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 2005  settembre 06 Martedì calendario

Hochhuth Rolf

• Eschwege (Germania) 1 aprile 1931. Scrittore • «[...] protestante, figlio di un industriale calzaturiero, libraio, poi lettore per la casa editrice Bertelsmann [...] nel 1963 apparve Il Vicario, testo teatrale che accusava Pacelli [...] tornato alla ribalta per il film Amen di Costa Gravas. Per Hochhuth la storia è materia bruta da utilizzare a suo uso e consumo; come fece ancora nel ’67 per il dramma Soldati in cui accusava Churchill di essere il mandante dell’assassinio del premier polacco Sikorski nel ’43 [...] “[...] Nel 1945 avevo 14 anni, e sentivo dire che eravamo un popolo di assassini. Due giorni dopo che gli americani avevano occupato Eschwege, mia città natale, mio zio venne nominato sindaco sostituendo quello nazista. E vedemmo le immagini di Eisenhower che piangeva mentre attraversava il lager di Buchenwald. Allora mi ricordai di una frase detta a mia nonna dall’autista di mio nonno tornato dal fronte russo in permesso ‘se qualcosa di ciò che stiamo facendo dovesse andare storto e se dovessero vendicarsi di noi tedeschi...’. Era solo l’inizio della persecuzione, quando gli ebrei venivano fucilati [...] Il Vicario lo scrissi nel 1960 in una casa di religiosi tedeschi, proprio di fronte a San Pietro. Diventai amico di un colaboratore della segreteria di Stato, poi nominato nunzio [...] Mi posi la domanda: c’è un pezzo di carta, una lettera, in cui Pio XII una sola volta parli dell’Olocausto? Non trovai risposta. [...] Non c’è alcuna carta di Pio XII che riguardi terzo Reich o il Führer che menzioni per iscritto, o anche a voce, gli ebrei, per quali non ha mai speso mezza parola. [...] Pio XII era un vile [...] Nel 1944 in Ungheria furono deportati 400 mila ebrei. Roma e il Vaticano erano già sotto la protezione degli americani! Ma neppure allora ebbe il coraggio di esprimersi [...] Quando Giovanni XXIII lesse Il Vicario e gli chiesero cosa si potesse fare contro questo testo diss: ‘Nulla, contro la verità non si può fare nulla’ [...] Quella frase fu riportata da Hannah Arendt [...]”» (Francesca Pini, “Sette” n. 20/2002).