Corriere della Sera 31/08/2005, pag.35 Sergio Romano, 31 agosto 2005
La Croce Rossa italiana: un’altra Banca d’Italia. Corriere della Sera 31/08/2005. Prendo spunto dal recente vespaio di polemiche suscitato dalle rivelazioni di Maurizio Scelli circa la liberazione delle due giovani volontarie rapite in Iraq, ma allargo l’orizzonte ad altre recenti diatribe e osservo che una delle qualità più carenti nei rappresentanti delle istituzioni, di qualsiasi livello, è la discrezione, ovvero la capacità di trattare con tatto e riservatezza argomenti spinosi e delicati per il prestigio degli organi che rappresentano, rinunciando al sensazionalismo e alla notorietà personale
La Croce Rossa italiana: un’altra Banca d’Italia. Corriere della Sera 31/08/2005. Prendo spunto dal recente vespaio di polemiche suscitato dalle rivelazioni di Maurizio Scelli circa la liberazione delle due giovani volontarie rapite in Iraq, ma allargo l’orizzonte ad altre recenti diatribe e osservo che una delle qualità più carenti nei rappresentanti delle istituzioni, di qualsiasi livello, è la discrezione, ovvero la capacità di trattare con tatto e riservatezza argomenti spinosi e delicati per il prestigio degli organi che rappresentano, rinunciando al sensazionalismo e alla notorietà personale. In una parola, che ne è dei galantuomini silenziosi che si vantavano unicamente di essere «umili servitori dello Stato»? Davide Sanvito d.sanvito@ciaoweb.it Caro Sanvito, nel caso Scelli vi è senza dubbio un clamoroso difetto di prudenza e discrezione. Il responsabile della Cri non dovrebbe rilasciare dichiarazioni vanagloriose e dovrebbe soprattutto badare al prestigio della sua istituzione più di quanto non sia interessato alla propria notorietà. Ma in questa vicenda vi è un altro aspetto, forse più importante, che concerne, al di là di Scelli, la Croce Rossa italiana. Come ogni altro membro della grande federazione mondiale che riunisce tutte le associazioni di Croce Rossa e Mezzaluna rossa, anche la nostra ha bisogno di uno statuto che garantisca la sua completa indipendenza. Nessuna organizzazione umanitaria, infatti, può svolgere con efficacia le sue funzioni, soprattutto nel corso di un conflitto, se non dimostra a tutti con il suo stile e il suo comportamento di essere al di sopra delle parti. questa, tra l’altro, la ragione per cui il Comitato internazionale della Croce Rossa (l’organo esecutivo che ha sede a Ginevra) suggerisce alle associazioni nazionali di non chiedere e di non accettare la protezione delle forze militari di uno dei contendenti. Neutralità e imparzialità non sono soltanto caratteristiche virtuose: sono anche e soprattutto indispensabili strumenti di lavoro. Ma a Ginevra gli statuti e la prassi della Croce Rossa italiana hanno sempre suscitato parecchie riserve. Dagli anni Settanta ormai (con una breve parentesi circa dieci anni fa) la Cri è diretta da un commissario di nomina governativa, vale a dire da una persona che non è eletta dai rappresentanti delle associazioni locali e dalle diverse branche di cui l’istituzione si compone. Non basta. Fra queste branche due (le infermiere volontarie e il corpo militare) dipendono sostanzialmente dal ministero della Difesa e non possono essere considerate indipendenti. So che hanno sempre svolto un ottimo lavoro e che la loro opera è stata universalmente lodata. Ma le uniformi che indossano e il loro stretto rapporto con le nostre forze armate le rendono di fatto un corpo ausiliario dell’esercito italiano. Lo abbiamo constatato in Somalia all’epoca dell’operazione Restore Hope e più recentemente in Iraq. Quando la sede della Croce Rossa internazionale a Bagdad fu vittima di un attacco terrorista, qualcuno a Ginevra avanzò il sospetto che lo stile di lavoro degli italiani avesse creato una pericolosa confusione e diffuso tra gli insorti la convinzione che la Croce Rossa fosse «di parte». Una maldicenza? Me lo auguro. Ma se il commissario, nel corso delle sue visite in Iraq, è visibilmente scortato dai carabinieri e se è al tempo stesso fondatore di un movimento favorevole al governo, è difficile che i terroristi credano nella sua neutralità e imparzialità. Abbiamo così alla Croce Rossa, caro Sanvito, un caso simile per certi aspetti a quello della Banca d’Italia. Pur di conservare un rapporto privilegiato con le due istituzioni, il governo chiude un occhio sulle iniziative del governatore e sulle esibizioni personali del commissario. Sarebbe meglio che il governatore e il commissario venissero sostituiti da due presidenti e che ciascuno di essi rendesse democraticamente conto della sua gestione alla istituzione di cui è responsabile. Sergio Romano