiglie [...] ma anche una contaminazione dell’anima del Paese, la diffidenza di tutti verso tutti, la dissoluzione di ogni morale, e una realtà dolorosa di cui era però proibito parlare: se nel Nord c’era uno spietato regime totalitario, il Sud non era diventato quel Paese della speranza che gli esuli si aspettavano bensì una dittatura militare brutale e corrotta. [...] com’è la letteratura nordcoreana? ”Ci sono quattro generi di scrittori a Pyongyang. Quelli che deificano il defunto dittatore Kim Il Sung e il figlio Kim Jong II, e quelli che scrivono libri di propaganda; ci sono poi alcuni che scrivono solo romanzi storici, e altri storie di vita quotidiana. Tra questi ci sono giovani di talento che trarrebbero grande beneficio dal contatto con il mondo. Un paio di libri del Nord - uno sulla storia di un divorzio, l’altro su una cortigiana del sedicesimo secolo, hanno avuto successo anche al Sud. Da quando la Corea del Sud si è liberata della dittatura militare e ha instaurato una democrazia, gli scrittori del Nord, che prima erano vietati, possono essere pubblicati. Ma la maggior parte non trovano un editore perché non c’è un pubblico. I giovani s’interessano ormai meno ai problemi politico-sociali e più a quelli personali”. Anche i suoi libri vertono su temi ”impegnati”. Interessano ancora i giovani sudcoreani che vivono nel benessere e non hanno memoria personale della guerra di Corea? [...] ” vero che l’interesse dei giovani si è spostato. Ma secondo me non sono indifferenti alla politica, anche se non si fanno più le manifestazioni degli anni 80 contro la divisione. Il fatto stesso che votino per i partiti progressisti che ricercano il dialogo con il Nord, prova che l’impegno resta”. Alla fine degli anni 80 Hwang fu delegato da sindacati, associazioni e difensori dei diritti umani ad andare a Pyongyang. Ma andare nella Corea del Nord era considerato alto tradimento e non poté più tornare a Seul. Restò in esilio quattro anni, poi tornò e finì in carcere, da cui è uscito solo nel 2000, con la liberalizzazione fatta dal presidente Kim Dae Jung. Nessuno mosse un dito per aiutarlo, tra coloro che l’avevano delegato? ”Fu davvero curioso. Quando venni accolto a Berlino dopo molto girovagare appresi che molti di coloro che mi avevano delegato erano entrati nei partiti conservatori, perfino come dirigenti... Mi sentii come in una rappresentazione teatrale, tu sei sotto le luci della ribalta, tutti ti applaudono, poi le luci si spengono e ognuno se ne va per i fatti suoi lasciandoti da solo”. Una situazione che assomiglia a quelle vissute dal suo protagonista, Il signor Han, per il quale lei ha preso spunto da una storia vera, quella di un suo zio. [...]» (Vanna Vannuccini, ”la Repubblica” 19/9/2005).