Elena Loewenthal, ཿLa Stampa 25/8/2005;, 25 agosto 2005
A Calcutta, città simbolo della povertà più mortificata in tutto il nostro pianeta, i conducenti sono scesi in piazza con i loro risciò in testa per protestare contro il sindaco, che ha vietato in città l’uso di questo mezzo di trasporto
A Calcutta, città simbolo della povertà più mortificata in tutto il nostro pianeta, i conducenti sono scesi in piazza con i loro risciò in testa per protestare contro il sindaco, che ha vietato in città l’uso di questo mezzo di trasporto. Che è anche, però, il mezzo di sussistenza per tutta quest’umanità muta che il resto del mondo, comodamente seduto a bordo, è abituato a vedere di spalle mentre corre per le strade come un cavallo da soma, il sedile del passeggero allacciato addosso. Non sono ragioni ecologiche e nemmeno economiche quelle che stanno alle spalle della decisione di vietare i risciò. Il sindaco l’ha voluto per motivi umanitari: per un misto, in sostanza, di garbo e rispetto verso quelle povere anime costrette a una vita così degradante da costringerti a tirare la carretta per campare. Cosa che, del resto, da che mondo è mondo avviene a ogni latitudine e non ha risparmiato nessuna epoca per quanto luminosa: la fatica di vivere è in fondo l’unico comune denominatore che la nostra fragile specie possa vantare. La pensano evidentemente così anche gli autisti di risciò a Calcutta. I quali, lungi dal considerare umiliante il loro lavoro, lo rivogliono indietro. E con tale determinazione dall’aver deciso di scendere in piazza, per la prima volta lungo la loro storia. Chissà come finirà. Anche se è lecito immaginare che alla lunga vincerà l’ostinazione della povertà contro il paternalismo del potere. Il quale ha in fondo preso un bell’abbaglio. Come non di rado capita a chi, governando, fatica a immedesimarsi nell’uomo di strada - in questo caso non il passante, piuttosto colui che di strada vive -: il cammino della demagogia è fitto di trabocchetti. Perché se tutto è negato a chi non ha nulla, una cosa deve pur restare nelle sue mani. La libertà, cioè, di decidere che cosa è degradante o no. Che cosa non sarebbe disposto a fare nemmeno per il più succulento piatto di minestra o in cambio di una prosperità che nella vita reale non osa neppure sognare. Per quest’autodeterminazione della coscienza protestano e lottano oggi gli autisti di risciò a Calcutta, brandendo le loro carrette in testa contro il sindaco e contro, in fondo, questo nostro progresso che a volte sembra ancora un missionario maldestro.