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 2005  settembre 02 Venerdì calendario

Dutilleux Henri

• Nato ad Angers (Francia) il 22 gennaio 1916. Compositore. «[...] Nato nello ”storico” 1916, il piccolo Henri comincia a divorare musica e pittura ancor prima di imparare a camminare: suo padre, Constant, è un pittore di fama, amico di Delacroix e di Corot, mentre il nonno materno, Julien Koszul, direttore del Conservatorio di Roubaix, è amico di Fauré e maestro di Roussel. Un destino segnato che infatti provvede puntualmente a recapitare i suoi frutti: prima le stimmate dell’enfant prodige, poi l’ascesa verso il Conservatorio di Parigi e infine il leggendario ”Prix de Rome”, conquistato nel 1938. Ma nel pensiero del giovane Dutilleux c’è un vuoto: la musica contemporanea, che dentro i recinti dell’accademia non ha diritto di cittadinanza. E allora, durante gli anni di guerra, Henri fa tutto da solo: studia le partiture di Stravinskij e di Roussel e poi, subito dopo la liberazione, quelle di Bartok e dei ”viennesi”. Finalmente, nel 1946, a trent’anni di età, si sente pronto per uscire dal bozzolo e butta giù le prime note della sua vera ”opera prima”: la Sonata per pianoforte. La porta a termine soltanto nel 1948, ma è un capolavoro, in cui le ”figure” dello stile sono già disegnate: la scrittura armonica tende verso la modalità e la politonalità (Messiaen non è lontano), mentre appare per la prima volta il personalissimo procedimento della ”variazione metamorfica”. Nelle due ”Sinfonie” del 1950-51 e del 1955-59 l’orizzonte si fa più maturo: il suono guarda alla grandeur del sinfonismo tedesco di fine Ottocento, la costruzione formale si ispira alle amatissime ”divine proporzioni” di Bela Bartok. La pittura e la letteratura continuano però a governare sovrane: Baudelaire veglia su Tout un mon lointain (il Concerto per violoncello scritto per Rostropovich), Van Gogh su Timbre, espace, mouvement. Ma è nel capolavoro orchestrale della sua ”ars variandi”, ”Metaboles”, che Dutilleux scioglie finalmente l’essenza delle sue passioni: l’amore per il suono delle percussioni e quello per il frutto più autentico della modernità, il jazz. [...]» (Guido Barbieri, ”la Repubblica” 2/9/2005).