Corriere della Sera 3/9/2005, Franco Foresta Martin, 3 settembre 2005
Il professor Kerry Emanuel del Massachusetts Institute of Technology, ha pubblicato il 4 agosto su Nature un saggio in cui mostra che «negli ultimi 30 anni, mentre non si nota nessuna variazione nella quantità dei cicloni tropicali, c’è invece un’evidenza schiacciante dell’aumento della loro forza distruttiva
Il professor Kerry Emanuel del Massachusetts Institute of Technology, ha pubblicato il 4 agosto su Nature un saggio in cui mostra che «negli ultimi 30 anni, mentre non si nota nessuna variazione nella quantità dei cicloni tropicali, c’è invece un’evidenza schiacciante dell’aumento della loro forza distruttiva. Kerry ha dimostrato che quella totale dei cicloni Atlantici è più che raddoppiata, mentre quella totale dei cicloni del Pacifico Nord-Occidentale è aumentata del 75%. Qual è il meccanismo che lega l’aumento medio delle temperature globali, quasi un grado nell’ultimo secolo, con la formazione di cicloni sempre più distruttivi? ”Sta aumentando pure il contenuto termico della superficie degli oceani, spiega Vittorio Canuto, da 30 anni professore di oceanografia e climatologia alla Columbia University di New York e senior scientist della Nasa. Siamo arrivati a un quinto di watt per ogni metro quadrato: sembra un’inezia, ma moltiplicata per tutta la superficie delle acque, porta a una cifra enorme. Di conseguenza, c’è maggiore evaporazione dagli oceani all’atmosfera, maggiore trasferimento di energia”. Queste intense perturbazioni liberano venti oltre i 200 km all’ora, assieme a valanghe di acqua e raffiche di fulmini. C’è il rischio che l’incremento dell’effetto serra renda più cattivi i cicloni nostrani? ”Il rischio c’è perché il clima non funziona, come molti pensano, come un sistema lineare, che a ogni piccola forzatura, per esempio un modesto aumento di temperatura, reagisce con una piccola modificazione, risponde il professor Canuto. Funziona piuttosto come un orso a cui, se fai un leggero solletico una, due o tre volte, prima nemmeno lo sente, poi reagisce con un impercettibile movimento, infine ti sferra una micidiale zampata. Questo in fisica lo chiamiamo comportamento non lineare. Ebbene, se anche le tempeste extratropicali dovessero raddoppiare il loro contenuto energetico, le prime a soffrire sarebbero le lowlands, le terre basse d’Europa e del Mediterraneo prossime alle coste, che vengono più facilmente invase dalle acque in tempesta; e poi anche le zone soggette a dissesti idrogeologici, come quelle di molti versanti instabili italiani, che già oggi si trovano in difficoltà durante le piogge intense”»