26 agosto 2005
Certe notti la sua macchina è l’unica parcheggiata lungo il viale. Lui lascia la radio accesa e il finestrino leggermente aperto
Certe notti la sua macchina è l’unica parcheggiata lungo il viale. Lui lascia la radio accesa e il finestrino leggermente aperto. Il sedile reclinato e dietro la testa un grande cuscino. Dorme così da vent’anni davanti ad un grande ospedale romano. Nello stesso posto. La sveglia sul cruscotto e una bottiglia d’acqua sulla poltrona accanto a quella del guidatore. D’inverno, quando fa freddo, lascia il motore al minimo e il riscaldamento acceso. Gli infermieri lo salutano, gli addetti alla vigilanza gli vogliono bene, gli operatori dell’Ama lo trattano come un amico. Lui è sempre lì, non si allontana dal suo ospedale. Non può. Soffre di una strana fobia ormai certificata dai medici. più forte di lui: ogni volta che prova ad allontanarsi dal Pronto soccorso è preso da una crisi di panico e deve tornare indietro. «Per curarmi il mio psichiatra mi faceva salire in macchina con lui, percorrevamo anche qualche chilometro ma poi io mi sentivo male e lui era costretto a fare dietrofront». Il destino gli è saltato addosso all’improvviso: «La crisi si manifestò lui riprende il suo racconto senza nessun preavviso. Avevo poco più di quarant’anni, lavoravo, facevo il tassista. Avevo lasciato con le mie tre sorelle il paesino abruzzese in cui sono nato. Mi sentii male, fui piegato in due dal dolore e ricoverato in ospedale. In un certo senso non sono mai stato dimesso. Da quel giorno non ho più trovato pace, dormo fuori, se mi allontano dall’ ospedale mi sento male». Il signor Emilio (il vero nome è un altro) di anni oggi ne ha 67. La sua è una storia di ordinaria follia, ma al contrario di quelle che Charles Bukowski faceva vivere nei suoi racconti a personaggi spietati, cinici e violenti. Emilio infatti è una persona assolutamente mite, assetata di affetto. Una vita scivolata via in trasparenza, regolata da orari che si è imposto da solo. Alle 6,30 suona la sveglia e lui sposta la macchina sull’altro lato della carreggiata. Poi va a lavarsi in ospedale, fa colazione, va a fare la spesa nel negozio interno alla struttura ospedaliera, usa il bagagliaio dell’auto come armadio per le provviste. Emilio sa di sapone di Marsiglia. Non ha assolutamente nulla del barbone. Le sue sorelle, tutte più grandi di lui, fanno a turno a lavargli la biancheria che gli fanno avere tramite un nipote. Il contachilometri della sua vecchia auto segna 111 mila chilometri. «Ma è come se ne avesse fatti un milione sorride Ruggero, un meccanico di Fiumicino che gliela tiene come un orologio gratuitamente , è chiaro che il motore avrebbe bisogno di una bella messa a punto ma per l’uso che lui ne fa va bene così». Fu lui, Ruggero, a correre a Roma il 23 dicembre per riparare la ventola che si era bloccata ed evitare così che il suo amico morisse di freddo. Due volte al mese (d’inverno), Emilio va dal benzinaio e subito torna indietro preso dall’ansia. «Sono attacchi di panico, dimostrazioni di ansia aggravati da un comportamento coattivo è la diagnosi della dottoressa Rosanna Acerbo, che ha in cura l’uomo da anni insieme ad altri specialisti , come medico non me la sentirei di consigliare un’altra terapia. Io lo conosco dai tempi in cui prestavo servizio al pronto soccorso psichiatrico. una persona sensibile e intelligente. Dopo anni ha trovato un equilibrio delicatissimo e fragile, anche grazie all’attenzione di molte persone che gli vogliono bene». Gli addetti della Sala operativa del Comune di Roma conoscono la storia di Emilio da cima a fondo. Sanno che vive con una pensione di soli 416 euro, che il prossimo aumento scatterà solo tra 3 anni quando avrà compiuto 70 anni. Che, dopo aver fatto il tassista, si arrangiava facendo il parcheggiatore prima che nella zona arrivassero i parcometri. Un piano-man che non è apparso all’improvviso sulle spiagge inglesi ma che era sotto gli occhi di tutti. «I servizi sociali sono, purtroppo, un buco nero riprende la dottoressa Acerbo , un miscuglio di competenze che a volte confonde». Emilio è il più confuso di tutti. Ha chiaro soltanto una cosa: «Da qui non mi sposto, non sono andato neanche al funerale di mio fratello per paura di una nuova crisi». L’ultima volta che ha lasciato il suo viale di platani e tigli è stata quando per i lavori di ristrutturazione previsti nell’anno del Giubileo il Pronto soccorso chiuse per 8 giorni. «Misi in moto e mi trasferii davanti al San Giovanni. Passai davanti al Colosseo. Non lo vedevo da 15 anni...».