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 2005  agosto 14 Domenica calendario

Cinque mesi di finanza spericolata. Il Sole 24 Ore 14/08/2005. C’era una volta una banca che aveva le sue radici solidamente affondate nell’Italia del Nord-Est, uno degli snodi cruciali del sistema economico italiano, culla di quella rete di piccole e medie imprese esportatrici che ha portato il «made in Italy» in tutto il mondo

Cinque mesi di finanza spericolata. Il Sole 24 Ore 14/08/2005. C’era una volta una banca che aveva le sue radici solidamente affondate nell’Italia del Nord-Est, uno degli snodi cruciali del sistema economico italiano, culla di quella rete di piccole e medie imprese esportatrici che ha portato il «made in Italy» in tutto il mondo. Potrebbe iniziare così il racconto della battaglia finanziaria che si sta combattendo da mesi attorno ad AntonVeneta, una contesa che si interseca con altre vicende che stanno mettendo a repentaglio gli equilibri del gotha finanziario nazionale e con dispute di carattere politico. Una battaglia che rischia di lanciare nuove ombre sul nostro Paese e sulle sue capacità di rispettare le regole del mercato agli occhi degli investitori stranieri. Già insospettiti dai casi Cirio e Parmalat. Quella banca è una solida realtà del panorama bancario italiano con circa 10mila dipendenti e una rete di un migliaio di agenzie, concentrate per la metà tra Veneto e Lombardia, una delle aree più ricche del Paese (proprio per questo diventa appetibile). Ma, dopo otto mesi di serrato confronto e di scontri legali, non si sa ancora chi ne sia il "padrone", chi sia destinato a dettarne le prossime strategie di crescita. - L’origine dello scontro. Fino allo scorso aprile la banca era guidata da un "patto" tra imprenditori locali, con in testa un gruppo veneto noto in tutto il mondo del calibro di Benetton, e di finanzieri, tenuti insieme da un accordo - il cosiddetto "patto di sindacato" - che li vincolava a gestire di comune accordo AntonVeneta sulla base di regole concordate. Accanto a loro, nel patto era spuntata anche una banca olandese, Abn Amro, semisconosciuta in Italia al di fuori dell’ambito degli addetti ai lavori, ma in realtà uno dei grandi gruppi creditizi d’Europa, erede della grande tradizione mercantilistica e bancaria olandese. Intenzionati a rafforzare la loro presenza in Italia - sono anche nell’azionariato di un altro grande gruppo, Capitalia - gli olandesi avevano individuato nell’istituto padovano la punta di diamante della strategia di crescita nel Bel Paese. Nel giorno in cui quell’accordo tra gentiluomini arrivò a scadenza, dopo mesi di studio delle posizioni e di mosse tattiche, era già chiaro che si sarebbe arrivati a una disfida cruenta. Ma - si sperava - anche cavalleresca, basata sulle regole che governano le battaglie in campo finanziario. In buona sostanza si trattava di conquistare la maggioranza del capitale azionario della banca comprando le azioni sul mercato (in Borsa). Poi, arrivati alla fatidica soglia del 30%, sarebbe scattato l’obbligo di legge di lanciare un’Offerta pubblica di acquisto (Opa), vale a dire un’operazione di acquisto di tutti i titoli presenti sul mercato: uno strumento di "democrazia" societaria che permette a tutti gli azionisti di godere delle medesime condizioni garantite a chi detiene il pacchetto di controllo di una società. - Banche e regole. Ma bisogna fare un passo indietro per comprendere come le norme che sovrintendono al sistema bancario siano ben più rigide e stringenti rispetto a qualsiasi altro comparto industriale. Nei destini di un istituto di credito non sono coinvolti solo dipendenti, azionisti e creditori (tra cui gli eventuali possessori di obbligazioni) che vedono messi a rischio il loro posto di lavoro, gli investimenti o i soldi dovuti (il caso Parmalat ha lasciato il segno). Ma allo stesso tempo anche i risparmiatori, che hanno rinunciato al tradizionale materasso per consegnare i loro patrimoni a conti correnti e depositi amministrati delle banche. Senza contare degli squilibri che un istituto a gambe all’aria potrebbe provocare in un’economia moderna, di cui le banche costituiscono la vera e propria spina dorsale. Proprio per questo motivo, la stessa Costituzione garantisce in forma esplicita la tutela del risparmio. E proprio per questo la vita del settore è regolata ovunque da norme particolari, per quanto riguarda le garanzie di solidità finanziaria e la trasparenza sui passaggi di proprietà. In questo sistema spicca il ruolo di custode e garante della stabilità affidato al Governatore della Banca d’Italia. Su quella poltrona si sono succeduti autorevoli protagonisti della storia economica del Paese, tra cui l’attuale Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi. Suo successore, dal 1993, è Antonio Fazio. Esaurito con l’introduzione dell’euro il compito di coniare le vecchie lire e di fissare i tassi di interesse, a lui rimane il ruolo di "vigile" del sistema bancario e di ogni operazione che modifichi gli equilibri finanziari. Se ritiene che una fusione tra banche non rispetti le regole di stabilità e di prudenza, stabilisce che quel matrimonio «non s’ha da fare» (ed è già successo anche in tempi recenti). Ovviamente lo dovrebbe decidere sulla base di motivazioni tecniche, e non di simpatie o antipatie. Senza il consenso della Banca d’Italia non si può fare nulla che cambi il panorama bancario nazionale. - L’italianità. Fazio aveva già mostrato a più riprese negli ultimi anni la sua diffidenza nei confronti delle banche straniere. E l’italianità non veniva difesa per mero protezionismo, ma per tutelare un settore che, come si diceva, è troppo importante per i destini dell’economia permettendogli di crescere al suo interno per poi giocare da protagonista sullo scenario europeo. Il risultato però non è stato quello desiderato e le banche italiane sono rimaste indietro rispetto al resto d’Europa, con la conseguenza che il sistema italiano è diventato almeno in parte una "terra di conquista" da parte degli istituti stranieri. Il che non necessariamente è di per sè negativo. Era chiaro fin dall’inizio che Fazio non avrebbe srotolato il tappeto rosso di fronte alla determinazione degli olandesi di avere più voce in capitolo in AntonVeneta. Così come di lì a poco sarebbe successo anche per la conquista del controllo della Banca Nazionale del Lavoro, divisa tra un patto di sindacato ruotante attorno agli spagnoli del Banco Bilbao (Bbva) e un "contropatto", un accordo concorrente guidato da Francesco Gaetano Caltagirone e composto dai "nuovi immobiliaristi". - I nuovi protagonisti. La disputa si è fatta più avvincente quando in entrambe le battaglie bancarie dell’anno sono emersi prima (nel caso di Bnl) o dopo (su AntonVeneta) volti nuovi della finanza nazionale. Una nuova classe di finanzieri che aveva ingrossato le fila di quei "capitani coraggiosi", salita alla ribalta delle cronache finanziarie in occasione della scalata alla Telecom (1999), l’Opa più grossa mai effettuata in Italia. Uno su tutti Emilio Gnutti, il finanziere bresciano che con la sua Hopa aveva fatto lievitare gli investimenti di una cordata di concittadini tornando in seguito all’interno della catena di controllo della stessa Telecom al fianco di Marco Tronchetti Provera. Accanto a lui e alla discussa presenza dei vertici della cosiddetta "finanza rossa", quella che affonda le sue radici nel mondo cooperativo e "socialcomunista" (il Monte dei Paschi di Siena e le assicurazioni Unipol), emergono nuovi giovani protagonisti della finanza. Le scalate bancarie rappresentano infatti l’occasione dell’entrata in scena di protagonisti inediti: Stefano Ricucci, Danilo Coppola, Giuseppe Statuto sono gli emergenti, accomunati dal settore di provenienza. Sono tutti immobiliaristi, emersi dall’anonimato con immense fortune spuntate all’ombra di un mercato immobiliare che continua a espandersi senza tregua. Ma su quelle fortune si sono concentrate curiosità e sospetti. Non è più invece un semplice emergente Gianpiero Fiorani, il banchiere della Bassa lombarda che ha trasformato una piccola Popolare di provincia, la Lodi, in un gruppo in grado di concorrere ad armi pari con i big nazionali con una campagna di acquisizioni che ha dell’incredibile, appoggiata senza alcuna remora dallo stesso Governatore: famosa rimane la fotografia in cui Fazio appare per le strade di Lodi a braccetto con Fiorani, a suggello della conquista di una statura nazionale dell’ambizioso ex giornalista, che in seguito si scoprirà anche "padano". L’escalation ha fatto sorgere comunque più d’un sospetto, sia per la spregiudicatezza con cui sono state effettuate le scalate, sia per la capacità della banca di poter digerire tante e tali acquisizioni in così poco tempo. - La scalata a Padova. Ma torniamo alla nostra storia dopo questa lunga digressione. Gli imprenditori veneti si fanno da parte di fronte a una partita che diventa più grossa di loro e cedono in buona parte le loro quote nella banca padovana. Proprio la Popolare di Lodi emerge come il vero antagonista degli olandesi, come il "cavaliere bianco" a difesa di quell’italianità delle banche più volte sbandierata da Fazio. I due fronti cercano una trattativa per evitare la guerra, ma senza successo. Fiorani parte all’attacco: chiede e ottiene le necessarie autorizzazioni di Banca d’Italia per rastrellare azioni di AntonVeneta. Mentre Abn Amro, che accusa di essere stata bloccata in maniera scorretta, deve stare a guardare Lodi che sale al 5%, poi al 10%, al 15% fino a ridosso di quel 30% oltre il quale sarebbe costretta a lanciare un’Opa che non sembra in grado di poter sostenere, ma di cui ormai si parla apertamente. Intanto mani "amiche" intervengono al suo fianco: Coppola, Ricucci, Gnutti e i fedeli fratelli bresciani Lonati, che vedono i loro investimenti lievitare con il titolo AntonVeneta che vola in Borsa. Prima però Abn sferra la sua controffensiva: il 30 marzo (Lodi era attorno al 10% del capitale) annuncia un’offerta di acquisto, proponendo di raccogliere tutte le azioni a 25 euro l’una. Fiorani ha in serbo la contromossa: aspetta la fine di aprile per lanciare la sua Opa, offrendo solo una parte in contanti e il resto in azioni sia della stessa Lodi, nel frattempo trasformatasi (non del tutto a caso) in Banca Popolare Italiana (Bpi), e di una sua controllata, Reti Bancarie Holding. Per un controvalore complessivo che, secondo i calcoli di Lodi, è di un euro superiore ad Abn. Una battaglia così non si era mai vista in Piazza Affari, meglio di un film. E non è che l’inizio. - I sospetti delle autorità. C’è però qualcosa che non quadra e a metterci il naso è la Consob: il "poliziotto" dei mercati finanziari vuol vederci chiaro. l’11 maggio quando l’autorità di Borsa denuncia l’esistenza di un patto occulto tra gli scalatori: Fiorani e gli altri "amici" erano d’accordo nel comprare in maniera concertata le azioni AntonVeneta. Ci sono i documenti - sostiene la Consob - e quindi è come se fosse un’unica cordata a detenere le quote: siamo quindi oltre il 30%, quasi al 40%, scatta l’obbligo di lanciare un’Opa, a un prezzo più basso, calcolato sulla base dei prezzi di Borsa. L’azionista che ha titoli AntonVeneta rischia di non capirci più nulla: ha visto le quotazioni del suo titolo lievitare, ma ora si trova di fronte a tre alternative diverse. A metà giugno sembra calare il sipario: Abn alza la sua offerta a 26,5 euro, e Lodi dopo tre giorni aggiorna la sua. Il destino sembra segnato. L’offerta degli olandesi si chiude il 22 luglio con un buco nell’acqua: Abn raccoglie solo il 2,88% arrivando al 32,7% del capitale, una quota che non serve ad andare lontano. I risparmiatori sono stati distratti dalle voci che consegnano ormai alla Lodi la maggioranza assoluta. Gli olandesi sembrano ormai rassegnati alla ritirata, sia pur addolcita dalla prospettiva di pingui guadagni se consegneranno le loro azioni all’offerta di Fiorani. - «Tonino, ti darei un bacio». Ma il castello di carta crolla pochi giorni dopo. La Consob stabilisce che c’era un patto occulto della Lodi anche con Ricucci, congelando i diritti di voto delle due quote. All’assemblea di AntonVeneta si assiste al ribaltone e Abn riesce a far eleggere un consiglio di amministrazione a lei favorevole. Ma questa volta si va oltre. I pm della Procura di Milano, gli stessi che avevano indagato sull’affaire Parmalat, arrivano a ruota della Consob e il 25 luglio sequestrano l’intera quota detenuta da Lodi e ai suoi amici "concertisti", il 40% circa di AntonVeneta. La cordata che si preparava a impadronirsi della banca si trova con le mani legate. E le sorprese non sono finite qui, perché pochi giorni dopo arriva la parte più gustosa. Da mesi Procura e Guardia di Finanza avevano monitorato telefoni e cellulari dei protagonisti della vicenda. Ai primi di agosto la pagine dei giornali si riempono di intercettazioni telefoniche che aprono uno squarcio non certo confortante per l’intero Paese. Dietro all’ufficialità della scalata si scopre una serie di rapporti personali che sono stati decisivi nel determinarne l’esito. Spetterà ai giudici stabilire se si sono verificati dei reati - agiottaggio, operazioni sulla base di informazioni riservate (insider trading) e ostacolo all’autorità di vigilanza - ma bastano poche frasi per dare l’idea di un Paese dove dominano ancora i rapporti di amicizia e di fedeltà. Quando il Governatore Fazio chiama di notte l’amico Fiorani per avvisarlo di essere riuscito a dare il beneplacito alla sua offerta, avanza il sospetto che quello che dovrebbe essere un arbitro al di sopra delle parti non sia stato così imparziale. E il sospiro di sollievo del banchiere lodigiano è evidente: «Tonino, sono commosso, ho la pelle d’oca,... Ti darei un bacio sulla fronte, ma non posso farlo». Quel "Tonino" fa il giro del mondo e finisce in prima pagina su «Financial Times» e «Wall Street Journal», mettendo in gioco la reputazione di un’istituzione autorevole e rispettata. Si scoprirà poi il perché di tanta ansia. I tecnici della Banca d’Italia era perplessi nel dare l’ok alla proposta della Lodi: troppe incognite sul fronte patrimoniale per una banca che vuole comprarsene un’altra che, stando ai valori di Borsa, è tre volte più grande. Il Governatore ha dovuto mettere in atto tutte le sue doti per ottenere il via libera. E un bacio in fronte a distanza da Fiorani. Man mano emergono dai faldoni dell’inchiesta altre intercettazioni, nuove ammissioni e il contorno dei sospetti si allarga sempre più, lasciando intravedere complesse operazioni finanziarie, attraverso società lussemburghesi o domiciliate in paradisi fiscali. Con il sospetto che nella battaglia le carte fossero segnate fin dall’inizio e le condizioni non fossero uguali per tutti. - Bocce ferme. L’epilogo della storia è ancora tutto da scrivere. AntonVeneta è ancora senza un azionariato stabile, con i suoi destini in mano ai giudici e agli avvocati. Tutto è bloccato in mezzo al caos, mentre si cerca una via d’uscita che possa evitare nuovi scandali e ridare credibilità al sistema. Tanto più che anche la battaglia su Bnl, chiusa con una virtuale "vittoria" dell’Unipol, in cordata con gli stessi protagonisti, rischia di riaprirsi con un colpo di scena inatteso. Non si può nemmeno dimenticare che le due partite bancarie si sono intersecate con le vicende che hanno coinvolto i "gioielli" della finanza italiana. Ricucci è partito all’offensiva della Rcs, che vuol dire la proprietà del Corriere della Sera, in una scalata al quotidiano più diffuso controllato ora da un patto di sindacato. Nelle stesse intercettazioni sono finite frasi a mezza bocca anche su questa vicenda che fanno riferimento a un presunto interesse, smentito seccamente dall’interessato, del premier Silvio Berlusconi, con conseguenti polemiche politiche. E parallelamente alcuni dei nuovi immobiliaristi sono comparsi tra gli azionisti di Mediobanca, il crocevia dei destini del Corriere e delle Generali. Allo stesso tempo l’intera vicenda ha rimesso in discussione il Governatore della Banca d’Italia, già al centro di polemiche per carenze di vigilanza nel caso di Cirio e Parmalat. Ma oggi la sua poltrona è di nuovo messa in discussione, anche perché il suo è l’unico incarico pubblico a tempo indeterminato. Ce n’è per scrivere ancora nuovi capitoli di una storia che promette puntate avvincenti. Pierangelo Soldavini