nn, 17 settembre 2005
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Matthews Mark
• Greenville (Stati Uniti) il 7 agosto 1894, morto a Washington (Stati Uniti) il 6 settembre 2005. «[...] L’ultimo dei Buffalo Soldiers, veterano dei veterani, ha attraversato tre secoli e un paio di millenni. Figlio di schiavi del profondo Sud, nato nell’Alabama razzista del 1894 quando in Italia scoppiavano i ”fasci siciliani” e in Francia l’affare Dreyfus, il sergente Mark ha chiuso la sua vita nell’America sporca di Katrina dove anche gli uragani riescono a essere ”razzisti”. proprio in Louisiana che nel 1866 nasce il 9° Cavalleggeri, mentre il 10° vede la luce in Kansas. I cavalieri neri sono gli eredi degli schiavi morti combattendo nella Guerra civile appena terminata, gli eroi del 54° Reggimento raccontati nel film Glory del 1989. Non è sbagliato pensare al sergente Morgan Freeman come al fratello maggiore dei Buffalo Soldiers mandati all’Ovest durante le Guerre Indiane. L’incontro con il piccolo Mark Matthews avviene in Ohio, dove la famiglia si è trasferita. Nella terra del generale Custer, 20 anni dopo il Little Big Horn, Mark ha la passione dei cavalli. Porta in giro i giornali con un pony. A 15 anni è stalliere nel Kentucky dove si imbatte in alcuni reduci black soldiers. Quando viene a sapere che con quella divisa si può cavalcare tutto il giorno e in più ti danno 13 dollari al mese, non ci pensa un secondo. Viene mandato a Fort Huachuca, Arizona. il 1910. Nelle Grandi Pianure gli indiani sono stati sconfitti. Cavallo Pazzo è morto. a Sud, tra Arizona New Mexico, che i native americans oppongono le ultime resistenze al comando di Geronimo, Mangus, Nana. ”Negri” contro «Indiani»? Si può vedere anche così: gli ex schiavi costretti a partecipare al genocidio dei primi americani. Ma non bisogna immaginare i Buffalo Soldiers come il Settimo Cavalleggeri con la spada sguainata. I black cowboys scortano diligenze, portano dispacci. Gli ufficiali bianchi gli danno i ronzini peggiori. Ma loro sono bravi in sella quanto i nemici indiani. Sotto il portico, ormai anziano, il vecchio sergente Mark ricorderà ai nipotini che ”con la briglia e il fucile non mi batteva nessuno”. Mentre il 9° Reggimento insegue Geronimo, il 10° del generale ”Black Jack Pershing” caccia Doroteo Arango detto Pancho Villa, che durante la Rivoluzione messicana sconfina negli Stati Uniti. il 1916. Non lo troveranno mai. Black Jack manderà un telegramma a Washington: ”Villa is everywhere, but Villa is nowhere”. Dappertutto e da nessuna parte. Un po’ come il sergente Mark. Nel ’44, sulla soglia dei 60 anni, è nel Pacifico, dove assiste alla battaglia di Saipan. Nel ’47 lascia la divisa. Fa la guardia in un ospedale militare. Nel ’52 l’esercito diventa misto, i reparti all black vengono smantellati. Nel ’70 Mark va in pensione. Nell’86 muore la moglie Genevieve, sposata nel ’29. Nel 2002 incontra Clinton e il generale Powell. Non ha mai ucciso nessuno. Gli piaceva pescare. Loquace con i bambini, lapidario con i grandi. Nel 1997 al cimitero di Arlington, quando appoggiandosi a un bastone scopre una lapide per i compagni caduti dalle Montagne Rocciose all’Appennino Toscano, il vecchio bisonte respirando a fatica così raccontò la sua vita in due frasi: ”I did it all. Yes, I was there”. Ho fatto tutto. Io c’ero» (Michele Farina, ”Corriere della Sera” 17/9/2005).