Il Sole 24 Ore 13/08/2005, pag.9 Mario Margiocco, 13 agosto 2005
Biografia dei Krupp
Signori della guerra e della pace in Europa. Il Sole 24 Ore 13/08/2005. «Casca il mondo!». Esterrefatto, il segretario di papa Pio IX annunciava il 4 luglio del 1866 al Pontefice la battaglia di Sadowa, o Koniggratz. Un quarto di milione di prussiani avevano messo in ginocchio nel più grande combattimento mai visto in Europa un quarto di milione di austriaci e alleati, piegato l’orgoglio degli Asburgo, imposto nel cuore dell’Europa la nuova realtà tedesca. Quattro anni più tardi (1870), convinto che tutto fosse stato merito dei fucili Dreyse tedeschi a retrocarica, Napoleone III affrontò la Prussia con i suoi più moderni Chassepot. Fu distrutto dal cannone campale Krupp a retrocarica che lanciava un proiettile esplosivo da tre chili a 4.500 metri mentre l’artiglieria francese era ancora, in sostanza, quella di Napoleone I. Il mondo non aveva più dubbi su chi fossero, e che cosa sapessero fare, i Krupp di Essen, nella Ruhr. Il cannone Krupp era fuso in un pezzo unico se inferiore agli otto pollici di calibro e composto da cilindri concentrici se superiore ed era, novità assoluta, in acciaio. Esposto nel 1851 al primo expo industriale, a Londra, fu una delle grandi attrazioni. Ma i cannoni, che dovevano fare dei Krupp il cuore dell’arsenale tedesco in due guerre mondiali, diventarono importanti solo dopo Sedan 1870, quando il mondo intero li chiese. Ancora per tutto l’800 la produzione restò divisa a metà con il resto, ferrovie soprattutto. Industrialmente, più del cannone, il vero salto di qualità era stato nel 1852-53 l’invenzione della ruota ferroviaria senza saldatura, capace di reggere alle alte velocità, frutto della supremazia siderurgica da allora legata al nome Krupp. Dal 1875 tre ruote ferroviarie sovrapposte, anche allora meno controverse del cannone, sono il marchio del gruppo. Due le ferree regole di famiglia: reinvestire gli utili per una qualità sempre migliore; e un solo erede, al comando, la supremazia cioè dell’impresa sulla famiglia. Per i cadetti, una ragionevole rendita. Autocratici e a modo loro illuminati padroni delle ferriere, i Krupp volevano dipendenti leali e ben trattati. Già nel 1905 venivano immortalati come simbolo del potere militar-industriale da George Bernard Shaw nel suo Andrew Undershaft di «Major Barbara», la forza dei cannoni che governa la politica: «No mio caro, farai quello che ci fa guadagnare. La guerra quando ci serve e, quando non ci serve, la pace». Intimi del Kaiser e di decine di corti reali, fieri delle origini borghesi di tedeschi dell’Ovest (due Krupp, Alfred creatore dell’impero e il figlio Friedrich, rifiutarono nell’800 il titolo nobiliare) furono ispiratori con i loro servizi sociali interni del sistema sanitario e pensionistico pubblico tedesco, il primo del mondo. Passati per forza a una produzione esclusivamente "civile" dopo la pace di Versailles (1919), i Krupp mantennero progettisti che studiavano segretamente armi ai quattro angoli della Terra, pronti a ripartire allo stato dell’arte quando Hitler avviò il riarmo. Pesantemente compromessi con un nazismo che dapprima non avevano favorito, perdonati dal vicerè americano John McCloy, furono ancora protagonisti nel dopoguerra, consegnando nel 1967 alla Germania la prima centrale nucleare e continuando a sviluppare acciai speciali di crescente qualità, meccanica di ogni genere, anche bellica, impiantistica ed elettronica. Gli ultimi eredi, peraltro da sempre esclusi dall’azienda, tentarono nel ’97, otto anni fa, di ottenere tre posti nel consiglio della nuova ThyssenKrupp, la fusione per acquisizione con l’antico rivale. Ma il giudice rifiutò un’eredità che non avevano mai avuto. Rispettando così le antiche regole e la volontà dello zio Alfried Krupp von Bohlen und Halbach, ultimo padrone delle ferriere, primo dei sette figli di Gustav e Bertha e il solo e ultimo detentore del nome Krupp, che nel ’67 aveva creato una fondazione e lasciato a questa quasi tutto il patrimonio. Era l’ultimo atto di una storia imprenditoriale e familiare di quattro secoli con quattro generazioni, da Alfred (1812-1887) a Friedrich (1854-1902) a Gustav (1870-1950) a Alfried (1907-1967), protagoniste di quella che era stata la più grossa famosa e ricca impresa tedesca, e un secolo fa la prima d’Europa (oggi ThyssenKrupp è la quinta in Germania). Il figlio di Alfried, Arndt, nato nel 1938 e scomparso nell’86, semplificava le cose rinunciando nel 1968 anche al nome Krupp, che era della nonna Bertha e non del nonno Gustav von Bohlen und Halbach, Krupp d’adozione dopo il matrimonio con Bertha, la stessa in cui onore fu battezzato il gigantesco mortaio da 420 millimetri, die dicke Bertha, che sparava proiettili da 816 chili e demolì nel 1915 la storica città di Ypres, in Belgio. Alfred discendeva da una dinastia di mercanti, proprietari terrieri, fabbri arrivati a Essen a fine 500. Suo padre Friedrich, fondatore nel 1811 della Krupp Gusstahlfabrik, francofilo poiché solo dalla Francia potevano venire allora commesse e affari, aveva deciso di concorrere ai 4mila franchi offerti da Napoleone a chi avesse prodotto un metallo per armi buono quanto le migliori fusioni inglesi. Quando morì nel 1826, Alfred aveva 14 anni e lasciò la scuola per l’officina. Lavorando con poche dozzine di dipendenti, capì che il nazionalismo postnapoleonico aveva bisogno di armi e incominciò a vendere le sue prime bocche da fuoco a Prussia, Turchia, Russia. Cresceva con le guerre e con le ferrovie. Impose a un corpo ufficiali riluttante il pezzo a retrocarica. Divenne protagonista dopo i conflitti con la Danimarca (1864), l’Austria e la Francia. Fece costruire nel ’70-’73 la gigantesca villa Hügel, a Essen, 270 stanze e uno stile da stazione ferroviaria di lusso come piaceva ai super-ricchi tedeschi di allora, con sempre un appartamento a disposizione per il Kaiser che poteva arrivare in treno alla villa, sede oggi della Fondazione culturale Ruhr. Quando morì nel 1887, Alfred Krupp aveva 22.200 dipendenti. Tutto era scritto, seguito, analizzato in un’azienda che sarebbe stata fino al 1903 a struttura familiare, da allora al 1943 una AG o società per azioni ma con tutto il pacchetto in mano del capo-azienda, e poi di nuovo per decreto di Hitler familiare. «Dovrebbe essere possibile studiare e capire il passato e il probabile futuro della fabbrica nell’ufficio centrale dell’amministrazione, senza aver bisogno di fare domande a un solo mortale», disse una volta Alfred. «La cultura fortemente patriarcale, di tipo artigianale precapitalista, stabilì il tono di fondo ideologico nella cultura aziendale dei Krupp», osserva Jeffrey R. Fear, autore di un recentissmo saggio (Harvard University Press) sulla cultura managerialòe tedesca. I Kruppianer potevano contare su un servizio sanitario, un fondo di soccorso, pensioni, ospedali, case di riposo, abitazioni, asili, negozi a prezzo politico. L’obiettivo delle ragazze: sposare un Kruppianer. Nel 1872 Alfred, scosso dal recente grande sciopero dell’Spd, scrisse la sua Generaldirectiv, forse il più famoso documento della storia socio-industriale tedesca, specificando che cosa die Firma doveva dare e che cosa doveva pretendere. Il massimo di assistenza sociale, fatto del tutto inusitato in quegli anni, e come lui aveva incominciato a fare dal lontano 1836, in cambio di una «piena energia senza riserve, lealtà, amore per l’ordine» e rifiuto di tutte «le influenze pregiudizievoli» comprese quelle «del rifiuto al lavoro e dell’incitamento agli altri a fare altrettanto». Negli archivi c’è ancora copia della Generaldirectiv inviata al Kaiser, con sopra scritto di pugno di Alfred: «Decisa per la protezione e la prosperità dell’azienda». Le riforme di Bismarck negli anni 80, infortuni, malattie e pensione, trovavano qui la loro chiara ispirazione. «Vogliamo soltanto lavoratori leali che siano grati dal profondo del cuore per il pane che consentiamo loro di guadagnare», dichiarava 40 anni dopo Gustav, nato von Bohlen und Halbach, diplomatico a Washington, a Pechino e in Vaticano. Dal 1906 marito di Bertha, figlia maggiore di Friedrich, Gustav fu dal 1909 a capo della Firma. Diventato un Krupp per decreto del Kaiser, fu il secondo protagonista della saga dei Krupp, in ordine d’importanza, dopo il fondatore Alfred. Gustav coprì il vuoto nella catena generazionale lasciato da Friedrich, figlio di Alfred, più finanziere che capo azienda, ma appassionato tecnico siderugico. Con lui Essen era entrata nel navale (il primo U-Boot sarà del 1906), sostenne Rudolf Diesel nello sviluppo del nuovo motore e arrivò a 43mila dipendenti. L’uomo più ricco della Germania fin de siècle, Friedrich si suicidò a 48 anni dopo che il giornale socialista Vorwärts aveva pubblicato e tutta la stampa ripreso la storia delle sue relazioni omosessuali, in particolare a Capri, che adorava. Con Gustav, e con la Prima guerra mondiale, Krupp più che raddoppiò i margini dell’anteguerra arrivando a 66 milioni di marchi all’anno di utili. Prima del conflitto aveva raggiunto una estensione mondiale di interessi, dal Giappone alla Cina alla Turchia, da sempre cliente fondamentale, dove il rappresentante fu per qualche anno dal 1910 Izrail Lazarevich Helphand. Più noto come Parvus, leader della rivoluzione di Pietrogrado nel 1905, compagno di fede politica di Lenin e futuro finanziatore con i milioni dello Stato maggiore tedesco del rientro di Lenin in Russia nel 1917 e dell’avvio della presa bolscevica del potere. Gustav, che fu all’altezza come capo azienda della tradizione del vecchio Alfred, dette il meglio di sé nella difficile stagione del primo dopoguerra, quando le clausole di Versailles distrussero l’industria militare in Germania. «Wir machen Alles», facciamo di tutto, fu la sua risposta, dalle carrozzine alle macchine da scrivere, a un massiccio ritorno al ferroviario con la costruzione dal ’19 agli anni 30 di oltre 2mila locomotive. Intanto in Olanda e in Svezia dove tenevano d’occhio i progetti della Bofors, e altrove, gruppi di tecnici Krupp seguivano negli anni 20 tutte le innovazioni tecnologiche, progettavano cannoni e sommergibili mai costruiti, e aspettavano l’alba del nuovo giorno. Quando arrivò con i baffi quadrati di Hitler, Gustav, nazionalista prussiano altezzoso di fronte alla marmaglia nazista che non aveva finanziato, ottenne due promesse: distruzione del sindacato e abbondantissimi ordini militari. E si convertì. Provato da un incidente stradale e da vari infarti, ormai senile, Gustav morì in Austria nel 1950, a Blünbach, il «casino di caccia» già dell’arciduca Francesco Ferdinando che i Krupp avevano acquistato dopo l’attentato di Sarajevo. Il figlio Alfried, a capo dell’azienda dal 1943, fortemente compromesso con il nazismo per l’uso di oltre 100mila lavoratori coatti, con una fabbrica nel recinto stesso di Auschwitz, fu condannato a Norimberga a 12 anni, poi condonati nel ’52, quando la Guerra Fredda richiedeva una Krupp all’altezza della situazione. Gli fu restituita l’azienda, la guidò con alterne fortune, soprattutto finanziarie, fino al ’67, e alla fine creò la Fondazione in cambio di aiuti da parte di Bonn e lasciò la guida ai manager. Che mantennero più o meno la rotta. Con acquisizioni importanti, e diversificazioni. Fino a quando la grande crisi dell’acciaio e la chiusura dopo quasi un secolo a fine anni 80 dell’impianto di Rheinhausen portarono a proteste e a un’invasione per qualche ora di Villa Hügel. Anche la statua di Alfred Krupp, che un secolo prima i dipendenti tassandosi avevano fatto modellare venne, per qualche giorno, disarcionata. Mario Margiocco