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 2005  agosto 19 Venerdì calendario

Delitto di Brescia 19/08/2005 - 3

La chiave del mistero nella valle di Paisco. Giornale di Brescia 19/08/2005. L’inchiesta ruota attorno al bosco degli orrori. Perché tutte le piste portano lassù. E il giallo si catapulta, inevitabilmente, tra la valletta del Sellero e il passo del Vivione. Teatro, quanto meno, dell’ultima macabra sequenza del duplice omicidio; tappa finale dell’allucinante viaggio dell’assassino, a fronte di una mattanza che potrebbe anche affondare radici proprio in quel lembo di montagna. Sono molti, troppi gli interrogativi che aleggiano attorno alla valle di Paisco, alimentati non solo da quei resti umani sparpagliati nel canalone a 1.600 metri di quota ma pure da quelle cesoie e da quelle borsine di plastica con generi alimentari che irrompono, con prepotenza, nelle indagini. Inchiesta ovviamente inghiottita dal silenzio, perché occorre scavare più a fondo, trovare riscontri, offrire risposte a quei mezzi misteri che non fanno quadrare il cerchio. Perché all’appello manca ancora l’arma del delitto: difficile credere che quei forbicioni da giardinaggio siano stati utilizzati per assassinare Aldo Donegani e Luisa De Leo; facile invece pensare al loro utilizzo durante l’orribile sezionamento. Ma forse per depezzare quei cadaveri è «spuntata» anche un’altra lama, più pesante, più micidiale... Sconosciuto poi il luogo dell’omicidio e svaniti nel nulla gli indumenti che i due coniugi bresciani indossavano al momento della scomparsa. Insomma, la «pista camuna» è quella da battere fino in fondo; e c’è pure quella «sebina», tutta da verificare. Ma andiamo con ordine. Quando sono stati ammazzati i Donegani? Tutto lascerebbe pensare tra il sabato pomeriggio e la domenica (quindi tra il 30 e il 31 luglio), da quando cioè si sono definitivamente perse le loro tracce. Venti giorni fa; elemento compatibile con le condizioni dei resti umani, in avanzato stato di decomposizione, in balia degli agenti atmosferici (nelle giornate di sole, lassù, sono stati toccati anche i 28 gradi) e degli animali selvatici. Uccisi come? La rosa d’ipotesi è piuttosto ampia. A colpi di pistola? Magari con quella «sputa fuoco» che mancherebbe dalla collezione del settantasettenne Aldo Donegani. E se fosse così, possibile che nessuno abbia udito gli spari? A questo punto è necessario chiedersi dove siano stati assassinati i due bresciani. Difficile in casa, in via Ugolini, visto che i carabinieri del Ris l’hanno letteralmente passata alla lente d’ingrandimento senza trovare una goccia di sangue, un indizio compromettente, niente di niente... Ma se comunque Luisa e Aldo Donegani fossero stati uccisi in città, significherebbe che l’assassino ha poi denudato e sezionato i due corpi gettandoli in auto e macinando quasi cento chilometri per finire lassù, nel cuore della valletta del Sellero. E se fossero invece stati uccisi nella valle di Paisco? Trascinati là con chissà quale pretesto. Magari una gita in montagna, quattro passi in quota, una piccola deviazione sulla strada per l’Aprica, un pic-nic. A questo punto entrano in gioco, inevitabilmente, quelle due borsine di plastica ritrovate dagli uomini della Protezione civile in una piazzola nel cuore della boscaglia, a circa un chilometro dal dirupo dell’orrore. Sarebbero quei generi alimentari acquistati sabato mattina dai Donegani tra la panetteria, la macelleria ed il piccolo supermercato del quartiere di Sant’Anna. Borsine - inspiegabilmente anche per il loro contenuto - non riposte nel frigorifero o nella credenza di casa Donegani, ma finite tra i monti. «Dimenticate» nello sterrato di una carrabile che abbandona la provinciale 294 del Vivione, nemmeno troppo lontano dalla rigogliosa pineta in cui sono state ritrovate le due cesoie (una verde con lama da quasi ottanta centimetri, l’altra blu lunga non più di mezzo metro) ed altri elementi ritenuti importanti. Ossia un flacone di acqua ossigenata quasi vuoto ed un vecchio giornale, di fine luglio. Attenzione, una delle chiavi del giallo sta proprio dietro quella grossa cesoia con tracce - pare - ematiche sulla lama. E piuttosto recenti, tanto che l’affilato acciaio è ancora lucido, non arrugginito. Ma perché proprio lì? Che cosa è successo in quel bosco? Lame scaraventate dall’omicida subito dopo l’uso per sbarazzarsene, per sempre? Insomma, il cerchio non quadra, ma al centro sta sempre la valle di Paisco - quanto meno teatro di quell’agghiacciante occultamento - che il carnefice ha dimostrato di conoscere piuttosto bene, come le sue tasche. E forse anche i coniugi Donegani conoscevano la strada del Vivione, meta delle loro numerose escursioni. Ma in quella valle, Aldo e Luisa Donegani ci sono arrivati vivi o morti? Rimane poi il mistero delle teste e del busto della donna mancanti. La loro assenza - come per altro confermato da Valerio Zani del Soccorso alpino - potrebbe essere «semplicemente» collegata alla presenza di numerosi predatori su quelle pendici che separano la Valcamonica dall’orobica Val di Scalve. E i vestiti della coppia? Spariti nel nulla, gettati chissà dove. In un cassonetto dei rifiuti? Perché denudare quei cadaveri? Per rendere meno difficoltosa l’operazione da macellaio (che dovrebbe aver richiesto parecchio tempo e sangue freddo) e per rendere ancor più difficoltoso il riconoscimento di quei resti umani, se e una volta ritrovati. Il sezionamento dei corpi potrebbe comunque essere avvenuto in un secondo tempo (anche parecchie ore dopo la morte) e in un luogo diverso da quello dell’assassinio. Infine «spunta» la pista sebina, complessa ma degna di approfondimenti. Parte dalla segnalazione del volontario Remo Bonetti, un’istituzione in seno alla Protezione civile sebina. Ruota attorno ad una coppia che fa pensare ai Donegani; sarebbe stata notata, attorno alle 11 di sabato 30 luglio, camminare - in compagnia di una persona somigliante al nipote ora in carcere - lungo la litoranea Vello-Toline, oggi pista ciclabile. A vederli dal lago è proprio Remo Bonetti, in navigazione e con il binocolo al collo. Ma poi quelle persone sarebbero sparite nel nulla, verso alcuni anfratti o dietro una curva. E mezz’ora dopo sarebbe stato visto solo quell’uomo sulla quarantina in evidente stato confusionale («si sentiva male»). Circostanza che aveva allarmato Remo Bonetti tanto da segnalare la cosa agli investigatori e, con il suo gruppo di volontari «armati» del robot subacqueo «Mercurio», da spingerlo a scandagliare lo specchio d’acqua antistante, fino ad una profondità di 80 metri. Senza però trovare nulla di strano. Marco Bonari