Il Sole 24 Ore 29/08/2005, pag.14 Marco Bona Castellotti, 29 agosto 2005
Maestri fiamminghi a casa Savoia. Il Sole 24 Ore 29/08/2005. Verso la fine del Settecento l’abate Luigi Lanzi, al quale si deve uno dei primi e lungimiranti ordinamenti dell’arte italiana per scuole, afferma che la quadreria dei Savoia supera ogni altra per il folto contingente di opere di maestri fiamminghi
Maestri fiamminghi a casa Savoia. Il Sole 24 Ore 29/08/2005. Verso la fine del Settecento l’abate Luigi Lanzi, al quale si deve uno dei primi e lungimiranti ordinamenti dell’arte italiana per scuole, afferma che la quadreria dei Savoia supera ogni altra per il folto contingente di opere di maestri fiamminghi. Egli attribuisce tale concentrazione al soggiorno a Torino di alcuni pittori delle Fiandre. In realtà il consistente insieme di dipinti fiamminghi e olandesi presenti a Torino, che il recente allestimento della Galleria Sabauda per collezioni ha contribuito a valorizzare, venne acquistato quasi in blocco nel 1741, allorché Carlo Emanuele III re di Sardegna incaricò il suo ambasciatore a Vienna, il conte Luigi Malabarba di Canale, di avviare le trattative per comprare la raccolta che il principe Eugenio di Savoia, morto a Vienna pochi anni prima, nel 1736, custodiva nella sua splendida residenza viennese: il palazzo del Belvedere. Eugenio di Savoia è uno degli uomini d’arme meno rozzi del primo Settecento, anzi lo potremmo ritenere un archetipo del principe illuminato, se non fosse che, per quasi tutta la vita, fu impegnato a menare colpi di sciabola in qualità di comandante dell’esercito austriaco, contro i francesi e i turchi, accumulando, attraverso tale attività, un immenso patrimonio personale che riuscì a godersi collezionando quadri. Nel 1706 Eugenio viene insignito del titolo di Governatore dello Stato di Milano e nel 1716 ottiene il governo delle Fiandre, ed è questa non irrilevante carica a conferire un riferimento culturale ai suoi orientamenti, ai suoi gusti, alle sue scelte in materia d’arte. Che acquistasse direttamente nei Paesi Bassi o, come è più probabile, attraverso qualche intermediario, non lo sappiamo; ad ogni modo, quando lascia i quadri in eredità alla nipote Vittoria di Soissons, il complesso conta poco meno di 180 unità. Vanno aggiunte le dieci tele che illustrano le gloriose imprese militari di Eugenio, eseguite dal pittore Huchtenburgh con puntuale fedeltà descrittiva, sotto la dettatura del principe stesso e con la precisione di un cronista di guerra. Eugenio poteva vantarsi di non aver perduto nemmeno una battaglia e tra i suoi più famosi successi si annoverano le vittorie di Chiari, di Cassano, di Torino, di Belgrado e di Petervardino, tutte celebrate nei dipinti di Huchtenburgh, visibili alla Sabauda. Come è consuetudine quando ci si inoltra nell’arcipelago del collezionismo, alcune fra le attribuzioni più altisonanti che compaiono nel catalogo settecentesco fatto compilare, probabilmente dalla nipote Vittoria in occasione della vendita, oggi sono ridimensionate, ma molte rimangono in vigore e altre sono state oggetto di rivalutazione critica. Dal momento che ogni selezione rispecchia, per scompigliata che sia, i gusti del proprietario, muovendoci nelle sale della Sabauda adibite alla esposizione della raccolta di Eugenio di Savoia, il carattere che balza più all’occhio è la preponderanza dei soggetti profani e di genere, tratti dalla vita quotidiana o dal repertorio mitologico: interni di taverne, giocatori di carte, sagre di contadini, musici all’osteria, oltre ad auliche raffigurazioni di Piramo e Tisbe, di Artemisia, di Paride. Non mancano i paesaggi e le nature morte. significativa la presenza di una copia del ritratto di Erasmo di Rotterdam di Jan Holbein il giovane e di un minuscolo «Ritratto di geografo» di Gerard Dou, soggetti niente affatto peregrini, bensì da ricondursi alla particolare impostazione ideologica del principe. Eugenio di Savoia era di idee liberali e laiche; ciò tuttavia non toglie che nella sua collezione i quadri di tema profano si mescolino con quelli sacri. Così troviamo una «Disputa di Gesù nel tempio», un’ «Adorazione dei pastori» e qualche Santo, ma non sono che una sparuta minoranza. Il principe non aveva mai preso moglie. A Vienna si era fatto costruire il palazzo del Belvedere e si trattava, specie negli ultimi anni, da gran signore. Curiosamente, a dispetto del rigore con cui ponderava ogni cosa, non fece testamento. Avrebbe lasciato volentieri la raccolta al re di Sardegna, ma fu costretto ad optare per la nipote Vittoria, che in un batter d’occhio si sbarazzò di tutto. Le trattative occupano un fitto carteggio intercorso fra il conte Canale e il marchese d’Ormea, primo ministro del re. Da un prezzo iniziale di centoquarantamila lire - cifra cospicua, ma di gran lunga inferiore a quella spesa da Eugenio all’atto dell’acquisto - si chiuse a un prezzo di poco superiore alle centomila. In una lettera del 1741 vi sono dettagli curiosi riguardo al trasporto delle opere da Vienna a Trieste, da qui a Venezia e poi a Torino "lungo il Po": un viaggio, quello sull’acqua, molto meno pericoloso e dispendioso di qualunque altro per la via di terra. Marco Bona Castellotti