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 2005  settembre 09 Venerdì calendario

Simulazione dei cervelli. La Repubblica 09/09/2005. Immaginiamo di stare in cima a un colle, circondati da una nebbia tanto fitta da consentirci la vista solo sulle immediate vicinanze

Simulazione dei cervelli. La Repubblica 09/09/2005. Immaginiamo di stare in cima a un colle, circondati da una nebbia tanto fitta da consentirci la vista solo sulle immediate vicinanze. Per scendere a valle, una strategia possibile è senz´altro questa: ci guardiamo intorno, scegliamo la linea di massima pendenza, facciamo un piccolo passo in quella direzione e poi ripetiamo l´operazione dal punto appena raggiunto. Possiamo sperare, dopo un numero sufficiente di passi, di raggiungere la valle? Dipende, ovviamente, dalla conformazione del colle; certo potremmo ritrovarci intrappolati in qualche avvallamento a mezza strada, da dove il nostro metodo non ci consentirebbe di uscire in nessun modo. Tuttavia, in assenza di questi "minimi locali", avremmo buone speranze di successo. Ora, proprio su questo principio della massima pendenza, o su analoghi e più convenienti criteri di discesa, si basa uno dei metodi più importanti della matematica e dell´intelligenza artificiale. Già nel XIX Secolo, Augustin Cauchy proponeva di usarlo per calcolare il massimo o il minimo di una funzione, per risolvere cioè uno dei problemi fondamentali dell´analisi e della matematica applicata, da cui dipesero, a cominciare da Leibniz e da Newton, i successi del calcolo. Ma per quella singolare virtù che hanno certi algoritmi di prestarsi alle più varie applicazioni, in contesti lontani e in complesse strategie, quello stesso criterio della discesa si è rivelato uno strumento essenziale nei processi di apprendimento automatico. Processi resi possibili grazie a macchine che si chiamano reti neurali, per la prima volta prospettate in un celebre articolo-manifesto del 1943 a firma di Warren McCulloch e Walter Pitts. La rete neurale intende simulare il nostro cervello e diventare capace di riconoscere gli oggetti più disparati, come fiori, fonemi o lettere dell´alfabeto. E´ composta da unità semplici, che stanno al posto dei neuroni e sono unite da connessioni di forza o "peso" variabile. Un fatto decisivo e sorprendente è che esiste una configurazione di pesi che permette alla rete di riconoscere gli oggetti. Inoltre, questa configurazione è effettivamente calcolabile con un processo di discesa analogo a quello descritto: la discesa è in questo caso una diminuzione progressiva dell´errore dovuto alla discrepanza tra la risposta esatta e quella fornita dalla rete. Certo non possiamo dedurre, solo da questo, che ogni nostro apprendimento, o addirittura le nostre funzioni mentali superiori, compresa la coscienza, siano procedure simulabili con un calcolatore digitale. Ce lo impedisce, tra l´altro, l´enorme complessità degli algoritmi deputati a risolvere problemi di dimensioni elevate. Ma che la coscienza sia un algoritmo non si può nemmeno escludere. Bastano esempi come quello della strategia di discesa a suggerire che la matematica, da cui ebbe origine la moderna scienza del calcolo, ha molto da spartire con la nostra esperienza. Dopo Ernst Mach, anche Robert Musil osservava che le nostre azioni si accompagnano spesso, e in modo quasi inconsapevole, a operazioni di tipo astratto. Ma il punto decisivo sta nello stesso concetto di algoritmo, nodo centrale non solo dell´intelligenza artificiale, ma pure dell´informatica, della logica e della matematica. Di quel concetto sono state date diverse definizioni equivalenti, anche se quella che meglio suggerisce le potenzialità del calcolatore è dovuta a Alan Turing. Fin dagli anni ´40 si pensava che esistesse una struttura fondamentale del calcolo, una scienza degli algoritmi appunto, in grado di simulare cose diversissime, come il gioco degli scacchi, il traffico automobilistico, le note musicali, le parole di una lingua, i colori, le cellule del corpo umano. L´algoritmo non consiste propriamente in una formula, ma in un processo, in una serie di passi come quelli che si compiono sommando due numeri, giocando a dama o scendendo per la massima pendenza. Ma che sia l´uomo o la macchina a calcolare, è evidente come un processo debba svolgersi entro limiti di tempo e di spazio ben definiti. E questo posizionamento nel tempo e nello spazio, che è pure una materializzazione – notava John von Neumann – di certi procedimenti matematici, fa dell´algoritmo un ente non più meramente astratto e addirittura il candidato più credibile a ospitare quella sintesi tra fisico e mentale in cui dovrebbe consistere una coscienza simulabile al computer. Gli algoritmi non sono formule morte ma creature reattive e imprevedibili, con un surplus di significato che si aggiunge, o perfino si oppone, a quello che il soggetto umano è in grado di riconoscere. Anche per questo, banalmente, la storia della scienza è piena di sorprese. E il loro compito è pure quello di "dar corpo" a strutture relativamente complesse che solo un preconcetto vede confinate in un mondo di pura astrazione; per questo le spaventose sequenze di cifre che vediamo stampate da un computer (e che in un film come Matrix offrono perfino un tenebroso spettacolo) possono riflettere un pensiero elegante e complesso piuttosto che una deludente brute force. Benedetto Croce osservava che, quando si calcola, si smette di pensare; sarebbe poi così temibile una prova convincente che è proprio il pensiero a essere un calcolo? A esorcizzare la fondata paura di assomigliare a una macchina, basta comunque la storia: la scienza del numero è sempre servita, fin dai tempi più remoti, a parlare dell´uomo e del suo posto nell´universo. Paolo Zellini