La Stampa 25/08/2005, pag.9 Francesco Sisci, 25 agosto 2005
Cina Boom. La Stampa 25/08/2005.Pechino. Nei primi anni ’80, quando cominciò a essere applicata nelle campagne, alcune famiglie contadine uccidevano le bambine in secchi di acqua gelata: se dovevano avere un solo figlio, questo doveva essere maschio, il maschio si occupava dei genitori anziani, secondo la tradizione
Cina Boom. La Stampa 25/08/2005.Pechino. Nei primi anni ’80, quando cominciò a essere applicata nelle campagne, alcune famiglie contadine uccidevano le bambine in secchi di acqua gelata: se dovevano avere un solo figlio, questo doveva essere maschio, il maschio si occupava dei genitori anziani, secondo la tradizione. Per 25 anni politica della pianificazione familiare, che imponeva il figlio unico in Cina, è stata una delle politiche più dure, forse più innaturali, e più spietate mai applicate sulla vita familiare di una popolazione. Oggi tutto questo sta crollando. Ora, dopo una generazione, dopo avere profondamente trasformato la cultura familiare cinese, dopo aver creato milioni di ragazzini frustrati perché figli unici, tartassati e viziati da quattro nonni, si sta cambiando rotta. Ieri uno dei più popolari siti di notizie cinesi, News.163.com raccontava in termini positivi come ormai il secondo figlio sia diventato un privilegio delle famiglie benestanti. Queste mandano la moglie all’estero per avere un secondo figlio fuori dalle restrizioni statali. La cosa succede da tempo, ma è la prima volta che se ne dà un rendiconto positivo su un giornale, segno che la legge sta presto per cambiare. In realtà la legge stessa è ormai piena di buchi e se pure rimane ancora lontano il momento in cui lo stato liberalizzerà la politica delle nascite, si è già girata la curva sul figlio unico. Fino a qualche anno fa anche i bambini di genitori cinesi nati all’estero erano comunque sottoposti al controllo della pianificazione familiari. In effetti, loro ricadevano tra le pieghe della legge, perché la pianificazione si applicava in Cina, non fuori, ma le autorità sceglievano di controllare. Oggi non più. Chi manda adesso la madre incinta in Malaysia per partorire ha soldi e quindi può tirare su due bambini, allora se non è un peso per l’economia dello stato, la famiglia è libera di avere un secondo bambino. Questo è il caso più eclatante di un rilassamento generale che si è avuto nell’ultimo paio di anni. Il primo passo è stato all’inizio degli anni 2000 quello di concedere il secondo figlio in campagna quando il primo bambino era una femmina. Questo doveva limitare la pratica degli aborti a gestazione avanzata, che avvenivano quando la coppia scopriva con gli esami clinici che il feto era di una femminuccia. In precedenza solo quelli registrati come minoranza nazionale, come i tibetani o i mongoli, potevano avere un secondo figlio. Negli ultimi due anni le minoranze hanno ottenuto di avere tre figli e se ne hanno due o uno, possono cedere il loro privilegio ad altri meno fortunati. Oggi inoltre quelli che sono figli unici possono a loro volta avere due bambini. La battaglia del figlio unico è stata comunque molto dura. Quando venne applicata nel 1980 impose ai trasgressori multe elevatissime. Anche i funzionari delle località dove nascevano più figli del numero programmato erano puniti. Già nella seconda metà degli anni ’80 però le cose erano cambiate. I contadini che si erano arricchiti pagavano le multe imposte o corrompevano (costava di meno) gli incaricati dei controlli, oppure ancora iscrivevano il figlio fuori programma a parenti sterili. Lo stato rispose imponendo misure draconiane: non si potevano avere figli prima dei 25 anni, in caso di secondo figlio si doveva abortire oppure procedere alla sterilizzazione forzata. Ma tali misure furono veramente efficaci solo nelle città. Negli anni ’90 Nanchino per esempio fu tra le più dure, con molti casi di aborti anche al settimo e ottavo mese. In città gli ufficiali sanitari riuscivano a obbligare le coppie ad abortire al secondo figlio perché i giovani impiegati non avevano solo la minaccia della multa ma anche quella di vedersi stroncare la carriera. Dalla seconda metà degli anni ’90 in molte famiglie cominciarono a cooperare più volentieri con il governo. Dal 1996 e ’97 l’istruzione in città cominciò a essere a pagamento, e costare molto cara dappertutto. Per mantenere un figlio a scuola ci voleva lo stipendio dei genitori e la pensione dei nonni, un secondo figlio mandava in fallimento la famiglia. Inoltre il peso del lavoro cominciava a crescere, era finito il tempo in cui si andava in ufficio per leggere il giornale e chiacchierare, bisognava faticare e produrre. Tornati a casa allora era già complicato occuparsi di un bambino solo, figuriamoci di due. Però proprio quando i genitori cominciavano a non volere più figli lo stato iniziava a pensarla diversamente. Alla fine degli anni ’90 uscirono i primi studi sull’invecchiamento della popolazione: si vedeva che se la politica del figlio unico fosse andata avanti, si sarebbe arrivati intorno al 2030 con un Paese ancora non sviluppato ma già senza abbastanza giovani al lavoro. Il governo prese a fare marcia indietro negli anni seguenti. Ma come tutte le cose cinesi si procedeva con prudenza. Cambiare il figlio unico significa mutare le strategie e gli obiettivi di lungo termine. Prima si pensava di arrivare a stabilizzare la popolazione (quando la popolazione smette di crescere) sui 1,6 miliardi di persone intorno al 2060. Il rilassamento della pianificazione familiare potrebbe oggi invece portare a stabilizzare la popolazione intorno ai 1,7 o 1,8 miliardi. Sono numeri enormi che impongono naturalmente un onere pesantissimo su ogni tipo di risorse del pianeta, specie se questi cinesi avranno la giusta ambizione di avere una vita agiata come in Occidente. Ma forse per allora il problema non sarà più la Cina, perché per il 2050 L’India dovrebbe superare la Cina come Paese più popoloso del pianeta. Francesco Sisci