Corriere della Sera 28/08/2005, pag.25 Sergio Romano, 28 agosto 2005
Il «conflitto d’ interessi» del senatore Albertini. Corriere della Sera 28/08/2005. Mi sono chiesto più volte: se Luigi Albertini fosse vissuto oggi sarebbe stato accusato di conflitto di interessi? Azionista di minoranza del Corriere (con il fratello venticinque carature su sessanta), gerente della società Corriere della Sera, amministratore e direttore del giornale
Il «conflitto d’ interessi» del senatore Albertini. Corriere della Sera 28/08/2005. Mi sono chiesto più volte: se Luigi Albertini fosse vissuto oggi sarebbe stato accusato di conflitto di interessi? Azionista di minoranza del Corriere (con il fratello venticinque carature su sessanta), gerente della società Corriere della Sera, amministratore e direttore del giornale. E poi, dal 1915 senatore del Regno (nomina regia, d’accordo) e da quel momento lascia il giornale al fratello (ma anche Mussolini poi fece lo stesso!). Ma soprattutto celebre per le sue battaglie politiche che contribuirono a far sentire una voce, a mio avviso, veramente liberale; e anche a far sì che il Corriere, grazie a collaboratori eccezionali e a un’ottima amministrazione, divenisse il quotidiano degli italiani, tale restando, mi pare, fino a oggi. Insomma una bella eredità. Giuseppe Grimaldi grimliondr@libero.it Caro Grimaldi, se Luigi Albertini, ai suoi tempi, fosse stato accusato di conflitto d’interessi, avrebbe potuto chiamare accanto a sé, sul banco degli imputati, i protagonisti del giornalismo occidentale fra Ottocento e Novecento. Come Albertini, i maggiori editori furono quasi sempre direttori dei loro giornali, promotori di grandi campagne pubbliche e, occasionalmente, uomini politici. Penso a Joseph Pulitzer, un ungherese emigrato negli Stati Uniti che fece del World un grande giornale mondiale; a William Randolph Hearst (il Citizen Kane di Orson Welles) che trasformò un piccolo giornale di New York, il Morning Journal, in un grande quotidiano popolare con un milione e mezzo di copie; a Lord Northcliffe che comprò il London Evening News, fondò il Daily Mail eil Daily Mirror, acquistò il Times in una delle fasi più critiche della sua storia; ad Alfredo Frassati che acquistò La Stampa nel 1900 e la trasformò in un grande quotidiano nazionale; a Lord Rothermere, fratello di Lord Northcliffe, che portò la tiratura del Mail a due milioni di copie e acquistò la Associated Newpapers Ltd.; a Lord Beaverbrook, proprietario del Daily Express e dell’Evening Standard. Benché molto diversi, questi editori-direttori ebbero caratteri comuni: erano appassionatamente interessati alle vicende nazionali e internazionali, e decisi a pesare con l’influenza dei loro giornali sul corso degli avvenimenti. Pulitzer e Hearst vollero la guerra degli Stati Uniti contro la Spagna nel 1898. Hearst fu contrario all’ingresso dell’America nella Grande guerra e manifestò simpatia per i dittatori nel periodo fra le due guerre. Northcliffe scese in campo per la sconfitta del Reich tedesco e la disintegrazione dell’Impero austro-ungarico. Albertini fu favorevole alla guerra italo-turca del 1911 e fece campagna per l’intervento nel 1915 appoggiando Salandra contro Giolitti. Frassati fu favorevole alla guerra del 1911, ma amico di Giolitti e inizialmente contrario a quella del 1915. Rothermere fu filotedesco fra le due guerre e commentò con favore l’avvento del nazismo in Germania. Quasi tutti furono attratti dalla politica o dalla diplomazia. Hearst cercò di conquistare il posto di governatore dello Stato di New York. Northcliffe fu capo della missione militare britannica a Washington nel 1917 e direttore della propaganda nei Paesi nemici durante l’ultima fase della guerra. Rothermere fu ministro dell’Aviazione nel governo britannico fra il 1917 e il 1918. Frassati fu senatore e ambasciatore a Berlino dal 1920 al 1922. Albertini fu rappresentante del governo italiano alla conferenza navale di Washington. Beaverbrook fu ministro dell’Informazione nel 1918, della Produzione aeronautica nel 1940-41 e dei Rifornimenti nel 1941-42. Nessuno di essi fu considerato inadatto, per conflitto d’interessi, agli incarichi pubblici che ricoprì nel corso della sua vita. Ma questo non significa, caro Grimaldi, che la regola dell’incompatibilità sia oggi superflua. Le persone di cui ho parlato vissero in tempi alquanto diversi dai nostri. Le democrazie liberali erano ancora elitarie e il continuo passaggio della classe dirigente dagli affari personali a quelli dello Stato era considerato allora una vantaggio per la nazione. Nelle democrazie di massa, dopo le esperienze degli ultimi decenni, una buona legge sul conflitto d’interessi è ormai necessaria. E occorrerebbe applicarla con rigore. Sergio Romano