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 2005  agosto 30 Martedì calendario

I magnati dell’acciaio Usa conquistati dall’arte italiana. Il Sole 24 Ore 30/08/2005. Se al terzo colpo la pistola dell’anarchico Alexander Berkman non si fosse inceppata, non ci sarebbe oggi a New York la schiera quotidiana di turisti davanti all’indirizzo One 70th Street, all’angolo con la Quinta strada nel "Millionaire’s Row" dell’Upper East Side

I magnati dell’acciaio Usa conquistati dall’arte italiana. Il Sole 24 Ore 30/08/2005. Se al terzo colpo la pistola dell’anarchico Alexander Berkman non si fosse inceppata, non ci sarebbe oggi a New York la schiera quotidiana di turisti davanti all’indirizzo One 70th Street, all’angolo con la Quinta strada nel "Millionaire’s Row" dell’Upper East Side. The Frick Collection è certamente una delle più affascinanti collezioni private d’arte che si possano visitare, e anche una delle più serene, con una singolare esclusione di scene di violenza dalla sua accurata cernita della pittura europea. Ma pochi sanno di che lacrime grondi, e di che sangue, il denaro del lascito testamentario con cui Henry Clay Frick si è conquistato l’immortalità del mecenate, impegnando anche la sua discendenza a diffondere la conoscenza della bellezza. Storditi da tanti capolavori racchiusi in una accattivante atmosfera domestica, al termine della visita si stenta a comprendere come il raffinato collezionista d’arte sia stato l’uomo più odiato d’America. Tanto che un ventunenne emigrato russo - come racconta nel libro di memorie la sua donna, l’anarco-femminista Emma Goldman - decise di sacrificare consapevolmente la sua vita a un ideale di umanità proprio per colpire quell’uomo: «Io ucciderò Frick, sarò condannato a morte e morirò con orgoglio nella certezza di aver dato la mia vita per il popolo». Il fatto è che Frick fu uno dei simboli dell’epoca dei "robber barons" seguita alla Guerra civile: tempi di forsennata espansione economica che consentirono ad alcuni uomini brillanti e senza scrupoli di accumulare ingenti fortune in pochi anni cavalcando il boom dell’industria carbonifera e siderurgica. Le norme antitrust o contro l’insider trading erano di là da venire, come le leggi sulla protezione del lavoro. Così Frick, da presidente della Carnegie Steel, non ebbe scrupoli ad arruolare un contingente di 300 armati - sgherri dell’agenzia Pinkerton - come polizia privata per porre fine a uno sciopero deciso dai sindacati contro i tagli ai salari e la reintroduzione dei turni di 12 ore. Fu la notizia dello scontro davanti alla fabbrica di Homestead nel luglio del 1892 - che in totale costò la vita a 35 persone, compresi alcuni dei mercenari della Pinkerton, più centinaia di feriti - ad armare la mano di Berkman. Non furono le sole vittime che Frick ebbe sulla coscienza. Lui e alcuni soci, qualche anno prima, avevano fatto costruire un lago artificiale per il loro South Fork Fishing and Hunting Club (caccia e pesca). Nel maggio 1889 la diga crollò e spazzò via il villaggio di Johnstown: ci furono oltre 2.200 morti, tutto fu messo a tacere. Stando poi alle descrizioni della vita infernale dei lavoratori delle acciaierie - come quelle di Homestead fatte da Hemlin Garland, la cui pubblicazione causò una tremenda lavata di capo ai subordinati da parte di Frick per aver lasciato entrare lo scomodo scrittore in fabbrica - oggi certamente il magnate ottocentesco sarebbe accusato di numerosi omicidi colposi, se non volontari sotto il profilo del dolo eventuale. E ancora, dallo sfruttamento di lavoro minorile alle lesioni e al danno biologico provocato ai dipendenti, dai comportamenti collusivi o intimidatori con i concorrenti all’insider trading, il personaggio darebbe oggi molto lavoro ai tribunali penali e civili. Eppure fu l’uomo che dette un contributo fondamentale alla creazione del maggiore gruppo industriale del mondo (la Us Steel Corporation), con un ruolo personale nella storia del Paese con effetti che durano ancora oggi. Fu proprio la sua linea dura e vittoriosa sullo sciopero di Homestead a causare un indebolimento dell’intero movimento sindacale, che non si riprese fino agli anni 30, e istituzionalizzò in qualche modo la divisione tra lavoratori sindacalizzati e non, che tanta parte ha ancora oggi nella Corporate America. A ben guardare, certe cose sono cambiate poco, almeno stando a quanto sostiene Les Standiford nel libro appena pubblicato Incontriamoci all’inferno: la feroce partnership che ha trasformato l’America. La partnership in questione è quella tra Frick e l’altro magnate dell’acciaio Andrew Carnegie, che fu suo partner e capo prima di diventarne il nemico numero uno. «Meet you in hell» è la risposta fatta riferire da Frick a Carnegie, che ormai sul letto di morte gli chiedeva invano un incontro dopo quasi 20 anni di inimicizia a distanza. Standiford si chiede se in fondo le pratiche di business di Wal-Mart nello schiacciare la concorrenza e offrire salari di sussistenza opponendosi a ogni forma di sindacalizzazione siano poi tanto diverse da quelle dei tempi di Frick. La percentuale ormai minima di lavoratori sindacalizzati, al 13,5%, corrisponde a quella della "Gilded Age". Il vizietto del protezionismo contro le importazioni, poi, non ha mai abbandonato l’industria dell’acciaio Usa, come testimoniano le recenti misure di ritorsione della Ue e del Giappone. La differenza è che oggi Frick non potrebbe rifiutare a una commissione senatoriale di dire quanto costi una tonnellata di acciaio, come fece allegando il segreto industriale nel momento in cui la lobby siderurgica aveva appena ottenuto nuovi dazi protettivi, sostenendo che all’estero il costo del lavoro fosse inferiore e spolverando l’esigenza di tutelare l’occupazione nazionale. Secondo la sua pronipote Martha Frick Symington Sanger, Henry Clay Frick non fu diverso dagli altri magnati dell’industria della sua epoca, da John D. Rockefeller a James Hill a George Pullman. La sua severità trova radici «nell’etica del lavoro appresa nel villaggio rurale mennonita dove nacque. Lì i bambini erano considerati commodities da far lavorare fino all’estremo delle forze». Martha è la biografa della famiglia: oltre ad aver pubblicato la storia di Frick e un libro sulle residenze di famiglia, sta lavorando alla biografia di Helen Clay Frick, la figlia del magnate che per tutta la vita ne proseguì e ampliò il lascito nei confronti dell’arte (sarà pubblicata l’anno prossimo per la University of Pittsburgh press). Della sua generazione oggi i Frick sono 14: lei è l’unica a non far parte dei board delle fondazioni, per evitare il conflitto di interesse con il suo ruolo di scrittrice. Altri 14 sono i Frick della generazione successiva, che ha prodotto a sua volta una numerosa discendenza. «La caratteristica della famiglia rispetto ad altre dinastie americane? Credo sia nel profondo coinvolgimento collettivo nel perpetuare l’aspetto storico dell’arte dell’eredità Frick», afferma. A distinguersi in un’altra direzione fu il figlio di Henry Clay, Childs, che - a dispetto del padre -, per il suo temperamento poetico e scientifico, divenne un illustre paleologo e un benefattore dell’American Museum of National History. Oggi i Frick sono attivi anche nel settore immobiliare, nell’investment banking, nella psicologia e nelle cause ambientali. Un fratello di Martha, J. Fife Symington, si era dato alla politica diventando governatore dell’Arizona, ma ha inciampato in una condanna per truffa finanziaria, poi rivista in appello fino al perdono concesso da Bill Clinton. «Ora fa lo chef», dice Martha Sanger, che è esperta di caccia alla volpe ed ex proprietaria di cavalli da steeplechase. Lei è stata la prima discendente ad andare nel luogo del disastro della diga («Passati cento anni, mi hanno trattato bene»). Nei suoi scritti ha sottolineato le tragedie personali che hanno marcato la vita del suo grande antenato, a partire dalla morte della figlioletta Martha a sei anni e di un altro figlio poco dopo la nascita. Le sue interpretazioni psicanalitiche delle scelte dei quadri - compensazioni per la perdita della bambina o fantasie incestuose verso l’altra figlia prediletta, Helen, di cui cestinava le proposte di matrimonio - le sono costate un certo risentimento da parte di alcuni familiari. Del resto, non ha esitato a ingaggiare una feroce battaglia giudiziaria perduta al fine di evitare la spartizione degli archivi di famiglia tra New York e Pittsburgh. «Non me ne pento affatto - dice - talvolta l’integrità morale deve sopravanzare la lealtà familiare: dividere le carte è un incubo per gli studiosi ed è andato contro il volere della mia prozia Helen». Con "grauntie" (soprannome inventato da Helen per se stessa, come contrazione di "great" e "aunt", zia) Martha ricorda i viaggi in Italia, dove incontravano il grande esperto e arbitro del gusto Bernard Berenson, già visitato dallo stesso Frick nella sua villa I Tatti. «C’è un forte legame con l’Italia nella famiglia Frick - continua Martha - Henry Clay ci veniva quasi ogni anno e fu felice di comprare gli elementi di arte decorativa oggi nella West Gallery e tutti i bronzi del Rinascimento della collezione J.P. Morgan». Se Henry Clay inaugurò nel 1905 gli acquisti italiani con il ritratto dell’Aretino del Tiziano, la vera italofila era però Helen: «A lei si deve l’aggiunta di 13 dei 19 dipinti italiani oggi nella collezione. Le piaceva soprattutto la prima arte italiana, quella dei secoli XIII e XIV. Per la Art Reference Library aveva sguinzagliato un team di fotografi per tutta Italia a fotografare la pittura del Paese». La collezione Frick, comunque, è strutturalmente eclettica, più di quanto lo sia la "rivale" londinese Wallace (imperniata sui francesi), ed eccelle anche nella pittura fiamminga, tedesca, francese e spagnola; quest’ultima grazie alla "fucina" di Goya che si distingue dagli altri quadri per il suo aspro realismo: unica concessione di Henry Frick alla sua professione di "Vulcano" dei tempi moderni. Se oggi, dall’inferno in cui ha dato appuntamento a Andrew Carnegie, lui potesse tornare di lunedì - giorno di chiusura - nella sua residenza newyorchese, certo approverebbe l’iniziativa del New York Police Department, che vi porta i detective per individuarne i dettagli. Un corso di alta scuola di polizia, insomma, di fronte ai migliori Vermeer d’America, che danno così il loro contributo alla lotta contro criminalità e terrorismo. Stefano Carrer