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 2005  agosto 19 Venerdì calendario

Delitto

Poesie, rose e fiori di campo per Aldo e Luisa. Giornale di Brescia 19/08/2005. In via Ugolini 17, le preghiere di ognuno si ritrovano in una poesia legata al centro del cancello: «Se potessi fermare il tempo lo farei per voi, amici miei... Se potessi prendere un arcobaleno... Ma lasciatemi essere ciò che so essere di più, semplicemente un amico». Ha dissotterrato l’ascia più acuminata dell’amicizia per il momento in cui il dolore raggiunge lo zenith e la compassione non si risolve che nei modi di pregare. Di pregare il Signore, che ora, appena dopo mezzogiorno, consola immaginare che illumini lo spessore di amarezza, sbirciando dalle fessure irregolari dei pini marittimi della casa di Aldo e Luisa. Deprime profondamente misurare la grandezza di una casa, lo spessore dei verdi, l’accuratezza dei piani, ipotizzando che il cemento di decenni non sia riuscito a difendere da un odio latente e montante, a sbriciolare un disegno materializzato in una specie di abisso dantesco sotto il Passo del Vivione, in quei corpi divisi per molte volte dei due coniugi. Il silenzio di via Ugolini è il silenzio delle chiese, non è il silenzio che compone l’omertà. il silenzio del rispetto, pronto a levare il sipario ad ogni domanda. Non emerge un’altra descrizione dopo la conoscenza del ritrovamento. Luisa e Aldo rimangono sempre gli stessi di prima. Guglielmo è lo stesso Guglielmo Gatti descritto prima che fosse indagato per l’omicidio degli zii. Intorno alla poesia, a corona, sono deposti i fiori. Molti sono i fiori dei giardini di via Ugolini. Sono giardini e orti, davanti o dietro l’entrata di casa, prima delle tende a riparo dei davanzali, di terrazze modeste. il verde pendant dei Campiani vicini, è il verde di una civiltà a conoscenza del valore terapeutico del fiore, della sua utilità balsamica contro il torrido della terra e della mente quando diventa torrida e fonde nelle carni degli altri. Sono perlopiù le rose delle madri, i fiori deposti davanti alla casa di Luisa e Aldo Donegani. Le madri di via Ugolini, le madri della nostra terra lombarda sanno crescere rose d’inverno e d’estate. Tre sono avvolte in un cellophane piegato, tre sono gladioli carnosi, quattro sono margherite gialle, giganti, infilate tra un segmento e l’altro del cancello di ferro. Molti sono fiori sfusi, raccolti o comprati. Impressiona l’orfanità di quel casone a due piani, senza più dentro nessuno, il posto da cui è partito il treno della violenza che avrebbe sostato alla stazione dell’abiezione più nera. Impressiona non scorgere l’inizio del male, in che stanza comparve, per la prima volta, il primo scricchiolìo di un’idea malsana, questa bomba atomica di rancore. In questo senso, via Ugolini 17 rimane la nostra immensa Hiroshima intorno alla quale i fiori cercano di spegnere il fuoco della combustione omicida, chiedendo perdono alle anime dei Donegani. «Che Dio ci illumini e ci perdoni e che Aldo e Luisa riposino in pace e abbiano pietà...». Sono parole da scolpire. Si reperiscono nei testi sacri, nei testi dei patriarchi e vengono da una donnina che peserà 40 chili, avanzata dal quartiere vicino di Sant’Anna, vestita di un grembiule nero che la ripara dalle braci di un fuoco acceso in un giorno di 28 gradi, in una tarda estate che non dimenticheremo mai. «Ho acceso il fuoco della cantina - dice -. Mi fa compagnia. Ho freddo, in queste sere e di giorno non sento il caldo del fuoco. Mi fa compagnia», ripete. Via Ugolini, idealmente, è accampata intorno alla poesia e al fuoco della piccola donna con il grembiule nero. Tonino Zana