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 2005  settembre 01 Giovedì calendario

La Stampa, 01/09/2005. L’una e quaranta di notte. In via Porpora 59 alla Barriera di Milano c’è solo una luce ancora accesa

La Stampa, 01/09/2005. L’una e quaranta di notte. In via Porpora 59 alla Barriera di Milano c’è solo una luce ancora accesa. E’ quella che filtra dalla finestra di un appartamento al terzo piano: la casa in cui vivono Silvano Grenzi, 55 anni, autista da noleggio, e la bella moglie trentottenne, Cristiana Bertolino, conosciuta sul posto di lavoro quand’era segretaria, e sposata nel 1995. Lei è seduta al computer, lui dovrebbe essere in un’altra stanza. Vivono da mesi separati in casa. Si vocifera di qualche problema economico. Hanno appena finito di litigare. L’ennesi-ma discussione di una coppia che, dopo 10 anni di matrimonio, quattro mesi fa ha deciso di separarsi, di prendere strade diverse per non dover soffrire ogni giorno. Gelosie, sospetti e ossessioni. Lui teme che ci sia un altro. Le loro liti non sono scenate plateali: né urla, né rumori. Anche perché sullo stesso pianerottolo, nell’appartamento confinante, vive la madre di lei. Cristiana parla a voce bassa ma si dimostra decisa, terribilmente determinata: «No, con te ad Hammamet non ci verrò mai. Non abbiamo più nulla da dirci, è inutile fare un viaggio per tornare a stare insieme». Poi si gira e riprende a scrivere sul computer. Non se lo aspetta che Silvano, di lì a poco, compaia dietro di lei come un’ombra. Lui impugna la sua pistola, una Sitex calibro 38 con il silenziatore avvitato. Esplode un solo colpo, dritto alla testa. Il proiettile le trapassa il cranio. Quindi abbassa l’arma, prende il telefono e chiama i carabinieri: «Ho ucciso mia moglie, adesso la faccio finita anch’io». Silvano appoggia la canna del silenziatore alla tempia e preme di nuovo il grilletto. Nessuno, nel palazzo, si accorge del dramma che in pochi minuti si consuma in quell’appartamento. Nessuno sente i due colpi di pistola, attutiti dal silenziatore. Nessuno a parte il carabiniere, che dall’altro capo del telefono cerca di prendere tempo, di far desistere quell’uomo dalle sue intenzioni, facendolo parlare, cercando di calmarlo. Niente da fare, il dialogo s’interrompe. Quando le pattuglie arrivano in via Porpora 59, sotto il palazzo di nove piani accanto all’ospedale Giovanni Bosco, i militari corrono in quell’appartamento dove la luce è ancora accesa. Nell’alloggio di fianco, la mamma di Cristiana si sveglia di soprassalto. Ha le chiavi di casa, è lei che apre la porta e li fa entrare. La scena è straziante: l’uomo è immobile, ormai senza vita. La donna invece è a terra, ancora rantolante, in una pozza di sangue. I medici di un’ambulanza la soccorrono, la portano al pronto soccorso che è lì, proprio dietro l’angolo, appena attraversata la strada. Cristiana morirà in ospedale tre ore dopo. Il trambusto nelle scale sveglia qualche inquilino. Si accendono le luci, c’è chi si affaccia al balcone sulla strada. Osservano assonnati, senza capire. Vedono l’ambulanza e pensano ad un malore, tornano a dormire. Nessun capannello di persone, nessun mormorìo davanti a quel portone. Alle 2,30, quando i medici escono caricando Cristiana Bertolino in ambulanza, la strada è deserta. Lo è anche alle 5,40, quando il corpo di Silvano Grenzi viene rimosso dopo i rilievi e trasportato all’obitorio. Soltanto il mattino dopo il quartiere scopre i nomi e i volti conosciuti di quella coppia così distinta, sempre elegante, che si incrociava spesso in quella zona di Barriera Milano. Belle auto e abiti costosi, lei bionda vistosa, lui con l’orologio sul polsino della camicia. Giacomo Bramardo