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 2005  agosto 22 Lunedì calendario

L’arte riunita dopo la fine del Muro. Il Sole 24 Ore 22/08/2005. In una fresca mattina del 1998 è cominciata la storia della nuova Gemäldegalerie di Berlino

L’arte riunita dopo la fine del Muro. Il Sole 24 Ore 22/08/2005. In una fresca mattina del 1998 è cominciata la storia della nuova Gemäldegalerie di Berlino. Il palazzo imponente e un po’ gelido, appositamente innalzato dagli architetti Heinz Hilmer e Christoph Sattler nel cuore del Kunstforum berlinese, è il luogo in cui si viene ora ad ammirare una delle più ricche e importanti raccolte di pittura antica del mondo, riunita sotto un unico tetto dopo una separazione in due nuclei - tra Bode-Museum a Berlino Est e Museo di Dahlem a Berlino Ovest - durata cinquant’anni e imposta dagli eventi storici del dopoguerra. Era infatti accaduto che, senza andar troppo per il sottile, le opere d’arte recuperate dai russi erano rimaste a Berlino Est e risistemate nel Bode Museum, quelle ritrovate dagli americani andarono a formare il nucleo della pinacoteca di Berlino Ovest nel sobborgo di Dahlem. Con la nuova Gemäldegalerie la separazione è finita. Una cinquantina di sale al primo piano con quasi 900 opere esposte, più una lunga e accessibile "Studien-galerie" situata al pian terreno con oltre 400 dipinti sistemati "a quadreria", sono quanto oggi la raccolta riunificata può offrire al visitatore. Un itinerario che si snoda per circa due chilometri ed è segnato da continui sobbalzi emotivi, visto che in quasi ogni sala ci si imbatte in opere cardine della cultura figurativa occidentale da Giotto a Caravaggio, da Van Eyck a Memling, da Durer a Rembrandt, da Velàzquez a Vermeer. Eppure, nonostante l’imponenza dell’edifico e il numero e la vastità delle stanze, la nuova Gemäldegalerie è sorta con un grosso difetto: è nata troppo piccola. Qualcosa come 1.600 opere non hanno trovato posto nelle sale. Ma come è potuto avvenire un errore del genere in un paese di precisione teutonica? Tutta colpa dei capricci della storia. Il progetto di un museo d’arte antica al Kunstforum di Berlino Ovest, al quale destinare le opere allora depositate a Dahlem, era già stato avanzato tra gli anni 60 e 70 ed era diventato operativo nel 1986 con l’affidamento dell’incarico agli architetti Hilmer e Sattler. Calcolando le metrature del nuovo museo, nessuno aveva calcolato l’evento epocale: la caduta del Muro nel 1989. I piani cambiarono radicalmente. I musei vennero riunificati e fu così che nel palazzo progettato nel 1986 per il solo nucleo di Dahlem, si fecero entrare quasi a forza due musei in uno. La cosa paradossale è che la nuova Gemäldegalerie è dotata di un atrio-pensatorio di dimensioni colossali, arredato solo una fontana dell’artista Walter De Maria. Ma ci sono dei pregi. Ad esempio di non avere finestre alle pareti, per cui la luce piove naturale dall’alto, filtrata da immensi lucernari che permettono la visione ottimale delle opere anche nelle giornate senza sole. Oltrepassate le biglietterie, il pubblico entra in un atrio con cupola che ricorda le architetture torinesi di Guarino Guarini. Ci sono due percorsi possibili: puntando a destra, si infilano le sale che ospitano la pittura tedesca, fiamminga, olandese, inglese e francese dal Medioevo al Settecento. Puntando a sinistra si vengono ad ammirare i capolavori della pittura italiana, spagnola e, in parte, ancora francese. I diversi colori delle tappezzerie seriche apposte alle pareti (grigio,verde, azzurro e rosa) aiutano a definire l’ambito geografico in cui il visitatore si trova, mentre poco affidamento è possibile fare sulla segnaletica dei cartellini, troppo succinta e scritta solo in tedesco. Pazienza. Ovunque si volga lo sguardo, l’occhio si posa su un capolavoro. Ecco la "Dormitio Virginis" di Giotto, ecco la predella del Carmine di Masaccio, il San Gerolamo di Piero della Francesca, le tre tavole di Mantegna, la Madonna Solly e Terranuova del giovane Raffaello, la Venere con l’organista di Tiziano, l’Amore Vittorioso di Caravaggio, i teleri di Tiepolo e le vedute di Canaletto. E nella sezione fiamminga e olandese ci si destreggia tra opere di Van Eyck, Petrus Christus, Van der Weyden, van der Goes, Brueghel, Rubens, Vermeer e Rembrandt (di quest’ultimo c’e’anche l’Uomo con elmo d’oro, un tempo simbolo dei musei berlinesi e oggi declassato a opera di scuola). E poi ancora Durer, Velazquez, Murillo, De la Tour e Chardin. Sulla volta dello scalone che porta ai depositi, si notano le tele che componevano un tempo il soffitto dipinto da Sebastiano Ricci gia’a Palazzo Mocenigo di Venezia. L’Italia ha rivendicato la restituzione di questi dipinti. Queste tele però vennero regolarmente vendute nel 1941 dal proprietario Andrea di Robilant ad Adolf Hitler. Il dittatore le pagò oltre un milione di lire i dipinti e li destinò all’erigendo museo di Linz. vero che Bottai inizialmente si disse contrario all’esportazione, ma poi, su pressione di Mussolini, concesse l’espatrio. I giudici hanno dato ragione alla Germania. In Italia non torneranno più. Pazienza, una scusa in più per andare a Berlino. Marco Carminati