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 2005  agosto 30 Martedì calendario

«Poliziotti», «Ti ricostruisco la casa» Bagdad conquistata dai reality show Usa. Corriere della Sera 30/08/2005

«Poliziotti», «Ti ricostruisco la casa» Bagdad conquistata dai reality show Usa. Corriere della Sera 30/08/2005. Miracolo a Bagdad: qualcuno ha ricostruito la casa della signora Amal Ismail. Gratis. In città non si vede una gru funzionante che sia una. Eppure casa Ismail, che gli americani distrussero per errore due anni e mezzo fa uccidendo il padre di Amal mentre facevano esplodere un vicino deposito di munizioni, ora è come nuova. Chi ha messo gli operai e i 30 mila dollari necessari? Li ha messi un programma tv. Un reality. Titolo: «Materiali e lavoro» (ma potremmo chiamarlo «Come ti ricostruisco la casa»). Va in onda in prima serata su Al Sharqiya. L’autore, Majid Samarraie, è convinto: «I reality show sono l’unica cosa buona che ci è venuta dall’occupazione americana». La responsabile di Al Sharqiya a Bagdad, Ala Dahan, sul New York Times paragona il boom dei reality in Iraq al cinema neorealista italiano. «Mostrano le vere sofferenze del popolo e danno una speranza. Sogni e povertà». Casa Ismail come «Miracolo a Milano»? Il De Sica della situazione (si fa per dire), il signor Samarraie, ci tiene a sottolineare l’utilità del programma (finora hanno ricostruito sei case): «Amal dopo la distruzione della sua abitazione era costretta a vivere con due sorelle nubili e un fratello sposato con moglie e figli. Tutti in una stanza singola messa a disposizione dai vicini. Domanda: come può quel pover’uomo fare l’amore con la moglie?». Ci sono problemi più gravi in Iraq. I sequestri. I trenta civili uccisi in media ogni giorno. L’acqua potabile. Però nessuno, tanto meno gli ufficiali americani come il colonnello Petrie che fa da consulente alla serie «Poliziotti» in onda su TeleKirkuk, sottovalutano la nuova tv. «Programmi come Congratulazioni» (matrimonio pagato a una coppia di fidanzatini squattrinati), «Amore e guerra», «Stella dell’Iraq», «Nella morsa della giustizia» raccontano questo Paese forse più di quanto facciano i 153 capitoli della nuova bozza di Costituzione. Prendete «Sumeria». Cos’è? Pochi iracheni sanno che si chiamerà così, se mai si farà, la regione autonoma che gli sciiti di Abdul Aziz Hakim progettano nel sud. Tutti sanno però che quello è il nome di una tv rivale di Al Sharqiya. Programma più seguito: Stella dell’Iraq, concorso canoro per dilettanti che i marines paragonano ad «American Idol». «Saranno famosi» sulle rive del Tigri. La settimana scorsa in duemila tra ragazzi (tanti) e ragazze (poche) hanno fatto la fila infischiandosene del pericolo autobomba per iscriversi alla nuova edizione che promette di portare i più bravi alla finale di Beirut. Più che copiare i format occidentali, ha detto alla Reuters il direttore del concorso Wadia Nader, «Stella dell’Iraq» è un ritorno al passato, agli spettacoli pre-Saddam degli anni ’60. I concorrenti si cimentano in vecchie melodie d’amore e vengono bastonati dai giudici: «Vuoi che il tuo amante ferito t’insegua» canta il giovane Hossam. La giuria pignola lo boccia: pronuncia troppo nasale. Un altro si lancia nell’alata metafora dell’usignolo trafitto: «Usignolo è maschile, perché lo pronunci al femminile?». Canta che ti passa l’arrabbiatura per l’elettricità che manca 18 ore su 24. Guarda «Amore e guerra» e ridi della sindrome da checkpoint. Quest’estate il telefilm girato a Bagdad sulle avventure del gioioso Fawzi e della bella Fatin ha bissato il successo del 2004. Mentre i legislatori si arrovellano sul ruolo della legge islamica nella società, Fawzi e Fatin amoreggiano (sia pur castamente) su un Maggiolino azzurro. Sono l’immagine dell’Iraq di oggi, forse più del turbante dell’ayatollah Sistani. Certo, «Amore e guerra» non è «Happy Days» a Bagdad: succede che il Maggiolino sta sulla collinetta e il freno a mano è difettoso e gli americani che se lo vedono arrivare al checkpoint pensano sia un’autobomba e lo crivellano di colpi. Humour nero. Capita che un microfono sia preso per un lanciagranate dagli elicotteri americani di pattuglia. Attimi di panico, soldati con mitra spianati, il regista che riprende tutto e lo inserisce nell’episodio. Tv verità. Con qualche vantaggio visto che si gira in zona di guerra: «In altri Paesi procurarsi un carro armato o un elicottero per le riprese costerebbe un sacco di soldi – ha detto il regista Jamal Jassim ”. Noi li abbiamo gratis. Tutta la serie ci è costata 150 mila dollari». Il dibattito sì: agli iracheni piace intervenire in diretta. Un sogno, rispetto alla tv di Saddam Hussein. Prendete «Lo show dei poliziotti», punto di forza della rete pubblica locale TeleKirkuk. E’ simile all’americano «Cops». Agenti della polizia in azione, cattivi in manette. L’intento è avvicinare le forze dell’ordine alla popolazione (ogni puntata si apre con l’appello alla soffiata: «non abbiate paura, le segnalazioni sono anonime»). Ma è il microfono aperto agli spettatori, che possono intervenire al telefono, la novità più apprezzata dal pubblico. Trenta chiamate a sera. A suo modo, un esercizio di democrazia. Poliglotta. Chiamano sunniti, curdi, turcomanni, assiri. Elogi e denunce. Kirkuk è la città del nord che i vari gruppi etnici – nelle stanze del potere a Bagdad – furiosamente si contendono per il petrolio. «All’inizio anche in studio c’era un gran casino», ha ammesso il curatore del programma Hassan Mohammed all’agenzia Ap. «Adesso chi interviene ha capito le regole. Non ci si sbrana più a vicenda». E se i padri fondatori della Costituzione si facessero uno stage a TeleKirkuk? Michele Farina