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 2005  agosto 25 Giovedì calendario

Gli Oppenheimer. Il Sole 24 Ore 25/08/2005. Tra i grandi perdenti della storia bisogna annoverare due sconosciuti fratelli, agricoltori di origine olandese come tanti emigrati dall’Europa verso il Sudafrica

Gli Oppenheimer. Il Sole 24 Ore 25/08/2005. Tra i grandi perdenti della storia bisogna annoverare due sconosciuti fratelli, agricoltori di origine olandese come tanti emigrati dall’Europa verso il Sudafrica. Nel 1871 Johannes e Diederik De Beer decisero di vendere la loro fattoria a Kimberley, un luogo sperduto nell’immensità della pianura sudafricana, ignari che nel sottosuolo ci fosse la miniera di diamanti più ricca del mondo. In pochi anni Kimberley diventò una cittadina affollata e polverosa, meta della grande "corsa ai diamanti". Il terreno sul quale i De Beer avevano la loro fattoria fu scavato da 60mila mani avide, diventando il "grande buco", un profondo cratere di 1.200 metri di diametro visibile anche dalla Luna. Nel 1888 fu creata la società De Beers, che tuttora porta il nome dei due sprovveduti fratelli dei quali si erano ormai perse le tracce. A Kimberley sbarcò nel 1902 un giovane ebreo tedesco di 22 anni, Ernest Oppenheimer, inviato dalla sua ditta come acquirente di diamanti. Ernest, con pochi soldi in tasca ma una grande ambizione, si trovò a suo agio nel frenetico clima di Kimberley, dove tutti, scavatori e intermediari, avventurieri e compratori, avevano un obiettivo: diventare ricchi in fretta. Ernest Oppenheimer ci riuscì. Nel 1917 fondò la società mineraria AngloAmerican e nel 1929 riuscì ad acquisire il controllo di De Beers. La sua intuizione, che i diamanti hanno un valore del tutto artificiale, lo portò a creare un accordo tra produttori e mercanti per controllare il mercato e mantenere alti i prezzi. La sua determinazione portò De Beers a diventare la forza dominante del settore, arrivando a controllare il 90% della produzione di diamanti. Nel 1906 Ernest aveva sposato una ragazza di Londra, Mary Lina Pollock, e si era impegnato nel diventare la persona più in vista di Kimberley, riuscendo a farsi eleggere sindaco nel 1912 e poi deputato rappresentante della città in Parlamento. A Oppenheimer però interessava solo fare affari e influenzare la politica economica e finanziaria del Sudafrica e non prese mai posizione nel sempre più infuocato dibattito sulla "supremazia bianca". Ernest si convertì poi al cristianesimo. Uno dei suoi detti preferiti era: «Il nepotismo illuminato è una gran cosa, ma il nepotismo non illuminato è la cosa peggiore». Fino al 1957, anno in cui è morto, Ernest rimase al comando dell’impero che aveva creato. La morte dell’ingombrante padre trasformò la vita del figlio Harry. Nato nel 1908, fino ad allora aveva scelto la politica e per dieci anni era stato deputato dell’United Party di ispirazione liberale, il partito di opposizione al Partito Nazionale al potere. Harry dimostrò presto di avere fiuto per gli affari e un talento per il marketing. Fu sua l’idea di adottare lo slogan «un diamante è per sempre» e fu sua la strategia, allora nuova, di fare del diamante un oggetto del desiderio e un simbolo dell’amore eterno. Harry trovò l’amore non solo nelle campagne pubblicitarie: sposò Bridget McCall nel 1943 e solo la morte, 57 anni dopo, lo costrinse a separarsi da lei. Fortunato in amore, lo fu anche negli affari: nel 1967 De Beers scoprì la miniera di Orapa, in Botswana, e cinque anni più tardi quella di Jwaneng, dalle quali tuttora deriva la maggior parte della produzione di diamanti grezzi. Fu un salto di qualità e di quantità per il gruppo, che da allora controlla, in joint venture con il governo, l’intera produzione del Botswana, il Paese più ricco di gemme del mondo e una delle poche democrazie stabili dell’Africa. Per aggirare le sanzioni internazionali contro il regime di apartheid Harry creò una rete di holding. L’impero industriale controllato dalla famiglia arrivò a comprendere 1.300 società in settori dall’acciaio alla carta, dallo zucchero alla birra, dalla finanza all’immobiliare. La passione di Oppenheimer, però, restavano i diamanti. Quando nel 1981 la recessione colpì anche il mercato delle gemme, dimezzando le vendite di De Beers, Harry reagì con decisione, investendo in campagne pubblicitarie, mirate al mercato asiatico, e riuscì a rilanciare le vendite. Nonostante il successo negli affari Harry si trovò sempre a navigare in acque agitate e continuò a essere uno "straniero in patria", guardato con sospetto dalla ultraconservatrice società sudafricana. Harry si schierò spesso contro il regime ed era visto dal governo come un liberale dalle pericolose idee progressiste. All’estero, però, Harry era criticato come il rappresentante del capitalismo sudafricano "bianco" che macinava profitti sfruttando la manodopera a basso costo di centinaia di migliaia di neri costretti a vivere e a lavorare in condizioni terribili. Lui sosteneva che solo l’industrializzazione e la crescita economica avrebbero potuto far crollare il regime dall’interno e mettere fine alla "follia" della segregazione razziale. Dopo la fine dell’apartheid, nel 1994, Harry cominciò a demolire l’intricato castello di carte che aveva costruito, smantellando le holding, liquidando asset e semplificando la struttura del gruppo. Verso la fine della sua vita il gioco degli equilibri sembrò tornare a suo favore: fu a casa di Harry e Bridget che Nelson Mandela si recò per una delle sue prime cene da uomo libero dopo 27 anni di prigione. Alla morte di Harry nel 2000 Thabo Mbeki, il successore di Mandela alla presidenza del Sudafrica democratico e multirazziale, fu tra i primi a esprimere il suo apprezzamento per il "grande vecchio" del capitalismo sudafricano. Anche Harry, come Ernest prima di lui, aveva evitato di lasciare le redini dell’impero al figlio Nicky prima del tempo. Gioviale e affabile, Nicky sembrava troppo mite per gestire De Beers dopo un padre e un nonno così temibili. Lui l’ha sempre buttata sul ridere, dicendo: «Mi sono meritato il mio posto di lavoro perché ho scelto con grande cura i miei genitori». Diventato presidente di De Beers, però, Nicky ha dimostrato subito di avere le idee chiare e la determinazione per metterle in pratica. Pochi mesi dopo la morte del padre, l’annuncio-shock: De Beers, in listino dal 1893, avrebbe lasciato la Borsa per diventare una società privata controllata dalla famiglia Oppenheimer. Nel maggio 2001 l’assemblea degli azionisti De Beers ha approvato l’operazione da 19,7 miliardi di dollari che ha ceduto alla famiglia il 45% e il controllo manageriale del gruppo, mentre AngloAmerican detiene il 45% e la joint venture tra il governo del Botswana e la stessa De Beers il restante 10 per cento. Di fatto, Nicky ha ceduto gran parte della sua quota di Anglo per conquistare De Beers, la dimostrazione che i diamanti erano e restano la passione di famiglia. «L’influenza della famiglia stava declinando - ha spiegato -. Ora siamo tornati dove è giusto che siamo». Oberato di debiti, diceva di «non dormire la notte» per la preoccupazione: ma aveva fatto la scelta giusta. De Beers macina profitti e Nicky è riuscito a ripagare le banche creditrici in tempi record. Nello stesso anno, Nicky fa un altro grande passo: decide che il marchio De Beers, dopo decenni come produttore e distributore di diamanti grezzi, deve essere valorizzato meglio. Lancia una joint venture con Louis Vuitton Moet Hennessy, il "re del lusso", per creare e vendere gioielli con diamanti con il nome De Beers. La nuova iniziativa, lanciata usando come "musa" la bellissima modella somala Iman, oggi ha negozi a Londra, Tokyo e New York. Nicky si impegna anche su altri fronti, sostenendo il cosiddetto "processo di Kimberley", la campagna per garantire l’origine delle gemme ed eliminare i «diamanti sporchi di sangue», che in Paesi africani come Angola e Sierra Leone hanno finanziato guerre civili, massacri e abusi dei diritti umani. De Beers continua a essere il maggiore produttore mondiale di diamanti, ma la sua quota di mercato è del 50% e non più del 90% come ai tempi di Ernest o del 70% come sotto la gestione di Harry. Soprattutto, De Beers è diventata più trasparente, ha cessato di essere un oscuro cartello e con una drastica "revisione strategica" si è scrollata di dosso la sgradita immagine di monopolista. Al contrario del padre e del nonno, Nicky non ha aspettato di morire prima di dare una chance all’unico figlio Jonathan. Nel 2004 il giovane, dopo la tradizionale "gavetta" nelle miniere di famiglia, è diventato direttore responsabile di De Beers Consolidated Mines, la parte sudafricana del gruppo. Non è un incarico facile: il governo di maggioranza nero fa pressing sulle società "bianche" perché accelerino la trasformazione interna e riflettano la società multirazziale del "nuovo" Sudafrica. Uno dei compiti più delicati di Jonathan, da completare entro quest’anno, è trovare un partner adatto al quale cedere una parte del gruppo per adempiere alla normativa sudafricana che impone alle società minerarie locali di vendere il 26% a persone di colore. Mentre quest’anno il gruppo De Beers aumenta vendite e prezzi, sfruttando il boom del mercato dei diamanti a livello globale, Jonathan si trova a gestire la crisi delle "vecchie" miniere sudafricane, ricche di storia ma non più redditizie. Poche settimane fa, annuncia la probabile chiusura entro l’anno delle miniere di Kimberley, da tempo in passivo. la fine di un’era: proprio da Kimberley era partito il patriarca Ernest per creare l’impero finanziario degli Oppenheimer. Non è però la fine della famiglia: corre voce che gli Oppenheimer vogliano rilevare anche la quota di AngloAmerican e diventare padroni assoluti di De Beers. Intanto Jonathan continua la tradizione: dopo avere studiato al college di Christ Church a Oxford come il padre e il nonno, si è sposato giovane come loro e continua a vivere a Brenthurst, la tenuta di famiglia nel cuore di Johannesburg. La moglie americana Jennifer fa beneficenza con discrezione, come le altre consorti della famiglia Oppenheimer prima di lei, e alleva i tre figli. Non ci sono dubbi che almeno il primo, Samuel, secondo la tradizione, seguirà le orme del padre, del nonno e del bisnonno e lavorerà per De Beers. Per continuare la scintillante ma discreta tradizione di quella che viene definita "la famiglia reale sudafricana". Nicol Degli Innocenti