17 settembre 2005
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 19 SETTEMBRE 2005
Ma che roba è ’sto convertendo Fiat? [1]
«Nel luglio 2002, quando la casa automobilistica torinese si trovava in una situazione ben peggiore dell’attuale, ottenne in prestito da otto banche (Intesa, Unicredito, Capitalia, Sanpaolo-Imi, Montepaschi, Bnl, Bnp-Paribas, Abn-Amro) 3 miliardi di euro. L’accordo era che in capo a tre anni avrebbe deciso se restituirli o tramutarli in azioni». [1]
Adesso i tre anni sono passati. [1]
«Il prestito scade domani. E Fiat ha deciso che gli conviene tramutare il debito in azioni e varare un aumento di capitale. Saranno emessi quasi 292 milioni di nuove azioni al prezzo di 10,28 euro ciascuna, che le banche sottoscriveranno compensando i loro crediti». [1]
E alle banche conviene? [1]
«Macché. Pensi che la quotazione in Borsa di quelle azioni si aggira sui 7 euro e mezzo. Si può dire che il salvataggio della Fiat è costato al sistema bancario circa 760 milioni». [2]
Qualcuno deve aver sbagliato i conti. [3]
«La conversione avviene a un prezzo che è la media tra i 14,4409 euro previsti dal contratto e la media delle quotazioni di borsa negli ultimi sei mesi. Nel settembre 2002, quando fu stipulato l’accordo, il titolo quotava intorno agli 11 euro e la drammatica situazione in cui versava il Lingotto era sotto gli occhi di tutti. Domanda: per quale ragione banchieri che dovrebbero avere la vista lunga accettarono un accordo che si profilava così oneroso?». [3]
Risposta? [3]
«Delle due l’una: o erano convinti che la Fiat in questi tre anni si sarebbe resa protagonista di un clamoroso recupero, ma allora non sanno leggere i bilanci e, quel che è peggio, le prospettive di un settore già all’epoca in grande affanno; oppure si erano messi in testa di diventare i padroni del gruppo, con una quota che avrebbe assegnato loro il ruolo di primi azionisti. Prospettiva smentita dai fatti, visto che quasi tutti i banchieri coinvolti dicono di non voler diventare soci stabili». [3]
Non si potevano opporre alla conversione? [4]
«Voci di mercato avevano puntato sull’ipotesi di un intervento finanziario dell’Ifil, la finanziaria della famiglia Agnelli, che avrebbe permesso di alleggerire, almeno in parte, il peso dell’impegno degli istituti del convertendo. Magari con una revisione del prezzo verso il basso per la quale erano stati chiesti anche alcuni pareri legali. Ma non se n’è più fatto nulla. [4] L’assenza di una linea comune tra le banche ha agevolato il gioco della Fiat, che aveva pieno interesse a non ritoccare un contratto reso vantaggioso dalla caduta del titolo in questi tre anni. Intesa e Capitalia erano defilate e pronte a uscire a scadenza, Unicredit preferiva un rinvio, Sanpaolo mirava a una holding dei titoli Fiat delle banche. [5] Fino a poco tempo fa si sospettava pure che le banche cercassero un ”cavaliere bianco” disposto a tirare fuori i quattrini del convertendo per detronizzare gli Agnelli». [6]
Non potevano far salire le quotazioni per limitare le perdite? [7]
«Tra fine aprile e inizio maggio il titolo ha toccato il minimo, 4,77 euro, per poi risalire, in pochi giorni, a 5,1-5,2 euro. [4] A quei livelli la minusvalenza era ancora superiore ai 4 euro per azione. [7] Passati tre mesi, era il 24 agosto, la Consob sollecitò spiegazioni sulla performance quanto meno singolare delle Fiat: qualche decina di milioni di azioni erano passate di mano e il titolo era finito largamente sopra i 7 euro, una soglia che non raggiungeva da oltre trenta mesi. La Fiat fece sapere di non essere in possesso di alcun elemento utile o di informazioni rilevanti tali da influire sulla quotazione del suo titolo. Nell’arco di un paio d’ore, Ifil, Intesa, Unicredit, Capitalia e Sanpaolo risposero che non sapevano niente, e la cosa finì lì. Tutti diedero la colpa a non meglio specificati speculatori. [8] Adesso però s’è capito chi comprava le azioni». [9]
Chi? [9]
«Gianluigi Gabetti, il presidente dell’Ifil, ha confessato alla fine della scorsa settimana che ad aprile, con il titolo sotto i 5 euro, il rischio che gli sfilassero la Fiat non era più tanto teorico. [10] Deve sapere che convertendo il credito in azioni, le banche diventano azioniste per il 26,7 per cento, mentre la quota della finanziaria della famiglia Agnelli scende al 22. Troppo poco. Gabetti dice che se non fossero intervenuti con decisione avrebbero stuzzicato gli appetiti di spezzatino che si avvertono da più parti». [12]
E allora che hanno fatto? [12]
«Giovedì hanno annunciato l’acquisto di 82,25 milioni di azioni Fiat ad un prezzo di 6,5 euro, in modo da tornare sopra al 30 per cento. Venditore la Exor, cioè una finanziaria francese controllata dall’Ifil, che le ha comprate da Merrill Lynch. Badi bene che si tratta di quasi 4 euro meno di quanto pagheranno le banche. [12] L’operazione Exor-Merrill Lynch è avvenuta tra aprile e metà giugno». [11]
Ma l’Ifil non aveva detto ad agosto che non sapeva niente? [9]
«Gli innocentisti dicono: alt, l’acquisto non è stato fatto né da Fiat né da Ifil, ma da Exor. Epperò la finanziaria francese è controllata al 70 per cento da Giovanni Agnelli Sapa e al 30 da Ifi, l’altra cassaforte di casa Agnelli. Facciamo finta di credere che in Fiat non fossero al corrente di quello che stava accadendo ai piani superiori, è plausibile che neppure Ifil, che quelle azioni le avrebbe rilevate solo poche settimane più tardi, ne fosse informata? Nulla sapeva Gianluigi Gabetti, che è presidente della Giovanni Agnelli Sapa, della Exor, dell’Ifi, dell’Ifil? Nulla sapeva John Elkann, consigliere di Exor, Ifi e Ifil e vicepresidente di Giovanni Agnelli Sapa e di Fiat?». [11]
Lei che dice? [11]
«La famiglia Agnelli ha fatto una scelta sulla base della sua esclusiva convenienza: quella di rastrellare azioni sul mercato mentre le quotazioni delle azioni stavano all’inferno, laggiù sprofondate da una lunga serie di errori imprenditoriali e manageriali, e mentre le banche che hanno salvato la Fiat dal baratro si apprestano a sottoscrivere l’aumento di capitale che di quel salvataggio è l’atto finale. E va bene. Quello che non va bene è dare al mercato risposte evasive, fuorvianti, o peggio. Questo non è lecito per nessuno, neppure per gli Agnelli. [9] Come ha scritto un noto broker italiano nella e-mail inviata ai propri clienti internazionali, è un altro bel quadretto dell’Italia». [11]
Quanto è costata quest’operazione? [4]
«Quasi 535 milioni. Che non sono pochi. E infatti, al di là delle dichiarazioni ufficiali, sembra che nella famiglia non fossero tutti entusiasti all’idea di tirare fuori altri quattrini. [4] Dicono che fra i meno convinti ci fosse Andrea Agnelli, il figlio d’Umberto, quello secondo il quale la famiglia, nel lungo periodo, avrebbe dovuto guardare all’esperienza dei Ford negli Stati Uniti: conservare una quota simbolica della società che porta il loro nome, ma continuando a esprimere la presidenza. [13] Ma al momento Andrea non ha la forza di spingere verso il parziale disimpegno, ed è stato sconfitto da John Elkann, il cui pensiero è, in sintesi, questo: ”Come si fa, ora che le cose potrebbero andare per il verso giusto, a farsi sfilare la Fiat da qualche scalatore?”». [14]
E chi sarebbe questo scalatore? [14]
«Chi dice De Benedetti, chi Lehman Brothers. Illazioni senza prove». [14]
Le banche si libereranno delle azioni il prima possibile? [15]
«Non dovrebbero comportarsi in modo irresponsabile. La deresponsabilizzazione dei consigli di amministrazione è avvenuta piuttosto quando hanno preso il comando i fondi di investimento che in media non rimangono nel capitale più di due anni ed hanno quote limitate. Le banche, come dimostra l’esperienza tedesca, tendono a rimanere nel capitale per un tempo maggiore e con una quota più rilevante. Se hanno anche un rapporto radicato con il territorio, la responsabilità dei loro rappresentanti aumenta». [15]
A chi pensa? [16]
«Ai torinesi del Sanpaolo-Imi, da anni alleato di Ifil e Fiat attraverso partecipazioni azionarie. Il presidente Enrico Salza dice che la sua banca è intenzionata a essere non per la famiglia ma con la famiglia, a fianco della Fiat, che è ancora la prima azienda industriale italiana. [16] Fino a qualche mese fa si pensava fosse imminente la saldatura della sua quota, il 3,5 per cento, con quella dell’Ifil. L’operazione sarebbe svanita perché, si dice, in vari colloqui riservati Salza avrebbe chiesto la testa di Luca Cordero di Montezemolo, che della Fiat è il presidente. [17]. E questo spiegherebbe l’oneroso acquisto delle azioni da Merrill Lynch». [14]
Le altre banche che faranno? [18]
« probabile che qualcuna abbia già provveduto a sistemare parte delle azioni o comunque abbia pensato come farlo. verosimile anche che altre abbiano scelto di tenerle in portafoglio in attesa di tempi migliori. [18] Banca Intesa ha già provveduto a tutelarsi dal rischio Fiat attraverso la costruzione di derivati e non è detto che non possa collocarli lentamente sul mercato. Matteo Arpe, amministratore delegato di Capitalia, ha ricordato nei giorni scorsi di non aver sottoscritto il prestito convertendo per essere un azionista stabile della Fiat. Quanto a Unicredit, Alessandro Profumo dice che non hanno ancora deciso». [2]
Lei ce li metterebbe i suoi soldi nella Fiat? [19]
«Guardi, l’ha ammesso anche Gabetti: solo qualche mese fa forse neanche la famiglia Agnelli pensava che potesse tornare a essere un investimento di cui approfittare. Invece l’impegno e i risultati prodotti dall’accoppiata Sergio Marchionne-Luca Cordero di Montezemolo, hanno cambiato le cose. I due, soprattutto l’amministratore delegato, hanno convinto i mercati e gli analisti ed hanno ammorbidito persino le agenzie di rating. Per dirla con Gabetti, tutti, in questi mesi, si sono accorti che la Fiat non è più quella di prima. Che il risanamento è possibile. Che i risultati ci sono. E non unicamente sul fronte finanziario, non solo grazie al fatto che Marchionne ha portato a casa, tra febbraio e oggi, un miliardo e mezzo dal divorzio con Gm e altri tre miliardi dalla conversione del prestito bancario. C’è anche il conto economico, a mostrare segnali di uscita dal tunnel. Ci sono i prodotti, c’è il lavoro industriale, ci sono le prime alleanze ”tecniche” a lasciar scommettere che il Lingotto possa tornare competitivo». [19]
Che pensa dell’alleanza con la Ford? [20]
«Hanno firmato un memorandum of understanding per la realizzazione della nuova Cinquecento e della nuova Ka. Le due utilitarie dovrebbero essere prodotte su un pianale della Panda negli stabilimenti polacchi di Bielsko Biala, facenti capo al gruppo torinese, con design differenziati e dunque identità proprie. L’obiettivo è quello di poter competere alla pari con avversari che hanno già realizzato in collaborazione questo tipo di vettura, penso a Toyota, Peugeot, Citroen, e di farlo contenendo i costi. Fiat e Ford contano di produrre annualmente 200-250 mila unità. Per Fiat è un importante passo avanti sulla strada delle alleanze mirate, quella individuata da Marchionne». [20]
E la Grande Punto? [21]
« il cavallo di battaglia del segmento C, che vale oltre il 35 per cento del fatturato dell’auto. [21] Un grande sforzo finanziario, quasi due miliardi. [22] La Fiat non ha mai sbagliato le vetture di questa gamma: furono un successo la 127, la Uno, la prima e la seconda Punto. Questa è frutto del lavoro di circa 500 tecnici e alcune migliaia di lavoratori di Melfi e Mirafiori, tutti messi alla frusta nei mesi dell’incertezza. Marchionne dice che se con la Croma hanno raggiunto il top europeo di qualità, con la Grande Punto vorrebbero avvicinarsi al livello giapponese». [23]
Il suo successo è fondamentale per la Fiat? [17]
«Il 40 per cento del fatturato dell’intero gruppo dipende dall’auto, in perdita per 820 milioni nel 2004. La Punto dovrebbe rappresentare più di un quinto delle vetture vendute dalla casa torinese. Mauro Tedeschini, direttore di ”Quattroruote”, dice che le premesse per un successo ci sono perché è un’auto che piacerà ai giovani. L’obiettivo è arrivare a 350 mila Punto consegnate ogni anno, di cui metà in Italia, metà all’estero». [23]
Gli operai saranno più tranquilli? [24]
«Macché. Mentre presentavano la Grande Punto, a Melfi attendevano l’avvio delle trattative sui turni di lavoro richieste unitariamente dai sindacati. La partita si gioca sul ripristino dei diciotto turni consecutivi, che la Fiat ha annunciato ”unilateralmente” a luglio in revisione dell’accordo dello scorso dicembre, quello che, per evitare la cassintegrazione, li aveva ridotti a quindici. Doveva essere valido per tutto il 2005 ed era legato ad una verifica sui livelli di produzione, occupazionali e salariali. Il problema è che per produrre tra 360 e 400 mila unità all’anno, 80 mila a Mirafiori e il resto a Melfi, bisogna reintrodurre il turno che inizia alle 22 della domenica: la Fiom ha già fatto sapere che è un’ipotesi che non prendono neanche in considerazione. E guai a parlargli di lavoratori precari per smaltire i picchi produttivi». [24]