Varie, 15 settembre 2005
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TOMASZEWSKI Henryk Varsavia (Polonia) 10 giugno 1914, Varsavia (Polonia) 11 settembre 2005. Illustratore • «[
TOMASZEWSKI Henryk Varsavia (Polonia) 10 giugno 1914, Varsavia (Polonia) 11 settembre 2005. Illustratore • «[...] uno dei più grandi grafici e illustratori del Novecento, fondatore della ”Scuola polacca”. [...] Influenzato da Grosz e Heartfield, ha rinnovato profondamente l’arte del manifesto per il cinema, il teatro e il circo, diventando un maestro per generazioni di grafici americani ed europei» (’La Stampa” 15/9/2005). « Nel 1954 Bellissima di Luchino Visconti (girato nel ”51) fu distribuito in Polonia. Il manifesto del film realizzato per l’occasione ci presenta un’immagine spezzata, come nell’interruzione improvvisa dello scorrere dei fotogrammi su una pellicola cinematografica: è l’immagine di Anna Magnani e della piccola protagonista. La perforazione visibile sul bordo sinistro allude senza ambiguità alla natura dell’immagine filmica (la pellicola) e al suo drammatico impatto sulla vita di una donna e della sua bambina. L’autore è Henryk Tomaszewski, uno dei maggiori grafici e illustratori del ”900 (pluripremiato da istituzioni quali la Biennale di Venezia, la Biennale di Sao Paulo o la Biennale di Grafica di Lipsia) [...] Il manifesto di Bellissima sintetizza bene la sua poetica, improntata a un materialismo che lo portava a individuare le basi materiali e strutturali del linguaggio visivo, e nello stesso tempo carica di un intenso simbolismo. Questo vale anche, ad esempio, per il manifesto realizzato per la grande mostra dello scultore Henry Moore a Londra nel ”59, dove i caratteri del nome dell’artista acquistano, in modo del tutto semplice e naturale, la spazialità avvolgente delle sue forme scultoree. Tomaszewski ha rinnovato profondamente la grafica d’affiche per il cinema, il teatro, il circo, le esposizioni d’arte, partendo soprattutto dalla lezione del dadaismo, di maestri come Grosz e Heartfield. sfuggito agli stereotipi del sentimentalismo e della violenza, così come all’invadente presenza di scritte che valorizzassero i nomi degli attori a scapito della qualità dell’immagine. Oltre che un grande innovatore, è stato un grande pedagogo, diventando un maestro per generazioni di grafici, dopo aver fondato la famosa ”Scuola Polacca”, presso la stessa Accademia di Belle Arti di Varsavia dove era stato allievo, e dove insegnò dal 1952 al 1985. La sua docenza attirò qui un numero impressionante di studenti. La parziale e momentanea liberalizzazione nell’ambito del sistema comunista in Polonia, negli anni ”50, aveva consentito un’’esplosione” di modernità di cui la scuola fondata da Tomaszewski, insieme alle ricerche di Tadeusz Kantor e del ”Gruppo di Cracovia” , costituisce forse l’esempio più eminente. Il successo della scuola tomaszewskiana in Europa e negli Stati Uniti portò anche, nel ”68, all’apertura del Museo del Manifesto di Varsavia, primo nel mondo. Quello di Tomaszewski è un manifesto filosofico, sintetico, in cui i mezzi espressivi sono economizzati sino ai limiti dell’astrazione. Tuttavia non rinuncia a mettere in luce tematiche sociali: nel lavoro su Bellissima, la difficile comunicazione tra adulti e bambini, e il potere fascinatorio del mito del cinema sulle classi sociali medio-basse. Concepito in generale a fini commerciali e pubblicitari, il manifesto di Tomaszewski diventa opera d’arte: è interamente disegnato, compreso il testo, che è ridotto al minimo ed è perfettamente integrato nella composizione. Il lavoro di Tamaszewski non appare direttamente influenzato né dal Bauhaus tedesco né dal costruttivismo russo, mentre sembrano riaffiorare – oltre i legami con il dadaismo a cui si è accennato – le antiche radici della tradizione dell’affiche francese, da Chéret a Toulouse Lautrec. E ciò soprattutto, forse, nel trattamento del colore e nel procedimento tipografico. Ma non mancano neppure richiami ad artisti contemporanei come Picasso o Max Ernst, nel modo di costruire immagini che spesso rinviano più a un’atmosfera poetica che a un contenuto narrativo. E forse nel fatto di proiettare sul tema i propri fantasmi personali» (Silvia Pegoraro, ”Il Messaggero” 15/9/2005).