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 2005  settembre 03 Sabato calendario

Delitto di Brescia 03/09/2005 - 1

Omicidio Donegani: passo dopo passo. Il Giornale di Brescia 03/09/2005. Paura. Fa paura. E non c’entra, almeno mentre si sale, il fatto che lì sotto siano stati trovati i pezzi dei coniugi di via Ugolini. La via Mala, antica strada dei contrabbandieri, fa paura da molto prima. Da quando il muso della macchina comincia ad infilare i tornanti che da Schilpario conducono al passo del Vivione. Ad ogni giro di volante il primo pensiero è rivolto alle proprie gomme: dove andranno ad appog- giare? Sull’asfalto? Sul terriccio? Nel vuoto? Il secondo invece va all’autore di tutto questo: chi mai, portandosi sulla coscienza e nel baule tranci di cadavere, potrebbe aver affrontato questa via? Non ce n’erano altre? Non esistevano nascondigli altrettanto efficaci? Se non di più? Il pensiero diventa una spirale che segue l’andamento delle curve: « stato lui? Non è stato lui?». Mentre la paura cresce a passo d’auto. Diventa orrore a non più di 20 km/h e cammina insieme alla sensazione che chi ha voluto sbarazzarsi dei Donegani conoscesse bene la via Mala. La conosceva a menadito. Viene da dire: «Uno che non l’ha mai fatta... non sarebbe mai salito di qui». Una sensazione che diventa certezza umana, e fallibile, quando si arriva attorno al 15° chilometro della strada del Vivione. Sopra il punto in cui il 17 agosto vennero fuori i resti dei coniugi. Sopra l’unico punto, percorrendo e ripercorrendo la rotta dell’orrore, utile per sbarazzarsi di Aldo e Luisa. «Così ripido, così inaccessibile, tanto rivestito di sottobosco non ce n’è un altro. Chi è arrivato sino lì ci è andato a botta sicura». Ci diconono. E in effetti è difficile ipotizzare che si sia fermato a ripetizione per cercare il punto buono. Soprattutto di notte. Chi lo ha fatto sapeva che lì avrebbe potuto contare su un dislivello notevole e su una pendenza oltre il 70%. Che non avrebbe avuto una strada sotto e nemmeno le acque del Sellero. Aveva studiato tutto bene, quasi tutto. «La strada qui chiude a fine ottobre - ci hanno detto - e qui non viene nessuno, nè a caccia, nè a funghi. Non li avrebbero trovati mai»... se non fosse che ogni delitto si porta appresso un errore e lascia delle tracce. Le più evidenti sono state trovate dagli stessi volontari che, quindici giorni dopo il ritrovamento, sono ancora lì, alla ricerca di quello che manca. Uno di loro sbuca in cima a quel canyon. Sudato, ferito ad un braccio. Col fiatone e la testa a quel ritrovamento macabro, fatto di prima persona. Prende un sasso in mano e ci fa vedere che lancio è servito per scaraventare i Donegani dove li hanno trovati. Almeno cinque metri in là, prima della picchiata. «Abbiamo trovato i resti proprio qua sotto - dice -. C’erano pezzi un po’ ovunque. Anche sugli alberi. I sacchi nei quali erano i resti probabilmente sono scoppiati nell’impatto al suolo o si sono strappati tra i rovi». Hanno perso il loro contenuto, svelato l’orrore. «E la precisione chirurgica, anzi microchirurgica - prosegue il volontario - di chi ha agito. I resti presentavano tagli netti. Chi ha fatto questa operazione sapeva come si doveva agire. Non c’è traccia di ossa rotte o spezzate. I cadaveri sono stati disarticolati». Poi gettati, ritrovati come le cesoie e il sacchetto della spesa. Elementi indiziari ripescati decisamente più sotto, qualche tornante più lontano da lì. Tra la casa cantoniera dell’Enel e uno spuntone di roccia che sbuca dalla boscaglia. Ciò che ancora non si è trovato, e che forse a questo punto non si troverà mai, sono i resti che mancano. «Con questa zona (che è quella che sale da Angolo Terme sino al punto della tragedia) abbiamo passato al setaccio proprio tutto». Come a dire: o le troviamo oggi o, qui, non le troviamo più. Delle due, al tramonto, è realtà la seconda. In val di Scalve, nella valle di Paisco e sotto il passo del Vivione, non c’è altra traccia. Tanto meno quella delle teste. Ma che fine hanno fatto? Gli esperti della zona parlano di bestie: volpi e tassi. «Ce ne sono tantissime, non mi sento di escludere siano state loro a portarsi via quello che manca. Di sicuro in questa zona sarà difficile trovare ancora qualcosa. La speranza c’è sempre, quella deve essere l’ultima a morire»... di sicuro però, ora, nella valle di Paisco e in val di Scalve è quanto meno in stato comatoso. Difficile, inoltre, sarà anche trovare qualcuno che si ricordi qualcosa: qualche particolare, qualche volto. Che possa aggiungere qualche dettaglio alla storia che nasce alle nove di quella mattina di mercoledì 17 agosto. Nessuno, infatti, ricorda niente di particolare. Nessuno dice di conoscere i protagonisti certi e quelli supposti. In tutti emerge la voglia che la curiosità, più o meno morbosa, che le indagini, che tutta la vicenda, venga lavata via dal prossimo acquazzone che si abbatterà sulla Concarena. Che sul verde non resti più traccia di nulla, nemmeno del ricordo. Pierpaolo Prati