Note: [1] Bernardo Valli, ཿla Repubblica 10/9/2005; [2] Paolo Valentino, ཿCorriere della Sera 23/8/2005; [3] Stefano Vastano, ཿL’espresso 11/8/2005; [4] m. ver., ཿLa Stampa 1/9/2005; [5] Carlo Bastasin, ཿLa Stampa 10/9/2005; [6] Paolo Valentino, ཿCor, 10 settembre 2005
APERTURA 12 SETTEMBRE 2005
Domenica la Germania va alle urne. I tedeschi devono scegliere se confermare il cancelliere Gerhard Schröder (socialdemocratici/verdi, Spd-Grünen) o sostituirlo con Angela Merkel (cristiano democratici/cristiano sociali bavaresi/liberali, Cdu-Csu-Fdp). Quanto a ”die Linke” (’la sinistra”, la neonata Alternativa per la giustizia sociale dell’ex socialdemocratico Oskar Lafontaine più gli ex comunisti del Pds), dovrebbe superare lo sbarramento del 5 per cento ma è destinata comunque all’opposizione. [1] Paolo Valentino: «Una strana campagna elettorale entra lentamente nella sua fase conclusiva. Un Paese molto ricco e molto depresso, lacerato e mercuriale, appare tentato dal cambio di stagione politica, ma sembra esitante e incerto su quanta fiducia, libertà di manovra e forza concedere ai probabili, futuri potenti». [2]
Quelle di domenica sono elezioni anticipate (di un anno). In primavera la disfatta alle regionali nel Basso Reno Westfalia (equivalente per i socialdemocratici all’Emilia-Romagna per la sinistra italiana) aveva messo Schröder nell’impossibilità di continuare le riforme tese ad alleggerire, senza comprometterlo, il troppo costoso ”modello renano”, versione tedesca dell’economia sociale di mercato, che distingue nelle sue varie forme l’Europa occidentale. Valli: «A paralizzarlo era l’ormai schiacciante maggioranza dell’opposizione di centro destra al Bundestrat, la camera alta in cui sono rappresentati i Länder e dove vengono approvate più della metà delle leggi. Meglio dunque, secondo il cancelliere, convocare il Paese alle urne. Molti nel suo partito hanno giudicato la decisione una mossa da giocatore di poker e hanno cercato di impedirglielo. Ma Schröder non ha ritirato la sfida». [1]
A fine maggio i giochi sembravano fatti. Stefano Vastano: «I 61 milioni di tedeschi che il 18 settembre saranno chiamati a votare per il Bundestag secondo i sondaggi erano orientati a dare il 27 per cento delle loro preferenze all’Spd, il partito del cancelliere, e l’8 per cento a quello ecologista del suo vice e ministro agli Esteri Joschka Fischer. L’epoca rosso-verde, inaugurata nel 1998, pareva così giunta al capolinea. Per far spazio per la prima volta nella storia della Repubblica federale a una donna. Una signora ancora giovane (a luglio ha compiuto 51 anni) e originaria dell’Est: Angela Merkel. Che dal 2000 presiede la Cdu e dal 31 maggio è stata prescelta dai democristiani per sfidare i socialdemocratici, dopo la sfortunata leadership del bavarese Edmund Stoiber nel settembre del 2002. Ancora il 10 luglio scorso i sondaggi garantivano alla Merkel un tranquillizzante 45 per cento dei consensi. Una marea di voti che, sommati al 9 per cento previsto per il partner della Fdp (i liberali di Guido Westerwelle), avrebbero avviato quella che i giornali già definivano ”la svolta conservatrice” in Germania. Senonché lunedí 11 luglio scorso l’aspirante cancelliera ha rivelato ai tedeschi il suo programma. La bellezza di 38 pagine tutte lacrime e sangue per lavoratori, disoccupati e pensionati. Da quel momento le quotazioni di Merkel hanno iniziato a scendere». [3]
I grandi temi della campagna elettorale sono l’occupazione e il sistema fiscale. Il sito internet ”Surfpoeten” ha posto agli elettori 28 domande: vuoi che ritorni il marco? Vuoi la ricostruzione del Muro? ecc. A seconda delle risposte, veniva suggerito il partito da votare. Ha vinto il ”Partito che non c’è”. [4] Carlo Bastasin: «Sui temi che interessano gli elettori tedeschi, le risposte nazionali o non ci sono o sono controproducenti. Nel primo caso creano disillusione sulle possibilità della politica di risolvere i problemi (così la pensa il 63% dei tedeschi), nel secondo caso - per esempio con i tentativi di governare gli accordi salariali o i settori industriali in ragione di un’unicità del modello sociale tedesco - finiscono per frenare l’economia ed essere punite dagli elettori». [5]
In Germania ci sono cinque milioni di disoccupati. Ogni anno vanno in bancarotta 40mila imprese, ogni giorno vengono persi 1000 posti di lavoro ”regolari”, ogni ora vengono fatti debiti per sei milioni di euro. [6] Nel suo recente pamphlet Ciò che bisogna votare, il sociologo Ulrich Beck parla della Germania del XXI secolo come del «paese dei G. S.». Vastano: «Sigla che non sta per Gerhard Schröder, ma per Gregor Samsa. Il protagonista della Metamorfosi di Franz Kafka che un brutto giorno si risveglia trasformato in scarafaggio. un po’questa la brutta sensazione che avvertono oggi 82 milioni di tedeschi. Passati all’improvviso, da primi della classe che erano, agli ultimi d’Europa». [3] Schröder, cancelliere dal ’98, aveva promesso di ridurre la disoccupazione: «Prima di noi nessun governo ha dovuto affrontare problemi come: lo scoppio della bolla di Internet cinque anni fa, le conseguenze dell’11 settembre, il prezzo del greggio salito da 15 a 70 dollari al barile. Il nostro paese ha subito degli shock esterni che spiegano perché non siamo riusciti a centrare l’obiettivo». [7]
Merkel pensa di risolvere i problemi con la cosiddetta ”flat tax”. Si tratta di un sistema fiscale ad aliquota unica già sperimentato in alcuni paesi europei la cui applicazione tedesca è stata affidata all’economista Paul Kirchhof. Paolo Valentino: «In verità, anche il modello proposto da Paul Kirchhof ha un minimo di gradualità: prevede infatti un’esenzione totale per i redditi fino a 10 mila euro l’anno. I seguenti 5 mila euro pagherebbero una tassa del 15%. E gli altri 5 mila una del 20%. Oltre 20 mila euro, scatterebbe l’aliquota unica del 25%. Contemporaneamente, verrebbero però abolite d’un colpo tutte le 418 possibilità di detrazione ammesse dal sistema attuale, da poco riformato dal governo rosso-verde e basato su un’aliquota minima del 15% e una massima del 42%». [8]
Vincesse la Cdu, Kirchhof diventerebbe ministro delle Finanze. Dice: «Il calo delle tasse può stimolare i consumi, ridurre il numero degli evasori, frenare la fuga delle imprese all’estero». [9] Paolo Valentino: «’Chi guadagna fino a 50 mila euro l’anno, pagherà meno di adesso”, sostiene Kirchhof. No, controbattono i suoi detrattori, l’eliminazione indiscriminata delle possibilità di detrazione avrebbe l’effetto opposto su vaste categorie come i lavoratori notturni, i pendolari che usano l’auto, chi vive in affitto e i piccoli risparmiatori. In realtà, secondo il Diw, l’Istituto per la ricerca economica, a profittare di più della flat tax sarebbe chi guadagna tra i 75 mila e i 100 mila euro». [8]
Dalla riunificazione (1990), ogni elezione tedesca si vince all’Est. Nei nuovi Länder dell’ex Ddr, privi di fedeltà politiche radicate e afflitti da un tasso di disoccupazione doppio di quello dell’Ovest. [2] Vastano: «Nessuno lo sa meglio del cancelliere Schröder, ”vincitore per due volte grazie ai tedeschi dell’Est”, come ricorda il settimanale ”Der Spiegel”. Già nel settembre del ’98, quando il rampante socialdemocratico iniziò la sua fortunata carriera, non fu tanto per merito del suo programma (il suo slogan allora era: ”Non cambieremo tutto, ma faremo molto di meglio”), piuttosto perché gli Ossi non ne potevano più delle promesse di Helmut Kohl, a sentire il quale all’Est sarebbero spuntate ”nel giro di quattro, cinque anni ’fiorenti pianure’ economiche”». [10]
I cinque Länder dell’Est sono tuttora in una situazione drammatica. Uwe Müller, autore de Il disastro dell’unità tedesca: «Sono una bomba a orologeria che rischia di esplodere da un momento all’altro». Nell’intera Germania Est non c’è un’impresa che superi i 30 mila dipendenti. Vastano: «Se ai tristi tempi dell’economia pianificata di Honecker c’erano nell’ex Rdt 18 ”kombinat” industriali con più di 30 mila dipendenti, e nove con oltre 50 mila, oggi le 100 più grandi imprese dell’Est danno lavoro a 204 mila persone in tutto. E fatturano, insieme, sui 64 milioni di euro. Una multinazionale come la Siemens di Monaco dà lavoro a oltre 400 mila dipendenti. E nel 2004 ha fatturato 74 miliardi di euro, più di tutte e cento le top dell’Est». Horst Dietz, presidente dell’Iic, società per il rilancio industriale dell’Est: «La frustrazione massima è che investimenti e posti di lavoro spuntano come funghi a qualche metro dal confine». La Volkswagen costruisce le Passat in Sassonia, a Zwickau, dando lavoro a 7 mila persone, 400 operai montano le Phaeton a Dresda, ma è a Bratislavia, in Slovacchia, che la Vw ha costruito nuovi impianti per le Polo. [10]
«Non devono essere i frustrati a determinare il futuro della Germania». L’ha detto Stoiber durante un comizio ad Argenbuehl, nel Baden-Württemberg. Nessuno ci avrebbe fatto caso, se non avesse ribadito il concetto dopo una settimana in una birreria di Schwandorf, in Baviera. Aggiungendo questa volta che «se tutta la Germania fosse come la Baviera non avremmo nessun problema ma purtroppo la gente non è dappertutto intelligente come qua, così, come spesso succede, tocca ai più forti aiutare i più deboli». Marina Verna: «Dall’interno della Cdu qualcuno insinua che Stoiber - politico freddo e lucido - abbia pesato le parole proprio con l’intento di indebolire Angela Merkel: se lei non ottenesse i voti per un’alleanza di governo con i liberali e dovesse ripiegare sulla ”Grande Coalizione” con i socialdemocratici, lui potrebbe essere il prossimo cancelliere». [11]
Alla fine della scorsa settimana, un elettore su quattro era ancora indeciso. Valli: «Schröder è frenato da quella che un esperto del berlinese Istituto di ricerche in scienze sociali definisce ”un’enorme palla al piede”. Alle sue spalle è nata una lista rivale: die Linke (la Sinistra). Era già in gestazione, ma ha fatto irruzione sulla ribalta elettorale dopo che il cancelliere aveva chiesto di anticipare di un anno il voto». [1] In varie località dell’Est la percentuale di voti del Pds (Partei des democratischen sozialismus) è uguale a quella dei disoccupati. Fabrizio Coisson. «Finora, però, questa forza elettorale è rimasta in frigorifero: potenti nell’Est, i neocomunisti sono sempre stati visti a Ovest come una specie di dinosauri impresentabili, nonostante l’abilità retorica di Gregor Gysi, il leader che salvò il Pds dalle rovine del Muro. Impossibile superare il 5 per cento dei voti su scala nazionale, la soglia che permette ai partiti di fare il loro ingresso in parlamento. Adesso però anche questo muro sta per crollare». [12]
Il Wasg di Lafontaine non è la semplice estensione del Pds nella Germania occidentale. Valli: «Molti suoi membri provengono dalla corrente di sinistra della Spd, abbandonata in tempi diversi, in alcuni casi da anni. Le riforme liberali di Gerhard Schröder sono all’origine della scissione». La forza del Wasg sta nei consensi che raccoglie nei sindacati delle grandi imprese industriali della Germania occidentale. [1] Il programma ”die Linke” si intitola ”Per una nuova idea sociale”. Vastano: «Una lunga serie di promesse assai impegnative: ai disoccupati, a cui Schröder versa un assegno di 345 euro all’Ovest e 330 all’Est, il duo Gysi e Lafontaine ne vuol dare 420, più l’affitto pagato. L’obbligo di accettare ogni offerta di lavoro pena la cessazione del sussidio, imposto dalle leggi Schröder, viene categoricamente rifiutato. A ogni dipendente il Linkspartei vorrebbe poi garantire un salario minimo di non meno di 1.400 euro, mentre le ore lavorative non dovranno superare per alcun motivo le 40 settimanali». [3]
L’alleanza tra le due formazioni ha una ragione pratica. Valli: «Raggiungere il quoziente del 5%, senza il quale non si entra al Bundestag.
Non si tratta ancora di un vero partito. Resta una coalizione in cui convivono correnti diverse e non sempre conciliabili. tuttavia una novità ricca di sviluppi. Finora la scena politica tedesca era dominata da due grandi partiti, uno a sinistra l’altro a destra, entrambi moderati, spesso disposti a collaborare per realizzare alcune riforme liberali, fiancheggiati da due altri piccoli partiti, i verdi e i liberali. Un sistema sostanzialmente bipolare. Die Linke, cui al momento viene pronosticato l’8,5%, entrerà al Bundestag e nel caso si dovesse arrivare a una Grande Coalizione, potrebbe avere il monopolio dell’opposizione, con tutti i vantaggi che questo può comportare. Gerhard Schröder ha escluso in modo categorico, quasi sprezzante, la possibilità di un’intesa con quella nuova sinistra alla sua sinistra». [1]
Finirà con una Grosse Koalition? Roger Koeppel, direttore del quotidiano conservatore ”Die Welt”: «Mi sembra che la Wechselstimmung (la voglia di cambiamento) sia troppo forte perché finisca con una Grosse Koalition». [13] Edward Hadas: «L’ultimo tentativo (fallito) di formare un governo di unità nazionale risale agli anni 60, ma oggi la Spd è molto meno sbilanciata a sinistra, anzi per quanto riguarda la politica economica la distanza tra i due partiti è modesta. Questi governi di coalizione funzionano bene durante le crisi nazionali, ma la disoccupazione all’11% potrebbe non bastare a convincere Cdu e Spd a collaborare. La soluzione ideale sarebbe un’alleanza che sintetizzi il meglio dei due programmi di riforma: meno tasse sui salari per la Cdu e tagli più decisi ai sussidi di disoccupazione per la Spd, ma c’è il rischio che il risultato sia invece un compromesso pasticciato e inefficace». [14]
Come è possibile che in uno scontro politico dai toni esiziali si faccia strada l’ipotesi del compromesso? Bastasin: «La lettura politica convenzionale - la gabbia destra-sinistra di cui siamo prigionieri volontari - ci fa perdere di vista qualcosa di fondamentale: il voto tedesco, i temi del dibattito e le scelte degli elettori riflettono soprattutto il disagio della politica nazionale a confronto con la realtà globale dei problemi. L’offerta di politica, legata ai confini nazionali, non coincide più con la domanda politica degli elettori e con i problemi della società, spesso regionali, quasi sempre globali. La vita politica ne viene trasformata silenziosamente giorno dopo giorno come se il ruolo di governo e quello di opposizione fossero distribuiti non più all’interno dei confini, ma a cavallo di essi, mettendo in contrapposizione ciò che è globale con ciò che è nazionale». [5]