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 2005  agosto 21 Domenica calendario

Lettere di una madre per caso. Il Sole 24 Ore 21/08/2005. Quando le chiedevano cosa aveva voluto dire avere una madre così famosa, la figlia di Colette rispondeva: «Ci vuole tutta la vita per riprendersi»

Lettere di una madre per caso. Il Sole 24 Ore 21/08/2005. Quando le chiedevano cosa aveva voluto dire avere una madre così famosa, la figlia di Colette rispondeva: «Ci vuole tutta la vita per riprendersi». La scrittrice l’aveva concepita a quarant’anni nell’illusione, presto dissoltasi, di poter avere una vita quasi normale con il seducente, ambiziosoHenryde Jouvenel. Ma era troppo tardi per entrambi e la figlia era rimasta sola, tra istitutrici e collegi, mentre i genitori riprendevano le loro tumultuose abitudini sentimentali. Eppure le delizioseletteredella scrittrice sono piene di un cauto, ironico affetto per quell’esserino che cresceva in bellezza e in altezza. Ma non, ahimé, in genialità e nemmeno, purtroppo, in buon senso. «Ho sempre visto - diceva Cocteau - madre e figlia cercarsi a distanza, a tentoni come in una partita di mosca cieca». All’inaugurazione del suo istituto di bellezza, Colette, osservarono le amiche, truccò la figlia come una puttana. Il terzo matrimonio della scrittrice con un uomo molto più giovane stroncòlaragazza, chereagìsposando frettolosamente un giovanotto timidissimo e barbuto. Tre mesi dopo divorziarono. «Motivo senza replica: orrore fisico». Colette confortòdalontano, come sempre, la figlia: «Non voglio che tu sia infelice a ventidueanni».ColetteI era bisessuale, la sua erede si sarebbe orientata verso il lesbismo. Negli anni seguenti Colette II, come veniva chiamata, aveva tentato varie strade, come quella dell’antiquariato, senza mai concludere molto. Certo, scriveva piuttosto bene ma, diceva, non era tanto sciocca da provarci davvero. In realtà Colette II non si era mai ripresa da quella donna «perfida, amorale, senza il benché minimo senso della maternità». Nel senso che aveva continuato ad amarla disperatamente, a fare di quella madre distratta il centro della propria vita, a costo di non averne davvero una. In fondo, nel tentativo di attirare su di sé lo sguardo della scrittrice, era rimasta una bambina capricciosa, spendacciona e inconcludente. Fino alla scomparsa definitiva di Colette. Allora si era dedicata interamente alla sua memoria, smentendo l’indifferenza che aveva ostentato in passato. La fuga definitiva della madre l’aveva lasciata piena di ricordi. Colette, diceva, le aveva insegnato &la non apprezzare o disprezzare secondo la morale corrente». Ormai l’aveva perdonata: «Non si poteva chiedere a lei, che partoriva ogni giorno, di mettere al mondo ogni mattina due gemelli: il lavoro e sua figlia». Giuseppe Scaraffia Colette Gabrielle, «Ma chérie. Lettere con la figlia 1916-1953», traduzione di Annalisa Comes, Donzelli.