La Stampa 01/09/2005, pag.24 Maurizio Assalto, 1 settembre 2005
Camilleri-Zingaretti «Montalbano siamo». La Stampa 01/09/2005. E no, Camilleri, qui si comincia male
Camilleri-Zingaretti «Montalbano siamo». La Stampa 01/09/2005. E no, Camilleri, qui si comincia male. «In quel cassetto c’è il mio Montalbano terminale, ci sto lavorando in questi giorni. Sarà la fine del personaggio». Ma via, non si fa così... Proprio oggi che siamo venuti per festeggiare, un po’ in anticipo, il suo ottantesimo compleanno. Proprio oggi che Montalbano in persona è venuto a omaggiarlo. A uno che è nato dalle stesse parti di Pirandello, che a dieci anni aveva la ventura di vederselo capitare in casa con feluca spadino e alamari, in tenuta da Accademico d’Italia, non dovrà sembrare così «speciosa» la situazione di un autore che riceve la visita del suo personaggio. Il Personaggio con la maiuscola si è materializzato sotto le sembianze di Luca Zingaretti, l’attore che agli occhi di dieci milioni di telespettatori è tutt’uno con la figura del commissario dell’immaginaria Vigàta. Ma poiché l’Autore, in questo caso, è un celebre giallista, il delitto è in agguato: un delitto letterario, beninteso, che nel gioco pirandelliano dell’interazione tra il personaggio e lo scrittore vede infine quest’ultimo sbarazzarsi dell’altro. O forse no, forse è il personaggio che induce l’autore a «suicidarlo». Fossimo nei Sei personaggi ne nascerebbe una disputa coi fiocchi. Invece nel piccolo studio lungo e stretto dove Camilleri se ne sta rintanato come una grossa talpa, l’occasione è propizia per una chiacchierata che parte da Montalbano e non sai dove andrà a finire. Zingaretti è stato allievo dello scrittore all’Accademia d’Arte Drammatica, lo considera il suo maestro. Intorno ci sono quadri e sculture (Canevari, Messina, Greco, Attardi), fotografie e poster, un pupo che raffigura Gano di Maganza («il più odiato dei paladini, quello della rotta di Roncisvalle»), una nutrita collezione di cd di jazz, cinque scaffali pieni delle traduzioni in tutto il mondo (Montalbano e non), il ritaglio di un giornale ippico con il titolo «Camilleri logico favorito» («Come trottatore ho vinto a San Siro, alle Capannelle» si vanta lui. «Ora quel cavallo non corre più, ma nella medesima scuderia ce n’è un altro che si chiama Vigàta: il proprietario dev’essere un mio lettore»). Zingaretti è reduce da Pantelleria, dove «ho conosciuto una giapponese che leggeva Il cane di terracotta in edizione americana, ed è diventata matta quando ha saputo che io ero Montalbano». Adesso è in partenza per Venezia, dove sarà in gara con il film di Roberto Faenza I giorni dell’abbandono, da un romanzo di Elena Ferrante. Anche Camilleri è appena tornato dalle vacanze all’Amiata, e si prepara a una breve puntata a Agrigento per una festa in suo onore il 10 settembre. Come sono stati gli anni dell’Accademia, che tipo di insegnante era Camilleri, e quale tipo di studente Zingaretti? CAMILLERI. «Ho insegnato per tanti anni, soprattutto regia. Ero succeduto al mio maestro Orazio Costa: che sta là, in quel busto di bronzo che lo ritrae a vent’anni, fatto da Pericle Fazzini che ne aveva 18. Ma a volte mi capitava pure di insegnare recitazione: quell’anno recitazione televisiva». ZINGARETTI. «Eravamo una classe piuttosto irrequieta, ma le sue lezioni non ce le perdevamo». CAMILLERI. «Spesso le continuavamo al bar...». ZINGARETTI. «Si parlava un po’ di tutto. Era un eccezionale affabulatore, molto bravo a trovare il dettaglio originale nel gesto quotidiano. Magari ci inchiodava due ore sull’uomo che aveva appena visto prendere il cappuccino. Che poi è anche la grandezza del suo modo di scrivere. Aveva già allora questa dote di vedere oltre le apparenze, di riuscire a ragionare sulle sottili trame che formano i rapporti tra le persone: da romanziere, è diventata la sua capacità di scavare nel personaggio, mostrandolo tante volte nudo, facendoci anche sorridere. Perché poi la realtà è sempre lì a portata di mano, ma noi non la vediamo». CAMILLERI. «Devo dire che con Luca non avevo molta famigliarità, come l’avevo con altri allievi. Però, mentre raramente andavo a vedere gli altri a teatro, con lui non ebbi alcun dubbio. Mi interessava il suo crescere come attore, più che averlo per amico». E quando ha saputo che il suo ex allievo sarebbe diventato Montalbano? CAMILLERI. «Quando me lo dissero, e qualcuno obiettò che non aveva il fisico del ruolo, perché era calvo, mi misi a ridere. un attore bravissimo, dissi: mi basta». ZINGARETTI. «Invece io, quando vinsi i provini, ero proccupatissimo. Certi miei amici, appassionati lettori di Andrea, mi telefonarono. Scherzavano: ”Aho, nun t’azzardà ché ce lo rovini!”. Solo dopo essere stato scelto lo chiamai. Ero felice ma terrorizzato. Lui mi invitò a ”abbandonarmi” al personaggio: può sembrare banale, ma detto dal tuo maestro di recitazione è un aiuto enorme». Aveva già letto i romanzi di Camilleri? ZINGARETTI. «Sì, quasi tutti. Mi era piaciuto molto Il birraio di Preston. Meriterebbe una riduzione non televisiva ma cinematografica». CAMILLERI. «C’è un progetto, mi pare. Ma l’ostacolo maggiore sono i costi, appesantiti dall’ambientazione ottocentesca. Comunque non è che io sogni la trasposizione sul grande schermo. Se viene, bene. Ogni trasposizione comporta la perdita di alcuni elementi narrativi. Il problema è limitare le perdite». Zingaretti, a lei è rimasto qualche cosa di Montalbano? Nella sua personalità reale, intendo. CAMILLERI (sogghignando). «Mi auguro di no». ZINGARETTI. «Non ho mai capito bene questa storia dell’immedesimazione nel personaggio. Per fare bene bisogna rimanere distanti. Poi certo ogni esperienza ti cambia. Per Montalbano io provo un grandissimo affetto, non solo perché mi ha dato la popolarità. A volte vorrei assomigliargli. Penso a lui come a un amico che sta in un posto remoto della Sicilia. Penso a come farebbe lui. un uomo con un senso dell’onestà, della giustizia, dell’onore che ormai ci è sconosciuto, che riusciamo appena a ricordare. Un personaggio che ti prende la mano». CAMILLERI. «E prende la mano anche ai lettori. Dopo l’uscita del Giro di boa, dove il poliziotto Montalbano ha una crisi di coscienza in seguito ai fatti del G8 di Genova, ho ricevuto lettere di gente che diceva ”lei non può permettersi di scrivere queste cose: Montalbano non è più suo, è nostro”». Molto pirandelliano. E anche di più: l’opera aperta... CAMILLERI. «Ogni lettore intrattiene un rapporto particolare col libro, quindi con il suo autore. Molti mi scrivono, qualcuno mi dice che siccome io ho raccontato una storia, adesso lui mi racconta la sua. C’è il caso di una giovane architetta del Nord-Est che, dopo avere letto i miei libri, è rimasta scioccata dall’interpretazione di Luca. Adesso vuole solo fidanzati calvi: ”Lei non sa cos’è il riflesso della luna sulla testa del mio uomo”, mi ha scritto». L’immagine di Zingaretti, dunque, si è sovrapposta a quella che ognuno di noi ne aveva. Accade anche a Camilleri? CAMILLERI. «No. Io continuo tranquillamente con il mio Montalbano». Ce lo vuole raccontare, dunque, una buona volta? Nei romanzi la descrizione emerge soltanto a tratti, qua e là. CAMILLERI. «Non l’ho mai visto tutto intero. Una volta i capelli, una volta il neo, una volta i baffi. Ne ho sempre avuta un’immagine confusa. Finché un giorno, alcuni anni fa... Avevo appuntamento a Cagliari con un professore di letteratura di quella università, Giuseppe Marci, che mi aveva invitato a chiudere un suo corso. Eravamo d’accordo che per farsi riconoscere avrebbe avuto con sé una copia del Birraio. Bene, sceso all’aeroporto ho avuto la sorpresa di imbattermi in Montalbano col Birraio sottobraccio. Era proprio lui. Lo scrissi a Carlo Esposti, il produttore della serie tv: peccato che un attore così somigliante non esista». Ma alla base di Montalbano, ci ha detto una volta, c’è anche suo padre. CAMILLERI. « una cosa che ha scoperto mia moglie: ”Ti rendi conto che stai facendo un lungo ritratto di tuo padre?”. Aveva ragione, non me n’ero accorto. Ma certo, c’è molto di lui: quel suo gusto dell’ironia, il continuo sottodiscorso, lo scontro perenne col potere. E c’è qualcosa anche di Sciascia: quei suoi silenzi strepitosi, quelle ”taliate”...». E gli altri personaggi: hanno anche loro qualche base nella realtà? CAMILLERI. «Ma no! Oddio, forse qualcuno. Livia, per esempio. L’ho conosciuta a Boccadasse nel 1950, si chiama Raffaella Perillo. L’ho rivista quando sono andato a Genova a presentare La mossa del cavallo. Una bella vecchietta. Mi sono spaventato, per me». Zingaretti, quali nuovi Montalbani ci aspettano in tv? ZINGARETTI. «Due sono già pronti: Il giro di boa e Par condicio, tratto da due racconti della raccolta Un mese con Montalbano. Altri due, La pazienza del ragno e Il gioco delle tre carte, cominceremo a girarli a metà ottobre». Visto che Montalbano nella finzione narrativa è invecchiato e ha ormai raggiunto i 55 anni, e augurando a Camilleri cento di questi giorni - o almeno una ventina, via - c’è da aspettarsi di vedere il commissario in pensione? ZINGARETTI. «A me non piacerebbe, il personaggio non avverte stanchezza. Sono io, però, che ho deciso di dire stop». CAMILLERI. «E io sono d’accordo con te, Luca. Proprio il fatto che Montalbano - a differenza di altri personaggi seriali, come Sherlock Holmes o Maigret - invecchia, partecipa alla vita di tutti i giorni, mi rende sempre più difficile stargli dietro. Così ho deciso di scrivere il romanzo finale. Mi è venuta l’idea e non me la sono fatta scappare. Ma non è che finisce sparato o va in pensione o si sposa Livia, come piacerebbe ai lettori: ci voleva una trovata alla Montalbano per fargli abbandonare la scena. Anche se non è detto che questo libro uscirà subito, magari se mi viene ne pubblico prima qualche altro, o magari uscirà postumo». Non ci vuole proprio anticipare nulla? CAMILLERI. «Posso dire che nelle pagine che sto scrivendo c’è uno scontro continuo fra me e il personaggio. Montalbano si lamenta sempre, ”sono vecchio, sono vecchio...”. Non è vero niente, gli rispondo, è che ti sei rotto le palle! Per la verità io scrissi il secondo romanzo della serie perché avevo lasciato alcune cose in sospeso sul carattere del personaggio. Il successo di questo libro, che ha trascinato tutti gli altri, è quello che mi ha fottuto, che mi ha costretto a andare avanti fino a ora». Sì, ma la «trovata alla Montalbano»? CAMILLERI. «Il personaggio non può che finire nel momento in cui comincia a pensare al doppio. Cioè comincia a pensare a Zingaretti. E si trova sopraffatto dall’altro personaggio. E non trova in Camilleri l’appoggio necessario per andare avanti. Così gli fa un discorso cinico: ”Senti un po’, quando io stampo un libro e sono 500 mila copie si tocca il cielo con un dito; quando l’altro appare in televisione sono 10 milioni di spettatori: che vogliamo fare?”. Allora Montalbano ha un’idea montalbaniana. L’inizio di questa cosa è lui che arriva sul luogo del delitto, e tutta la gente, sulla strada, col morto, tutti affacciati ai balconi che pare una festa. ”Il commissario arrivò, Montalbano arrivò!”. ”Cu, chiddru della televisione?”. ”No, chiddru vero”. A Montalbano gli girano i cabasisi e...». Maurizio Assalto