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 2005  agosto 28 Domenica calendario

La logica dell’umorismo. Il Sole 24 Ore 28/08/2005. La contrazione involontaria, simultanea e coordinata,di quindici muscoli facciali associata all’emissione di alcuni suoni spesso incontenibili, ci colpisce come un’attività priva di un qualsiasi valore utilitario e completamente slegata dalla lotta per la sopravvivenza

La logica dell’umorismo. Il Sole 24 Ore 28/08/2005. La contrazione involontaria, simultanea e coordinata,di quindici muscoli facciali associata all’emissione di alcuni suoni spesso incontenibili, ci colpisce come un’attività priva di un qualsiasi valore utilitario e completamente slegata dalla lotta per la sopravvivenza. Il riso è un riflesso, ma è unico nel non avere uno scopo biologico apparente. Lo si potrebbe chiamare un riflesso di lusso, la cui unica funzione sembra quella di allentare una tensione. (...) La gamma delle esperienze che scatenano il riso va dal solletico fisico ai più diversi sollazzi mentali. Eppure c’è un’unità in questa varietà, un comun denominatore, un elemento specifico e specificabile che riflette la "logica", o la "grammatica" per così dire, della comicità. Alcuni esempi serviranno a caratterizzarlo: «Un masochista è una persona che al mattino ama farsi una doccia fredda e se la fa calda». Una signora inglese all’amica che le chiede dove sarà ormai suo marito, defunto: «Il povero caro sta in eterna beatitudine, ma preferirei che lei evitasse argomenti tanto sgradevoli». Il medico rassicura il paziente: «La sua è una malattia molto grave alla quale sopravvive soltanto una persona su dieci. stato fortunato a venire da me, ne sono appena morti nove dei miei pazienti». Dialogo in un film francese: «Signore, vengo a chiedervi la mano di vostra figlia». «Perchéno? Vi siete già preso il resto». Un nobiluomo alla corte di Luigi XV torna da un viaggio senza preavviso, entra nel boudoir della moglie e la trova tra le braccia di un vescovo. Dopo un attimo di esitazione, attraversa la stanza, si affaccia alla finestra e benedice i passanti per la strada. «Che fate, Marchese?» chiede la moglie, preoccupata. «Monsignore svolge le mie funzioni», è la risposta, «quindi io svolgo le sue». Qualcosa accomuna questi cinque esempi? Partendo dall’ultimo, una piccola riflessione rivela che il comportamento del marchese è inaspettato e al contempo perfettamente logico. Segue però una logica incongrua, quella della divisione del lavoro antica quanto la civiltà umana, mentre ci si aspetta una reazione governata da altre regole: dal codice della morale sessuale. lo scontro improvviso tra diversi codici - o contesti associativi - a produrre l’effetto comico. Esso costringe l’ascoltatore a percepire la situazione su due piani, dotati entrambi di una propria coerenza interna e incompatibili tra loro, per cui la mente deve operare simultaneamente su due lunghezze d’onda. Finché dura questa condizione l’evento non è associato, come di regola, a un singolo quadro di riferimento, ma è "di-sociato". L’autore ha coniato la parola "di-sociazione" per distinguere tra le routine del pensiero disciplinato entro un unico universo di discorso - su un piano solo, per così dire - e le attività mentali creative che operano sempre su più piani contemporaneamente. Nell’umorismo, la creazione di un sottile motto di spirito così come l’atto ri-creativo che consiste nel coglierlo implicano un delizioso sussulto mentale dovuto a quel balzo improvviso da un piano - o da un contesto associativo - all’altro. Veniamo agli altri esempi. Nel dialogo tratto dal film francese, la "mano" della figlia viene percepita prima in un quadro di riferimento metaforico e all’improvviso in un contesto fisico. Il medico ragiona in termini di probabilità statistiche astratte le cui regole non sono applicabili ai casi individuali, con una svolta in più perché, al contrario di quanto suggerisce il buon senso, le probabilità di sopravvivenza del paziente non dipendono da eventi precedenti, ma restano una su dieci. In questa storiella si cela uno dei paradossi profondi della teoria delle probabilità, un’assurdità che tendiamo a trascurare. Quanto alla vedova che considera la morte come una "beatitudine eterna" e al contempo come un "argomento sgradevole", incarna un mal comune degli esseri umani, combattuti tra fede e ragione. Anche in questo caso, la battuta è semplice eppure ha risonanze consce e inconsce che soltanto l’orecchio interno riesce ad afferrare. Il masochista che punisce se stesso privandosi del proprio castigo quotidiano è governato da regole che ribaltano quelle della logica corrente (si ottiene una figura analoga invertendo entrambi i piani di riferimento: «un sadico è una persona gentile con i masochisti».) Anche qui, c’è un ulteriore guizzo: chi pronuncia la battuta non crede affatto che il masochista faccia una doccia calda per autopunizione, bensì finge di crederlo. Il paradosso è l’arma più efficace degli autori satirici: fingono di adottare il modo di ragionare dell’avversario per smascherarne l’assurdità o la crudeltà. Questi esempi hanno in comune una situazione percepita in due quadri di riferimento coerenti ma incompatibili e si potrebbe dimostrare che la formula è valida in generale per tutte le forme di comicità e di umorismo. Però ne coglie soltantolastruttura intellettuale.Orava esaminatol’altro aspetto fondamentale: la dinamica emotiva che infonde vita a quellastrutturae spingeunapersona alla risata, al riso o al sorriso complice o ammiccante. Quantounattore comico racconta una storiella, si prefigge deliberatamente di creare tra i propri ascoltatori una tensione che va crescendo con il procedere della narrazione, senza mai arrivare al culmine. La battuta finale funge da ghigliottina verbale, decapita di netto lo sviluppo logico della vicenda e frustra l’attesa del pubblico. Improvvisamente la tensione provata fin a quel momento diventa ridondante e si sgonfia in una risata. Se l’aggressione viene sostituita con l’empatia, una stessa situazione - l’ubriaco che casca lungo disteso per terra - diventa patetica invece che comica, suscita la compassione invece del riso. L’elemento aggressivo, la malignità distaccata del comico, trasforma ilpathosinmelodramma, la tragedia in parodia. La malignità può accompagnarsi all’affetto nella presa in giro amichevole; nell’umorismo più civile, l’elementoaggressivo può essere sublimato o addirittura inconsapevole. Ma nelle barzellette che piacciono ai bambini e alle popolazioni primitive, la crudeltà, l’arroganza e la vanagloria sono esplicite. In altri termini, il riso dà sfogo a eccitazioni emotive che sono diventate inutili, che vanno eliminate seguendo le vie di minor resistenza e il "riflesso di lusso" ha proprio la funzione di procurare tali vie. Basta dare un’occhiata alle caricature di artisti inglesi del Settecento come William Hogarth e Thomas Rowlandson, che mostrano la brutale ilarità dei frequentatori di taverne, per capire che essi si liberano dell’adrenalina superflua contraendo in smorfie i muscoli facciali, dandosi manate sulle cosce e sbuffando aria dalla glottide mezza occlusa. I volti arrossati rivelano che le emozioni sfogate attraverso tali valvole sono la brutalità, l’invidia, la gioia maligna per le disavventure sessuali altrui. Nelle vignette di James Thurber, il disegnatore americano del Novecento, la risata crassa lascia il posto all’ammiccamento divertito e rarefatto: il flusso dell’adrenalina è stato distillato e cristallizzato in un grano di sale attico, in un raffinato motto di spirito. L’inglese witticism - frizzo, o battuta - deriva da wit nel senso originale di intelligenza e di arguzia (Witz, in tedesco). Comicità e ingegno appartengono a campi contigui che non sono separati da un confine netto: il giullare è il fratello del saggio. Lungo l’intero spettro della comicità - dalle forme più rozze a quelle più sottili, dallo scherzo violento al puzzle intellettuale, dalla frecciata al paradosso, dall’aneddoto all’epigramma - il clima emotivo mostra una trasformazione graduale. L’emozione che si sfoga nella risata è un’aggressione privata del suo bersaglio; le barzellette che piacciono ai bambini sono per lo più scatologiche; i guai sessuali, sperimentati per interpostapersona,fanno sghignazzare adolescenti di ogni età le freddure fanno leva sul sadismo repressoelasatira sul l’indignazione benpensante. Le diverseformedella comicità suscitano una strabiliante varietàdiumori,tra cuiancheisentimentiambivalenti o contraddittori. Qualunque sia la miscela, è indispensabile un elemento di base: un impulso, anche flebile, di aggressione o di apprensione. L’impulso si esprime con la malignità, il disprezzo, la velata crudeltà della condiscendenza o semplicemente con un’assenza di simpatia per la vittima dello scherzo, con «un’anestesia momentanea del cuore» per dirla con il filosofo Henri Bergson. Nell’umorismo più sottile, a volte la tendenza aggressiva è così tenue che soltanto l’analisi più attenta riesce a identificarla, come il sale in una pietanza preparata con cura che altrimenti sarebbe insipida. Una ricerca del 1961 fra i ragazziniamericani tra gli 8 e i 15 anni, concludevachela mortificazione, il disagio, la beffa altrui suscitava prontamente il riso, mentre battute divertentiospiritose passavano spesso inosservate. Le forme e le teoriedellacomicità avanzate in passato si prestano a considerazioni analoghe. Secondo Aristotele, il riso era intimamente legato alla bruttezza e all’abiezione. Per Cicerone, il ridicolo stava nella bassezza e nella difformità. Cartesio pensava che il riso manifestasse allegria mista a sorpresa, a odio o a entrambi. Nelle cause del riso elencate da Francesco Bacone troviamo di nuovo la difformità al primo posto. Su questo tema, una delle citazioni più frequenti è tratta dal Leviatano (1651) di Thomas Hobbes: «La passione del riso null’altro è se non l’improvvisa gloria che sorge dall’improvvisa concezione di una nostra eminenza paragonata a un’infermità altrui o a una nostra precedente». Nell’Ottocento Alexander Bain, un pioniere della psicologia sperimentale, la pensava allo stesso modo: «Non soltanto negli effetti fisici, ma ogni qualvolta che un uomo riesce ad affermare una supremazia, a superare o ad avvilire un rivale, la disposizione al riso è evidente». Per Bergson, il riso è il castigo correttivo inflitto dalla società all’individuo asociale: «Nel riso troviamo sempre l’intenzione inconfessa di umiliare e quindi di correggere il nostro prossimo». Nella risata del pubblico, Max Beerbohm, l’umorista inglese del Novecento, identificava «due elementi: delizia per la sofferenza, disprezzo per le cose inconsuete». Secondo lo psicologo americano William McDougall, «il riso è evoluto nella razza umana come un antidoto dell’empatia, una reazione che protegge dalla deprimente influenza delle manchevolezze degli altri uomini». Le definizioni dei teorici sono le più varie, ma concordano su un punto: le emozioni che si sfogano nel riso contengono sempre un elemento di aggressività. Va però tenuto presente che aggressività e apprensione sono fenomeni gemelli, al punto che gli psicologi parlano di «pulsioni aggressive-difensive». A suscitare il riso quindi, è tipicamente una situazione in cui cessa all’improvviso la paura di un pericolo immaginario. Se il riso è per sua natura uno straripare di tensioni ridondanti, ne è la manifestazione più evidente il cambiamento repentino dell’espressione di un bambino che passa dall’apprensione ansiosa alla risata felice e sollevata. All’apparenza, questa situazione non c’entra con la comicità, eppure a uno sguardo attento rivela la stessa struttura logica delle barzellette: il bambino percepisce prima il cagnolino in un contesto di pericolo e poi scopre che si tratta di un cucciolo inoffensivo. La tensione diventa d’un tratto ridondante e defluisce nel riso. Immanuel Kant aveva capito che il riso è «un’affezione che deriva da un’aspettativa tesa, la quale d’un tratto si risolve nel nulla». Nell’Ottocento, Herbert Spencer cercò di riformulare la stessa idea in termini fisiologici: «Le emozioni e le sensazioni tendono a generare movimenti fisici... quando la coscienza si trasferisce senza accorgersene dalle grandi alle piccole cose», la «forza nervosa liberata» si diffonde per i canali di minor resistenza, cioè nei movimenti corporei del riso. Freud incorporò la teoria di Spencer nella propria, ponendo l’accento sulla liberazione delle emozioni represse. Tentò anche di spiegare come mai l’energia in eccesso dovesse andare spesa in tal modo: «A quanto ne so, le smorfie e le contorsioni della bocca che caratterizzano il riso compaiono per la prima volta nel poppante soddisfatto e sazio quando, assonnato, lascia andare il seno... Sono espressioni tipiche della determinazione di non alimentarsi oltre, un "basta" per così dire, o meglio "un più che basta"... Questo senso primordiale di piacevole sazietà può aver fornito il nesso tra il sogghigno - quel fenomeno fondamentale che sottende il riso - e il suo collegamento successivo con altri processi piacevoli che allentano la tensione». In altre parole, le contrazioni muscolari del sogghigno - intese come le prime espressioni di sollievo dalla tensione - sarebbero poi servite da vie di minor resistenza. Allo stesso modo, le espirazioni esplosive del riso sembrano concepite come per "sbuffare" la tensione in eccesso con una sorta di ginnastica respiratoria e i gesti esagerati avrebbero la stessa funzione. Si potrebbe obiettare che queste reazioni massicce siano spropositate rispetto ai piccoli stimoli che le provocano. Ma va tenuto presente che il riso è un fenomeno tipo quello del grilletto, un rubinetto aperto all’improvviso da cui sgorgano in gran quantità emozioni immagazzinate, provenienti dalle fonti più diverse e spesso inconsce: sadismo represso, tumescenza sessuale, paura inconfessata e persino noia. Una scolaresca che scoppia a ridere per un incidente banale dà la misura del risentimento che ha accumulato durante una lezione soporifera. Un altro fattore che amplifica la reazione fuori misura è la contagiosità sociale che accomuna il riso ad altre manifestazioni emotive dei comportamenti di gruppo. Arthur Koestler