27 agosto 2005
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Glotz Peter
• Nato a Eger (Germania) il 6 marzo 1939, morto a Zurigo (Svizzera) il 25 agosto 2005. Politico. «[...] uno degli intellettuali di punta del Partito Socialdemocratico, segretario ai tempi di Willy Brandt. [...] Autore di oltre una trentina di libri, brillante e di tendenze riformiste, dopo essersi ritirato dalla politica attiva Glotz viveva tra la Germania e la Svizzera, dove teneva corsi come docente. Ma non aveva mai perso i contatti con il dibattito politico e culturale del suo Paese ed era una firma e un volto noto nei media tedeschi» (’la Repubblica” 27/8/2005). «[...] dirigente politico e ”testa pesante” della Spd negli anni ’80 [...] è stato uno dei primi a diagnosticare la crisi del ”classico” modello socialdemocratico, basato sull’ipotesi di una continua crescita ”quantitativa” dell’economia, stimolata con gli strumenti keynesiani del sostegno pubblico alla domanda in sistemi nazionali chiusi. E ha preparato il terreno all’alleanza politica con i verdi. Dal 1996 aveva abbondanato la politica attiva. Ma tra il febbraio e il novembre 2002 aveva rappresentato la Repubblica federale tedesca nella Convenzione convocata per redigere il progetto di costituzione europea. Nel 1980, su proposta di Willy Brandt, allora presidente della Spd, divenne segretario organizzativo del partito, in cui era entrato nel 1961, e ne guidò il rinnovamento programmatico. Lasciò l’incarico nel 1987, quando Brandt lasciò la presidenza perché non gli era riuscito - contro le resistenze dell’apparato - di fare accettare Margarita Mathiopoulos - una politologa senza ”storia” socialdemocratica - come portavoce del partito. ”Sono un uomo di Brandt, e lo restero”, disse allora. Rimase deputato (fino al 1996), nel 1993-1994 collaborò alla campagna elettorale di Rudolf Scharping sui temi della cultura, della scuola e della ricerca. Nato nel 1939 in Boemia, aveva studiato a Monaco giornalismo, filosofia germanistica e sociologia. Nell’ultima fase della sua vita ha lavorato all’istituto per i media e la comunicazione dell’università di St. Gallen, in Svizzera. Continuando a scrivere moltissimo come pubblicista per diverse riviste e giornali. Di Glotz si ricorderà il Manifesto per una nuova sinistra europea, pubblicato nel 1985, tradotto l’anno seguente in Italia con una prefazione di Achille Occhetto. Erano anni in cui si apriva il dialogo tra la Spd e la sinistra (ancora comunista, ma già in via di transizione al ”postcomunismo”) italiana, e Glotz ebbe certamente un ruolo importante nel rompere il ghiaccio. ”Dobbiamo prendere atto della radicale perdita di potere da parte dei singoli stati nel governo dei processi economici”, questa la tesi centrale del libro, che anticipava quel che sarebbe divenuto chiaro a tutti con la «globalizzazione». Solo lavorando insieme su scala europea, scriveva Glotz, la sinistra del vecchio continente avrebbe potuto smarcarsi dalla morsa dei blocchi (allora erano due), e governare una modernizzazione tecnologica che avvrebbe distrutto più posti di lavoro di quanti ne avrebbe creati. Quel manifesto proponeva come soluzione un’’Europa sociale”, visto che in nessun paese singolarmente preso lo stato sociale avrebbe potuto reggere. noto come andò a finire. L’Europa sociale restò progetto e chimera, al suo posto ha preso piede l’Europa neoliberista in un regime di ”capitalismo reale”. Glotz negli ultimi anni non sembrava più credere alla possibilità di arrestare e invertire questa tendenza. L’accento cadeva piuttosto, con disincantato pessimismo, sulla inevitabilità del processo di deregulation. Aveva finito per lavorare per la ”Iniziativa per la nuova economia sociale di mercato”, un pensatoio finanziato dalla federazione degli industriali metalmeccanici, che non si stanca di predicare la necessità di flessibilizzare il lavoro e di ”snellire” lo stato sociale. Ciò nonostante Peter Glotz non era diventato un apologeta del neoliberismo. Le sue analisi, sempre brillanti e intelligenti, avevano piuttosto un sottotono apocalittico: prefigurazione di un futuro tendenzialmente tragico, in cui converrà rassegnarsi a stringere la cinta e a convivere con la paura di perdere il posto di lavoro. Glotz, che negli anni ’80 fu il primo a parlare di società dei due terzi, che escludeva e emarginava strutturalmente il terzo meno qualificato dal mercato del lavoro, ormai paventava una deindustrializzazione brutale che avrebbe colpito anche tecnici e ingegneri. Negli ultimi anni Glotz si era andato sempre più interessando alle sue origini. Da bambino condivise la sorte dei milioni di tedeschi che dovettero abbandonare, tra brutalità e violenze, i territori persi a est dalla Germania. Tra questi la sua Boemia. D’accordo con l’associazione degli ”espulsi” (i Vertriebene) si batteva per erigere a Berlino un ”centro di documentazione” dedicato alla tragedia di quell’esodo biblico. [...] Peter Glotz era spesso scomodo, talvolta irritante e ”saputo”. Ma era pur sempre un interlocutore con cui valeva la pena di discutere e litigare» (Guido Ambrosino, ”il manifesto” 27/8/2005).