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 2005  agosto 26 Venerdì calendario

Morte di Caravaggio. Il Messaggero 26/08/2005. Caro Signor Gervaso, mi trovavo nel mese di luglio in vacanza a Porto Ercole dove morì uno dei miei pittori preferiti, Michelangelo Merisi, meglio noto come Caravaggio

Morte di Caravaggio. Il Messaggero 26/08/2005. Caro Signor Gervaso, mi trovavo nel mese di luglio in vacanza a Porto Ercole dove morì uno dei miei pittori preferiti, Michelangelo Merisi, meglio noto come Caravaggio. Come si svolsero realmente i fatti? Lucilla Boncompagni - Recanati Tutto cominciò a Malta dove Caravaggio, dopo una furibonda lite con un nobile, finì in galera. Non ci restò a lungo e, forse con la complicità di qualcuno, evase, riparando in Sicilia. A Siracusa incontrò un vecchio amico e collega, Mario Minnuti, che lo prese sotto le proprie ali e lo raccomandò al Senato cittadino, da cui l’artista ottenne l’incarico di dipingere la Sepoltura di Santa Lucia per l’omonima chiesa. Braccato dagli emissari dell’Ordine di Malta, di lì a poco lasciò Siracusa, prima per Messina, poi per Palermo, quindi per Napoli, dove giunse il 20 ottobre 1609. Ma gli 007 del Gran Maestro lo snidarono mentre stavano gozzovigliando (cosa che gli succedeva spesso) in un’osteria. Lo pestarono a sangue e, se non lo finirono, fu perché pensarono che fosse morto. E non dovettero essere i soli se, quattro giorni dopo, a Roma, si sparse la notizia che «fosse stato ammazzato il Caravaggio, pittore celebre». Si ritrovò in ospedale, dove rimase parecchie settimane, soffrendo le pene dell’inferno. Alleviate, più che dalle cure dei medici, dalle istanze che il cardinale Ferdinando Gonzaga aveva rivolto al Pontefice affinché perdonasse l’amico, reo di omicidio. Le cose si stavano mettendo al meglio, prima o poi l’artista, ottenuta la grazia, sarebbe potuto tornare a Roma. Ma, a questo punto, Caravaggio, sempre più inquieto, sempre più vagabondo, decise di raggiungere Porto Ercole, ai confini con lo Stato pontificio. Qui avrebbe atteso l’esito, ormai scontato, dell’intervento del Gonzaga. Ma appena scese dalla feluca sulla quale aveva compiuto il viaggio dalla città partenopea, una pattuglia di sbirri papalini lo arrestò e lo rinchiuse nel locale carcere. Dopo due giorni di detenzione, fu liberato con tante scuse. L’arresto - gli dissero - era stato un errore. Caravaggio si precipitò al porto, ma la veloce imbarcazione era già salpata verso chissà quali lidi. Che fare? Nessuno sembrava disposto ad aiutarlo e Caravaggio, forse per la prima volta nella vita, si sentì perduto. Ma ecco il racconto di Giovanni Buglione, uno dei suoi biografi più faziosi e astiosi: «Postosi in furia, come disperato andava per la spiaggia sotto la sferza del solleone a vedere se poteva in mare avvisare il vascello che le sue robe portava. Ultimamente arrivato in un luogo della spiaggia, misesi in letto con febbre maligna, e senza aiuto umano fra pochi giorni morì malamente, come appunto aveva vissuto». Era il 18 luglio 1610. L’artista non aveva fatto in tempo a ricevere la notizia che il pontefice Paolo V aveva ufficialmente accolto la richiesta dell’amico. Il che gli avrebbe consentito di rivedere l’Urbe, la sua città di adozione. Uscì con lui di scena un protagonista della cronaca nera, ma anche un pittore geniale e innovatore, che aveva osato rompere con il passato, anticipando coraggiosamente il futuro. Scoprendo la "forma delle ombre", aveva inaugurato uno stile, cui l’Europa intera guarderà con stupita ammirazione. Contraddittori, spesso opposti, i giudizi di contemporanei e posteri. Se i classicisti liquidarono la sua opera come «vile e plebea», definendolo «scimmia della natura»; se il famoso critico ottocentesco John Ruskin avvertì nei suoi dipinti «l’orrore, la bruttezza e la sporcizia del peccato», nel 1603 Karen van Mander gli attribuì «cose meravigliose». Due secoli e mezzo dopo, il Burckhardt, il celebre Burckhardt, gli riconobbe «un grande talento» e, nel 1924, il Venturi lo celebrò come «precursore dei massimi geni del Seicento europeo: da Franz Hals a Rembrandt, al primitivo Velazquez». Stravagante e fuorviante mi sembra, invece, la pretesa, sostenuta, a suo tempo, da un quotidiano comunista, di fare del Caravaggio un precursore di Marx, avendo difeso il popolo e combattuto la Chiesa reazionaria, uscita dalla Controriforma. Niente avvalora un simile, bizzarro riferimento. Il Merisi fu piuttosto un anarchico e un solitario, che visse e dipinse, secondando il proprio estro, incurante di convenzioni sociali e indifferente a ogni credo religioso. Eroe più da romanzo di cappa e spada che profeta di utopie egualitarie. Purtroppo, caro amico, c’è sempre chi, soprattutto in Italia, appiccica arbitrariamente e strumentalmente a un artista etichette politiche solo per portare acqua al proprio mulino. Un gran brutto vizio, da cui non so quando guariremo. Roberto Gervaso