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 2005  settembre 02 Venerdì calendario

«Attenti, più petrolio di così non si può produrre». Il Sole 24 Ore 02/09/2005. Ballydehob. Colin Campbell è il prototipo del pensionato felice

«Attenti, più petrolio di così non si può produrre». Il Sole 24 Ore 02/09/2005. Ballydehob. Colin Campbell è il prototipo del pensionato felice. Dopo aver girato il mondo in lungo e in largo per quarant’anni - cominciati nei panni del geologo ai Caraibi e terminati in Norvegia nei panni del petroliere - s’è ritirato con la moglie Bobbins in un paesino di poche anime, nel verde e ventoso sudovest dell’Irlanda. «Sono stanco di viaggiare - confessa con un sorriso bonario - e questo villaggio remoto è perfetto, per me». Però non immaginatevi un pensionato intento a deglutire pinte di Guinness e a lanciare freccette al pub. Colin Campbell è felice perché, anche qui a Ballydehob, si sente al centro del mondo. Al di là degli oceani, qualcosa sta accadendo. La Chevron Texaco, uno dei colossi del greggio occidentale, ha da poco lanciato una massiccia campagna pubblicitaria: «Una cosa è chiara - scrive l’amministratore delegato Dave O’Reilly, in una sorta di lettera aperta pubblicata sui magazine internazionali - l’era del petrolio facile è finita». Il sito Internet della rivale Exxon parla più cripticamente di una «sfida energetica» alle porte. E intanto, al Nymex di New York, un barile di greggio Wti ha valicato i 70 dollari, una soglia che appena un anno fa sarebbe parsa impensabile. Tutti eventi che hanno qualcosa in comune: danno ragione a Campbell. Non tutti i pensionati ricevono una richiesta di intervista al giorno. «Solo nell’ultima settimana - racconta - mi hanno telefonato radio e giornali dall’Australia, da Singapore, dall’Austria e dal Canada». E oggi c’è una visita dall’Italia. Il motivo è semplice. Sono quasi quindici anni - da quando è uscito il suo primo libro, «The Golden Age of Oil» - che Campbell lancia ammonimenti sull’imminente picco del petrolio, la materia prima che fa letteralmente girare il mondo. «Il problema non è l’esaurimento delle scorte, che è ben lontano nel tempo - spiega - ma l’esaurimento di metà delle riserve, dopo il quale la produzione non potrà far altro che calare». Un po’ come è già successo negli Stati Uniti nel 1971, o in Russia nel 1987, quando la produzione è iniziata a scemare, senza mai più riprendere quota. Secondo Campbell, il picco mondiale potrebbe non essere lontano, se non addirittura già dietro alle nostre spalle. Solo così, osserva, si può dare una spiegazione ragionevole di quel che sta succedendo al Nymex. «quel che mi dicono i miei studi. E quello che mi dice la mia esperienza». Le esperienze di Campbell cominciano a Oxford quando, «piùper una coincidenza che per meriti scolastici», viene accettato come aspirante geologo. Nel 1955, durante un viaggio organizzato dal suo ateneo e dalla Shell, vede il suo primo campo petrolifero, nel Borneo. Dì lì a poco, viene ingaggiato dalla Texaco e si trasferisce a Trinidad, nei Caraibi. lì, che incontra gli amori della sua vita: il business petrolifero e Bobbins. «Anche lei lavorava per la Texaco», racconta. «La incontrai sul molo, mentre scendeva da una petroliera». Per la Texaco andrà poi in Colombia, negli Stati Uniti e di nuovo in Colombia, stavolta per i colori della Bp. «Come sanno tutti i bevitori - scherza Campbell - ogni bicchiere di birra comincia a finire con il primo sorso. Il petrolio si è formato in due periodi storici, 90 e 150 milioni di anni fa, dall’unione di precise (e rare) circostanze. I geologi petroliferi ormai sanno che non ci sono molti altri luoghi dove andarlo a cercare». Campbell aveva studiato la geologia della Colombia sul campo, muovendosi nell’interno del Paese in groppa a un cavallo. «Feci un report alla Bp - continua - nel quale giudicavo altissime le probabilità di trovare petrolio in una certa valle. Era una zona lontana dalla costa e la Bp non giudicò economica l’operazione. Vent’anni più tardi, è stata la Occidental Petroleum a trivellare e a sfruttare quei pozzi». Sono lontani i tempi in cui si credeva che il greggio esistesse soltanto sotto le rocce della Pennsylvania. Talmente lontani che, nel frattempo, l’oro nero è stato trovato sotto le rocce di mezzo mondo; lo scettro di prima potenza energetica è passato dagli Stati Uniti all’Arabia Saudita e solo in virtù di questa risorsa - una specie di dote della Natura - il mondo ha moltiplicato commerci, produzioni e ricchezze per un secolo e mezzo. «La nostra - sintetizza Campbell - è un’economia petrolifera». E proprio qui sta il guaio. «Per la prima volta nella storia dell’umanità - sentenzia - ci apprestiamo a passare da un’èra a un’altra per obbligo e non per scelta: l’età della pietra non è finita perché erano esaurite le pietre, ma perché il bronzo le ha rimpiazzate. E lo stesso dicasi dell’età del bronzo». Secondo Campbell, il petrolio è a 70 dollari per un solo motivo: la capacità scarseggia. «Scarseggia quella produttiva e anche quella di raffinazione, per il semplice motivo che le grandi compagnie petrolifere non hanno nessuna intenzione di investire in uno scenario di declino. Così, ogni uragano e ogni imprevisto sono buoni per spingere il prezzo del barile ancora più in alto». Se c’è una cosa che Campbell ha imparato è che il petrolio è oscuro e niente affatto trasparente: non solo il greggio in sè, ma anche tutto il mondo che gli gira attorno. «Ai tempi della Colombia - racconta divertito - avevo l’incarico di capo geologo. Ma in realtà ero l’ufficiale pagatore: per fare qualsiasi cosa, c’era bisogno della corruzione. E certo non era un problema della sola Colombia». Tuttavia, l’assenza di trasparenza diventa addirittura paradigmatica quando si parla delle riserve petrolifere, che Campbell bolla come «grossolanamente inattendibili». Sono inattendibili quelle dei singoli Paesi, a cominciare dalla Russia che - guarda caso - sulle riserve ha messo il segreto di Stato. Sono inattendibili quelle delle grandi compagnie, che «per anni hanno usato parametri prudenziali, nel tentativo di avere sempre buone notizie da comunicare ai mercati azionari», salvo poi scoprire che i conti erano sbagliati, com’è accaduto alla Shell. Infine, sono inattendibili quelle dell’Opec dopo che, nel 1985, «il Kuwait ha raddoppiato all’improvviso le proprie riserve senza aver scoperto una goccia in più: solo per guadagnare punti nelle sistema delle quote Opec». Una mossa che, nel giro di pochi anni, fu replicata da tutte le altre nazioni del cartello. «Inclusa l’Arabia Saudita, che ormai da più di un decennio dichiara di avere 258 miliardi di barili, come se i consumi di questi anni fossero stati rimpiazzati da nuove scoperte». Le quali, e qui sta il punto, non ci sono. «dal 1964 che le scoperte mondiali di nuovi giacimenti hanno iniziato a declinare». Dopo la lunga esperienza sudamericana, Colin e Bobbins sono tornati in Europa, nella natìa inghilterra. A Londra, Campbell ha fatto il manager della Shenandoah Oil, società fondata da James Stewart dopo aver interpretato l’omonimo film. Poi, con l’incarico di vicepresidente esecutivo alla Fina, ha lavorato in Norvegia, intento a scoprire giacimenti sotto le gelide acque del Mare del Nord. Ma ha fatto anche altro. Nel 1995, ha pubblicato insieme a Jean Leharrere «The world oil supply», un monumentale lavoro statistico in tre volumi, redatto con le cifre a disposizione di Petroconsultants, una società ginevrina che a quei tempi raccoglieva i dati delle compagnie, «solite a non parlarsi fra di loro». Le conclusioni dell’opera sono immaginabili: il picco sta per arrivare. Dopo la pubblicazione, la Texaco, la stessa società che dette il primo lavoro a Campbell e che ora ammette &la fine del petrolio facile», telefonò alla Petroconsultants. «Comunicarono che avevano deciso di rescindere il contratto», ammicca Campbell sorridendo. Il pensionato felice non si limita a profetizzare la fine dell’èra petrolifera. Dice anche che bisogna fare qualcosa, e presto. Ad esempio, sta incoraggiando il Centro Pio Manzù - che lo ha invitato a parlare a un convegno a Rimini, a ottobre - ad adottare una solenne dichiarazione. In soldoni, si dice che i leader del mondo - se sono veri leader - devono ammettere che il problema esiste e adottare delle strategie comuni. «Se i dati sul greggio fossero trasparenti e di pubblico dominio, la realtà sarebbe davanti agli occhi di tutti. E, forse, smetteremmo di stupirci per il prezzo del barile che sale». Il mondo, soprattutto quello dell’oro nero, è troppo grande e complesso. Al centro del mondo, c’è Ballydehob. Marco Magrini